Clima: la “febbre” del mare ha registrato nel 2023 un nuovo record


Le temperature del mare hanno registrato nel 2023 un nuovo record, con il Mediterraneo che si sta scaldando più velocemente tra tutti i bacini presi in esame

mediterraneo blu

Sale ancora la ‘febbre dell’oceano’. Nel 2023 le temperature sono aumentate registrando un nuovo record nel riscaldamento delle acque, con aumento del contenuto termico, della stratificazione e della salinità. È quanto emerge dallo studio New Record Ocean temperatures and related climate indicators in 2023, pubblicato sulla rivista Advances in Atmospheric Science e condotto da un team internazionale, coordinato da IAP-CAS (Istituto di fisica dell’atmosfera dell’Accademia Cinese delle Scienze) e composto da scienziati statunitensi del NCEI-NOAA (Centri nazionali per le informazioni ambientali della National Oceanic and Atmospheric Administration), neozelandesi, francesi e, per l’Italia, da Simona Simoncelli dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) e Franco Reseghetti dell’Agenzia Nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (ENEA).

Nel 2023, la temperatura delle acque oceaniche, che ricoprono il 70% del pianeta e assorbono circa il 90% del calore causato dal riscaldamento globale, è aumentata di un valore compreso tra gli 8 (secondo il calcolo NOAA) e i 15 (calcolo di IAP-CAS) ZettaJoule rispetto al 2022 nello strato compreso tra 0 e 2000 metri di profondità: per avere un’idea, 1 ZettaJoule equivale al doppio della quantità di energia che alimenta ogni anno l’economia mondiale. I differenti risultati sembrano imputabili principalmente alle diverse procedure di controllo di qualità dei dati e alle metodologie di calcolo.

Oltre al riscaldamento generale delle acque, anomalie molto forti sono state riscontrate anche nelle temperature superficiali dell’oceano, con valori inaspettati riconducibili in questo caso, oltre che al riscaldamento globale, anche alle fluttuazioni termiche a breve termine dell’Oceano Pacifico dovute alla transizione dei fenomeni La Niña e El Niño, a partire da maggio 2023.

Le acque complessivamente più calde prodotte dalla combinazione di questi fattori possono modificare l’andamento meteorologico a livello mondiale. In particolare, la variazione di precipitazioni atmosferiche e l’evaporazione delle acque superficiali alterano la salinità dell’oceano, per cui le aree salate continuano a divenire sempre più salate e le aree con acqua più dolce continuano a diminuire la loro salinità, con conseguenze dirette sulla vita marina, sulle correnti oceaniche e sulle interazioni con l’atmosfera.

Le acque meno dense, calde e meno salate tendono a rimanere in superficie e non sono in grado di trasportare calore, anidride carbonica e ossigeno alle acque più profonde, con gravi conseguenze per la vita animale e vegetale dell’oceano. Si parla, in questo caso, di acque “stratificate”: secondo lo studio appena pubblicato, nell’ultimo anno anche la stratificazione risulta ulteriormente aumentata rispetto al 2022.

A causa delle acque oceaniche più calde, calore e umidità in eccesso entrano nell’atmosfera a causa dell’evaporazione delle acque superficiali, rendendo le tempeste più violente, con piogge e venti più forti e, quindi, con un maggior rischio di inondazioni, anche sul territorio italiano.

In questo scenario globale, il Mar Mediterraneo nel 2023 si è confermato il bacino che si scalda più velocemente tra quelli analizzati nello studio, raggiungendo il valore termico più elevato dall’inizio delle rilevazioni moderne.

“Nel 2023 INGV ed ENEA hanno continuato, nell’ambito del progetto MACMAP finanziato da INGV, a raccogliere su base stagionale i dati della temperatura delle acque del Mediterraneo, in particolare dei Mari Ligure e Tirreno lungo la tratta Genova-Palermo, grazie alla collaborazione con la compagnia di navigazione Grandi Navi Veloci (GNV)”, spiega Simona Simoncelli, ricercatrice INGV e co-autrice dello studio. “L’analisi di questi dati di temperatura, nonché di quelli raccolti a 400 metri di profondità dalla boa del CNR-ISMAR nel Canale di Sicilia, indica a partire dal 2013 un chiaro riscaldamento nello strato delle acque comprese tra i 150 e i 450 metri di profondità, estesosi poi alle acque più profonde (fino a 700 metri) e più settentrionali. In questo caso tra il 2013 e il 2016 il riscaldamento è stato superiore a 0.4 °C, seguito da una leggera diminuzione e da un periodo stazionario. La temperatura delle acque ha ripreso ad aumentare dal 2021, raggiungendo il suo record, per il momento, a settembre 2023”.

“Continuare a monitorare sistematicamente i mari, nello specifico il Mar Mediterraneo, misurando i valori di alcuni parametri come temperatura, salinità, PH e ossigeno, rimane l’unico modo per consolidare le conoscenze sull’argomento e migliorare l’affidabilità delle previsioni che al momento non sono accurate quanto necessario e desiderato, anche se si è in presenza di un trend di crescita delle temperature evidente”, aggiunge Franco Reseghettiricercatore ENEA e co-autore dello studio.

“Il Mediterraneo influenza fortemente la vita nei Paesi che vi si affacciano: dall’agricoltura, alla pesca, all’idrologia, all’evoluzione meteo, alla salute delle popolazioni. Continuare a monitorarlo è la chiave per contribuire a conoscere gli effetti del riscaldamento globale, sensibilizzare la società a questa emergenza e stimolare l’adozione di necessarie misure di adattamento e mitigazione. Bisogna sempre tener presente che a causa di questo fenomeno si registrano ogni anno danni materiali enormi in tutto il mondo, accompagnati spesso dalla perdita di vite umane”, concludono i ricercatori.

Link allo studio: https://doi.org/10.1007/s00376-024-3378-5