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Nuove linee guida per diabete e rischio cardiovascolare

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Diabete e rischio cardiovascolare: le nuove linee guida puntano su stratificazione dei pazienti e utilizzo ragionato di farmaci ipoglicemizzanti e antitrombotici

Sono i 3 i principali punti qualificanti le nuove linee guida (LG) sulla gestione del rischio cardiovascolare (CV) nei pazienti con diabete elaborate da una task force di esperti della European Society of Cardiology (ESC), presentate ad Amsterdam al congresso della società di cardiologia europea:

I pazienti con diabete sono a maggior rischio di sviluppare malattie cardiovascolari (CVD) quali coronaropatia (CAD), insufficienza cardiaca (HF), fibrillazione atriale (FA) e ictus, oltre a malattie dell’aorta e delle arterie periferiche. Inoltre, il diabete è un importante fattore di rischio per lo sviluppo della malattia renale cronica (CKD), che di per sé è associata allo sviluppo di CVD. La combinazione del diabete con queste comorbidità cardio-renali aumenta il rischio non solo di eventi cardiovascolari (CV), ma anche di mortalità CV e per tutte le cause.

«I pazienti con diabete di tipo 2 hanno un rischio da due a quattro volte superiore di CVD rispetto a quelli senza diabete di tipo 2 e, quando si verificano le CVD, la prognosi è peggiore. Ad esempio, la morte per malattie cardiovascolari è superiore del 50-90% nei pazienti con insufficienza cardiaca e diabete rispetto a quelli con la sola insufficienza cardiaca. È quindi essenziale disporre di raccomandazioni specifiche per guidare la prevenzione e la gestione delle CVD nei pazienti con diabete. Un’assistenza interdisciplinare e centrata sul paziente è obbligatoria per ridurre la morbilità e la mortalità e migliorare la qualità della vita», ha dichiarato il presidente della task force per le linee guida, il professor Nikolaus Marx dell’Ospedale universitario di Aquisgrana, in Germania.

Nell’ultimo decennio, i risultati di diversi grandi studi di outcome cardiovascolare (CVOT) in pazienti con diabete ad alto rischio CV con nuovi agenti che abbassano il glucosio, come gli inibitori del co-trasportatore sodio-glucosio-2 (SGLT2) e gli agonisti del recettore del glucagone-like peptide-1 (GL-P1) (RA), ma anche i nuovi antagonisti non steroidei dei recettori dei mineralocorticoidi (MRA), come il finerenone, hanno ampliato notevolmente le opzioni terapeutiche disponibili, portando a numerose raccomandazioni basate sull’evidenza per la gestione di questa popolazione di pazienti.

Le attuali Linee Guida – a differenza delle precedenti Linee Guida ESC 2019 su diabete, pre-diabete e malattie cardiovascolari – si concentrano solo su CVD e diabete e, data la mancanza di evidenze chiare, tralasciano l’aspetto del pre-diabete.

Inoltre, questa versione delle linee guida fornisce raccomandazioni sulla stratificazione del rischio CV, nonché sullo screening, la diagnosi e il trattamento di CVD nei pazienti con diabete. Queste linee guida offrono raccomandazioni basate sull’evidenza per gestire il rischio CV nei pazienti con diabete e forniscono indicazioni per il trattamento della malattia cardiovascolare aterosclerotica (ASCVD) nei pazienti diabetici.

Il nuovo punteggio SCORE2-Diebetes
La prevalenza del diabete aumenta tra i pazienti con CVD: il 23-37% dei pazienti SCA e il 10-47% dei pazienti con HF ha diabete. Tuttavia, si stima che il 25-40% dei pazienti con CVD abbia un rischio di diabete che non viene rilevato.

Poiché la presenza di entrambe le condizioni ha un impatto notevole sulla prognosi e sul trattamento, le linee guida raccomandano lo screening sistematico del diabete in tutti i pazienti con CVD.

È altrettanto importante valutare tutti i pazienti con diabete per il rischio e la presenza di CVD. Per individualizzare le strategie di trattamento, le attuali linee guida introducono un nuovo punteggio di rischio CVD a 10 anni, specifico per il diabete mellito di tipo 2 (T2DM), lo SCORE2-Diabetes per i pazienti con T2DM senza malattia CV aterosclerotica (ASCVD) o grave danno agli organi bersaglio (TOD).

«Questo punteggio, che ora estende il consolidato algoritmo di previsione SCORE2 per il T2DM, fornisce dati sul rischio a 10 anni di eventi CVD fatali e non fatali (infarto miocardico [MI], ictus) in base alle caratteristiche del singolo paziente», spiega Bianca Rocca, professore di farmacologia, università Cattolica del Sacro Cuore di Roma e membro del Committee for Practice Guidance ESC. «Il punteggio integra le informazioni sui fattori di rischio CVD convenzionali (età, fumo, pressione arteriosa, colesterolo tota le e HDL) con le informazioni specifiche del diabete (età alla diagnosi, emoglobina glicata o HbA1c, funzionalità renale indicata da eGFR) in modo da stratificare i pazienti in rischio basso, moderato, alto o molto alto».

Insufficienza renale e rischio CV nei diabetici
Il rischio di CVD aumenta progressivamente nei pazienti diabetici con livelli inferiori di eGFR e, nei soggetti con CKD avanzata, le anomalie strutturali del cuore, l’HF, e morte improvvisa sono caratteristiche particolari. L’accelerazione della calcificazione della media vascolare con aumento della rigidità vascolare è anch’essa una caratteristica della CKD e viene attribuita a un disordine del metabolismo del calcio-fosfato, definito disordine osseo-minerale della CKD (CKD-MBD). La gestione del rischio di CVD nei pazienti con CKD e diabete può quindi richiedere interventi multipli e fattori di rischio sia tradizionali che specifici della CKD.

La terapia a base di statine riduce il rischio di eventi aterosclerotici maggiori (cioè morte coronarica, IM non fatale, ictus ischemico e rivascolarizzazione coronarica) nei pazienti con CKD, ma non rallenta in modo significativo la progressione della CKD.

Diversi farmaci sviluppati per gestire il rischio di CVD o l’iperglicemia hanno dimostrato di ridurre il rischio di progressione della CKD in ampi studi che hanno reclutato pazienti con T2DM e CKD. Tra questi vi sono gli inibitori del sistema renina-angiotensina (RAS), gli inibitori del SGLT2 e il finerenone. Vi è un crescente numero di evidenze che questi interventi dovrebbero essere iniziati precocemente per prevenire il danno agli organi finali nei pazienti a rischio.

Controllo dei livelli di glucosio e riduzione del rischio CV
Il controllo del glucosio nei soggetti con diabete ad alto rischio CV è un’area complessa e le evidenze attuali indicano la necessità di adottare molteplici misure glicemiche, tra cui la personalizzazione dei valori di HbA1c, la minimizzazione dell’esposizione alle ipoglicemie e la limitazione della variabilità del glucosio.

Il T2DM è comune tra i pazienti con malattia cardiovascolare aterosclerotica (ASCVD) o a maggior rischio di CVD. È vero anche il contrario: l’ASCVD è comune nei pazienti con T2DM. Date queste relazioni, è fondamentale considerare la presenza di T2DM quando si decidono le strategie per ridurre il rischio CV.

Oggi esistono numerosi dati che danno informazioni sull’uso preferenziale di specifici farmaci ipoglicemizzanti per ridurre il rischio CV, indipendentemente dalle considerazioni sulla gestione del glucosio. I farmaci ipoglicemizzanti possono essere prescritti con due intenti paralleli e reciprocamente esclusivi: (i) migliorare gli esiti CV e la sicurezza e (ii) controllare la glicemia.

In merito ai farmaci ipoglicemizzanti spiccano gli SGLT2 inibitori e i GL-P1 inibitori per l’efficacia nella riduzione del rischio cardiovascolare dimostrata in studi dedicati agli outcome cardiovascolari.

Gli inibitori del SGLT2 (empagliflozin, canagliflozin, dapagliflozin, sotagliflozin) sono una terapia preferenziale per la riduzione del glucosio nei pazienti con T2DM con ASCVD, indipendentemente dalle considerazioni sul controllo del glucosio e dall’uso di base di metformina (raccomandazione classe I, livello di evidenza A).

Insieme agli SGLT2 inibitori, anche i GL-P1 RA inibitori (liraglutide, semaglutide s.c., dulaglutide, efpeglenatide) sono una terapia preferenziale per la riduzione del glucosio nei pazienti con T2DM e ASCVD, indipendentemente dalle considerazioni sul controllo del glucosio e dall’uso di metformina in background (raccomandazione classe I, livello di evidenza A).

Terapia antitrombotica e diabete
Nella malattia diabetica diversi meccanismi contribuiscono all’attivazione piastrinica e alla coagulazione. L’ambiente infiammatorio, le alterazioni metaboliche, la disfunzione endoteliale e l’alterato turnover piastrinico determinano una popolazione piastrinica caratterizzata da una maggiore attivazione, da una maggiore generazione di trombina e dalla soppressione del sistema fibrinolitico. Il rilascio di trombina da parte delle piastrine e la generazione de novo attraverso l’attivazione della via coagulativa amplificano ulteriormente l’attivazione piastrinica e determinano la formazione di una rete di fibrina, svolgendo così un ruolo centrale nell’aumento del rischio di trombosi nei soggetti con diabete.

Terapia antiaggregante
«In prevenzione primaria nei pazienti con diabete senza una storia di malattia cardiovascolare aterosclerotica sintomatica o rivascolarizzazione, l’aspirina ha mantenuto in queste nuove LG una raccomandazione di classe IIb e livello di evidenza A», dice la professoressa Rocca. «Nuovi dati confermano la sicurezza di questo farmaco: l’analisi di una coorte di 15.000 pazienti trattati per 10 anni ha mostrato che l’aspirina non ha causato nuovi eventi emorragici, nuove morti o aumento della demenza. Era stata fatti l’ipotesi che l’aspirina avrebbe potuto determinare microsanguinamenti a livello cerebrale causando fenomeni di declino cognitivo come la demenza. In realtà, i dati non solo smentiscono questa ipotesi, ma anzi evidenziano un beneficio minimo, anche se non significativo».  Aspirina in prevenzione CV primaria (75-100 mg oad), in assenza di eventi cardiovascolari maggiori sintomatici, è stata raccomandata in tutti i pazienti diabetici, indipendentemente dai livelli di rischio sulla base di evidenze di trial clinici di fase 3 rigorosi e ben adeguati in termini di potenza statistica. Tuttavia, nei pazienti diabetici con ASCVD asintomatica (compresa la CAD documentata dalla diagnostica per immagini) e un rischio CV più elevato, il beneficio netto dell’inibizione piastrinica da parte dell’ASA può essere maggiore e quindi la terapia deve essere individualizzata.

«In prevenzione secondaria, la task force ha deciso di non raccomandare alcuna strategia di de-escalation cioè di riduzione della intensità della doppia terapia antiaggregante (DAPT) post sindromi coronariche acute (SCA)», prosegue la professoressa. «Per i pazienti diabetici con SCA i riferimenti sono 12 mesi di DAPT con aspirina e un inibitore di P2Y12 (clopidogrel o ticagrelor o prasugrel). Per i pazienti con sindromi coronariche croniche (SCC) è raccomandata una DAPT con aspirina e clopidogrel per una durata di 6 mesi, sulla base dello studio THEMIS (Effect of Ticagrelor on Health Outcomes in Diabetes Mellitus Patients Intervention Study) che ha mostrato un aumento dei sanguinamenti maggiori, specialmente delle emorragie intracerebrali, associando un inibitore di P2Y12 ad alta potenza, il ticagrelor, all’aspirina».

La task force sottolinea che accorciare la durata della DAPT o attuare una sua de-escalation al di sotto dei 12 mesi non è raccomandato nei pazienti con diabete nei 12 mesi successivi a una sindrome coronarica acuta. Le attuali evidenze non supportano i test di funzionalità piastrinica per aggiustare la DAPT.

Terapia anticoagulante
I pazienti diabetici con fibrillazione atriale (FA) hanno una chiara indicazione alla terapia anticoagulante orale a lungo termine. «Gli anticoagulanti orali diretti (anticoagulanti orali non antagonisti della vitamina K, NOAC) sono preferiti rispetto agli antagonisti della vitamina K, come la warfarina», ricorda Rocca. «Questi pazienti possono andare incontro a sindromi coronariche acute o croniche da trattare con angioplastica e quindi hanno necessità di aggiungere alla terapia anticoagulante una terapia antiaggregante singola o combinata. Sulla base di due recenti meta-analisi e sulla considerazione che il paziente diabetico ha un rischio trombotico elevato, la task force ha raccomandato la tripla terapia antitrombotica (TAT), cioè 2 antiaggreganti e un anticoagulante orale, per almeno una settimana dopo l’evento acuto, che può essere estesa fino a 3 mesi dopo rivascolarizzazione in funzione del profilo trombotico ed emorragico individuale del paziente affetto da diabete con FA e complicanza ischemica acuta coronarica».

Prevenzione dei sanguinamenti gastrointestinali con inibitori di pompa protonica
«Ampi trial recenti e un’analisi attenta dell’evidenza accumulata finora, hanno dimostrato che in pazienti diabetici in terapia antitrombotica il rischio di sanguinamento gastrointestinale (GI) acuto è lo stesso per clopidogrel in monoterapia e aspirina in monoterapia rispetto a ticagrelor in monoterapia e che l’aumento di questo rischio è proporzionale al numero di farmaci antitrombotici combinati», sottolinea la professoressa Rocca. «Con classe I ed evidenza di livello A viene in queste LG raccomandato dalla task force l’uso di inibitori di pompa protonica (PPI) nei pazienti in terapia antitrombotica combinata, cioè 2 antiaggreganti oppure un antiaggregante e un anticoagulante (doppia terapia antitrombotica, DAT) o in tripla terapia antitrombotica (TAT)». Qualsiasi combinazione tra terapie antitrombotiche, pertanto, necessita della prevenzione del sanguinamento GI. «Con forza inferiore, ma sempre con livello A di evidenza, l’uso di gastroprotettori, preferenzialmente PPI, viene raccomandato anche nei pazienti in singola terapia antitrombotica, cioè monoterapia antiaggregante o singola terapia anticoagulante», prosegue l’esperta.  Che aggiunge: «La task force ha dato particolare rilievo all’inibizione dell’emostasi con terapia combinata più che con singola terapia, perché le evidenze vanno in questa direzione».

Conclusioni degli autori
Gli autori firmatari del documento sottolineano come la gestione dei pazienti con diabete e CVD richieda un approccio interdisciplinare, che dovrebbe coinvolgere clinici di diverse discipline e aree di competenza per supportare un processo decisionale condiviso e implementare una strategia di trattamento personalizzata per ridurre il carico di malattia di ciascun paziente. «In definitiva, il nostro obiettivo comune nella gestione della CVD nei pazienti con diabete è quello di migliorare la prognosi e la qualità di vita correlata alla salute dei pazienti», conclude Nikolaus Marx.

Key Points
I pazienti con diabete sono a maggior rischio di sviluppare malattie cardiovascolari (CVD) quali coronaropatia (CAD), insufficienza cardiaca (HF), fibrillazione atriale (FA) e ictus, oltre a malattie dell’aorta e delle arterie periferiche

Per stratificare più correttamente il rischio CV nei pazienti con diabete tipo 2 (T2DM) le nuove linee guida ESC introducono un nuovo punteggio di rischio specifico, lo SCORE2-Diabetes

L’insufficienza renale cronica si associa a un progressivo aumento del rischio e della gravità delle malattie cardiovascolari con il progredire della riduzione dell’eGFR. Vi è un crescente numero di evidenze che SGLT2-inibitori, finerenone e RAS inibitori dovrebbero essere iniziati precocemente per prevenire il danno agli organi finali nei pazienti a rischio.

Gli inibitori del SGLT2 (empagliflozin, canagliflozin, dapagliflozin, sotagliflozin) e i GL-P1 RA inibitori (liraglutide, semaglutide s.c., dulaglutide, efpeglenatide) sono una terapia preferenziale per la riduzione del glucosio nei pazienti con T2DM con ASCVD, indipendentemente dalle considerazioni sul controllo del glucosio e dall’uso di base di metformina

Aspirina in prevenzione CV primaria (75-100 mg oad), in assenza di eventi cardiovascolari maggiori sintomatici, è stata raccomandata in tutti i pazienti diabetici, indipendentemente dai livelli di rischio

In prevenzione secondaria, la task force ha deciso di non raccomandare alcuna strategia di de-escalation cioè di riduzione della intensità della doppia terapia antiaggregante (DAPT) post sindromi coronariche acute (SCA)

Per i pazienti diabetici con SCA i riferimenti sono 12 mesi di DAPT con aspirina e un inibitore di P2Y12 (clopidogrel o ticagrelor o prasugrel). Per i pazienti con sindromi coronariche croniche (SCC) è raccomandata una DAPT con aspirina e clopidogrel per una durata di 6 mesi

Nei pazienti con diabete e fibrillazione atriale sottoposti a rivascolarizzazione la task force ha raccomandato la tripla terapia antitrombotica (TAT), cioè 2 antiaggreganti e un anticoagulante orale, per almeno una settimana dopo l’evento acuto, che può essere estesa fino a 3 mesi dopo rivascolarizzazione in funzione del profilo trombotico ed emorragico

Bibliografia
2023 ESC Guidelines for the management of cardiovascular disease in patients with diabetes. European Heart Journal. 2023. https://doi/10.1093/eurheartj/ehad192.

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