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Studio spiega cosa fare in caso di arresto cardiaco extraospedaliero

Dopo un infarto miocardico l'aggiunta dell'inibitore PCSK9 alirocumab alla terapia con statine ad alta intensità migliora la regressione e la stabilizzazione della placca coronarica

ARREST, uno studio randomizzato che ha coinvolto tutti gli ospedali di Londra, ha analizzato cosa è meglio per un paziente con arresto cardiaco extraospedaliero (OHCA)

Di fronte a un paziente con arresto cardiaco extraospedaliero (OHCA), meglio trasportarlo al pronto soccorso più vicino oppure è preferibile un centro specializzato per l’arresto cardiaco? A questa domanda ha voluto dare una risposta chiara ARREST, uno studio randomizzato che ha coinvolto tutti gli ospedali di Londra, appena presentato ad Amsterdam al congresso annuale della European Society of Cardiology (ESC) e pubblicato in contemporanea su The Lancet.

Dai risultati del trial non emergono differenze nella sopravvivenza a 30 giorni nei pazienti con arresto cardiaco rianimati che sono stati portati in ambulanza in un centro specializzato per l’arresto cardiaco rispetto a quelli trasportati al pronto soccorso più vicino. Inoltre, nel complesso non sono state rilevate differenze fra i due gruppi riguardo agli esiti neurologici alla dimissione e a 3 mesi.

«Questo studio non fornisce evidenze a supporto del trasporto di tutti i pazienti in un centro specializzato per l’arresto cardiaco dopo un arresto cardiaco rianimato nel contesto sanitario del Regno Unito. I centri per l’arresto cardiaco sono ospedali dotati di risorse elevate. Se trasportare questi pazienti a tali centri per sottoporli a svariati interventi non migliora la sopravvivenza globale, allora è meglio allocare queste risorse altrove», ha affermato l’autrice principale dello studio, Tiffany Patterson, del Guy’s and St Thomas’ NHS Foundation Trust di Londra. Inoltre, ha aggiunto, «se i pazienti in arresto cardiaco non vengono portati in tali ospedali, si libera spazio per altri interventi di emergenza – tra cui traumi, infarti del miocardio con sopraslivellamento del tratto ST e dissezione aortica acuta – che richiedono letti ad alta intensità di cura e il contributo specialistico fornito da questi centri».

Arresto cardiaco improvviso tra le principali cause di morte
Nei Paesi industrializzati l’arresto cardiaco improvviso è responsabile di un decesso su cinque ed è una delle principali cause di morte e disabilità in tutto il mondo. La rianimazione cardiopolmonare da parte dei non addetti ai lavori, la defibrillazione precoce e i progressi nella gestione intraospedaliera hanno migliorato la prognosi dei pazienti che vanno incontro a un OHCA. Nonostante ciò, su 10 pazienti rianimati da un OHCA, solo uno sopravvive fino alla dimissione ospedaliera.

I centri specializzati per l’arresto cardiaco forniscono un livello di assistenza per le condizioni cardiache acute, servizi di diagnostica per immagini e un’appropriata neuroprognostica superiori a quanto disponibile nei dipartimenti di pronto soccorso convenzionali.

Dati forniti da studi precedenti non randomizzati hanno suggerito che il trasferimento in ambulanza dei pazienti con OHCA ai centri specializzati per l’arresto cardiaco migliora la sopravvivenza, e vi è una forte spinta a livello internazionale per trattare preferenzialmente le vittime di arresto cardiaco presso questi centri. Pertanto, l’International Liaison Committee on Resuscitation (ILCOR) ha richiesto uno studio randomizzato per generare prove più robuste sul tema.

Lo studio ARREST
Nello studio ARREST, la Patterson e gli altri autori hanno quindi valutato se il trasferimento rapido dei pazienti con OHCA a un centro specializzato per l’arresto cardiaco sia in grado di ridurre la mortalità rispetto al trasferimento al pronto soccorso più vicino, che è l’attuale approccio standard. Gli autori hanno anche analizzato se vi fossero differenze fra le due strategie negli esiti neurologici. Si trattava di uno studio randomizzato e controllato condotto in ambito pre-ospedaliero in tutta Londra, nel quale si è valutato, appunto, il percorso di cura più appropriato da seguire per questi pazienti.

Pazienti rianimati con successo dopo un OHCA, ma senza sopraslivellamento del tratto ST nell’elettrocardiogramma (ECG) post-rianimazione, sono stati assegnati al trasferimento rapido a un centro per l’arresto cardiaco (a Londra ce ne sono sette) oppure al trasporto al pronto soccorso più vicino (Londra ne conta 32), entrambi effettuati dal London Ambulance Service. Nel primo braccio, i paramedici hanno allertato il centro per l’arresto cardiaco ricevente prima dell’arrivo dell’ambulanza.

L’endpoint primario era la mortalità per tutte le cause a 30 giorni nella popolazione Intention-To-Treat. Gli endpoint secondari comprendevano la mortalità per tutte le cause a 3 mesi e gli esiti neurologici alla dimissione e a 3 mesi, valutati mediante la scala Rankin modificata e il punteggio della categoria di performance cerebrale (CPC).

Nessuna differenza significativa di mortalità a 30 giorni con i due approcci
Tra il 15 gennaio 2018 e l’1 dicembre 2022 sono stati arruolati complessivamente 862 pazienti, di cui 431 (50%) sono stati assegnati dai paramedici del London Ambulance Service al trasferimento rapido in un centro per l’arresto cardiaco e 431 (50%) all’approccio standard. Circa il 32% dei partecipanti erano donne.

La mortalità per tutte le cause a 30 giorni è risultata del 63% in entrambi i gruppi (rapporto di rischio [RR] non aggiustato per la sopravvivenza 1,00; IC al 95% 0,90-1,11; P = 0,96). «Gli intervalli di confidenza erano molto stretti e lo studio aveva una potenza statistica adeguata per mostrare l’assenza di differenze fra i due gruppi», ha sottolineato la Patterson in un’intervista.

Non è stata riscontrata alcuna differenza fra i due gruppi nemmeno per quanto riguarda la mortalità per tutte le cause a 3 mesi (RR 1,02; IC al 95% 0,92-1,12) e anche gli esiti neurologici alla dimissione ospedaliera sono risultati simili sia quando valutati con la scala Rankin modificata (OR 1,00; IC al 95% 0,76-1,32) sia con il punteggio della CPC (OR 0,98; IC al 95% 0,74-1,30), così come quelli a 3 mesi (OR 0,98; IC al 95% 0,73-1,31) (OR 0,98; IC al 95% 0,73-1,31).

Implicazioni pratiche
Riguardo alle implicazioni dello studio, la Patterson e i colleghi scrivono su The Lancet che «dopo l’arresto cardiaco, la probabilità di sopravvivenza dei pazienti che sono stati trasportati a un centro specializzato per l’arresto cardiaco dotato di risorse adeguate e con accesso a molteplici strutture volte a migliorare gli esiti, non è aumentata».

Gli autori osservano che questo risultato è in contrasto con i dati di studi osservazionali precedenti che hanno mostrato, invece, un beneficio di sopravvivenza. Tuttavia, aggiungono, i risultati sono coerenti con quelli di studi in cui sono state valutato le cure post-rianimazione, fra cui l’angiografia immediata nella popolazione senza sopraslivellamento del tratto ST e l’ipotermia, che non hanno mostrato un beneficio di sopravvivenza.

«Abbiamo dimostrato che il trasporto dei pazienti al pronto soccorso più vicino dopo un presunto arresto cardiaco senza sopraslivellamento del tratto ST è un approccio ragionevole e dà risultati simili al trasferimento a un centro specializzato per l’arresto cardiaco nel contesto sanitario del Regno Unito», affermano i ricercatori.

Possibile beneficio nei pazienti sotto i 57 anni
Tuttavia, potrebbe esserci uno specifico sottogruppo di pazienti che beneficia del trasferimento rapido in un centro specializzato per l’arresto cardiaco: quello dei pazienti più giovani.

«Abbiamo eseguito un’analisi di sottogruppo e preso in esame diversi fattori. Anche se vanno interpretati con cautela, i risultati indicano un possibile vantaggio di sopravvivenza qualora il paziente venga trasportato a un centro specializzato per l’arresto cardiaco per i soggetti al di sotto dei 57 anni», ha spiegato la Patterson. Invece, fra i pazienti portati al pronto soccorso più vicino, la mortalità è stata inaspettatamente più bassa nella fascia di età 57-71 anni che non nel sottogruppo degli under 57. Anche se questi risultati potrebbero essere semplicemente frutto del caso, scrivono gli autori, il beneficio di sopravvivenza riscontrato nei pazienti con meno di 57 anni portati al centro specializzato potrebbe essere legato alla patogenesi dell’arresto in questo gruppo di soggetti più giovani, con un maggior potenziale di reversibilità e una maggiore riserva fisiologica. In ogni caso, questa è un’area che dovrà essere esplorata meglio negli studi futuri.

Bibliografia
T. Patterson, et al. Expedited transfer to a cardiac arrest centre for non-ST-elevation out-of-hospital cardiac arrest (ARREST): a UK prospective, multicentre, parallel, randomised clinical trial. The Lancet. 2023. Link

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