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Studio analizza angiografia coronarica per arresto cardiaco

Statine, ezetimibe e anti-PCSK9: un metodo per fornire ai pazienti con sindrome coronarica acuta una terapia ottimizzata in grado di ridurre i tassi di mortalità e morbilità

Affrettare rapidamente i pazienti con arresto cardiaco rianimato all’angiografia coronarica invece di adottare un approccio più selettivo o ritardato non conviene

Affrettare rapidamente i pazienti con arresto cardiaco rianimato all’angiografia coronarica invece di adottare un approccio più selettivo o ritardato non salva vite umane né migliora i risultati neurologici. Lo dimostra lo studio TOMAHAWK (Immediate angiography after out-of-hospital cardiac arrest without ST-elevation), i cui risultati sono stati presentati all’ESC 2021 e pubblicati online contemporaneamente sul “New England Journal of Medicine”.

Il messaggio principale che emerge dallo studio, condotto su pazienti la cui causa di arresto cardiaco extra-ospedaliero (OHCA) era sconosciuta e che non avevano evidenza ECG di elevazione del segmento ST, sta a significare che cercare di verificare rapidamente il coinvolgimento coronarico in questi soggetti non dovrebbe essere la massima priorità.

Il primo autore Steffen Desch,  del Centro Cardiologico Universitario di Lipsia (Germania) ha sottolineato che non interpreta tali risultati come negativi. «In effetti, questo è uno studio neutrale, ma per il clinico in realtà contiene un messaggio molto prezioso nascosto tra le righe».

In altre parole, ha spiegato, «quando un intensivista o un cardiologo interventista si trova di fronte a un paziente senza elevazione del segmento ST, non deve realmente affrettare le cose e questo rende tutto molto più agevole».

«Si tratta effettivamente di una consapevolezza positiva, perché lo specialista può prendersi il suo tempo, approfondire la fase diagnostica, aspettare i dati di laboratorio ed eventualmente raccogliere una storia clinica dai parenti. Tutto questo rende la diagnosi molto più stabile, rappresentando un bene anche in termini di sicurezza per il paziente».
Coinvolti oltre 500 pazienti
Desch e colleghi hanno randomizzato 554 pazienti che erano stati rianimati con successo dopo OHCA a sottoporsi ad angiografia coronarica immediata o a essere valutati in terapia intensiva, seguita da cateterismo cardiaco ritardato o selettivo, in uno dei 31 siti di studio dislocati in Germania e Danimarca. Completamente 530 pazienti sono stati inclusi nell’analisi primaria.

La morte per qualsiasi causa a 30 giorni (endpoint primario) si è verificata nel 54% del gruppo angiografia immediata e nel 46% del gruppo angiografia ritardata (fig.1), una differenza non statisticamente significativa ma che si è confermata in ulteriori indagini, comprese le analisi per protocol e intention-to-treat.

La maggior parte dei pazienti in entrambi i gruppi è morta per grave lesione cerebrale anossica o collasso circolatorio.

Una serie di endpoint secondari, compresi i tassi di gravi deficit neurologici, non erano diversi tra i due gruppi. Né gli endpoint di sicurezza – tra cui sanguinamento, ictus o insufficienza renale – differivano significativamente tra i gruppi, suggerendo che l’angiografia precoce non era associata a un danno maggiore.

Rafforzamento dei risultati dello studio COACT
«I risultati di TOMAHAWK supportano quelli di COACT – un precedente studio randomizzato condotto su pazienti in arresto solo con ritmi shockabili – che non aveva trovato alcuna differenza significativa negli esiti clinici tra un angiografia coronarica immediata e ritardata a 90 giorni e a 1 anno» ha affermato Desch.

In tal senso, ha aggiunto, la mancanza di benefici derivanti dall’angiografia precoce parla davvero del fatto che solo una minoranza di pazienti in genere ha lesioni coronariche colpevoli (culprit) sottostanti (40% complessivo in TOMAHAWK). Ma anche in questi casi, il danno neurologico può superare qualsiasi beneficio della diagnosi cardiaca precoce

TOMAHAWK si è concentrato sui pazienti senza segni di coinvolgimento cardiaco all’ECG, ma Desch ha sottolineato che anche se l’intervento rapido è considerato la migliore pratica nei pazienti con arresto cardiaco ed elevazione del segmento ST, ciò non si basa sulle prove di studi clinici. Probabilmente non ci sarà mai uno studio randomizzato in pazienti OCHA con STEMI perché la PCI primaria è la strategia di base per STEMI.

«Peraltro potrebbe essere che anche i pazienti STEMI con OCHA non traggano beneficio dall’angiografia precoce; questo non lo sappiamo» ha fatto notare. «Osserviamo nella pratica clinica abbastanza spesso che si porta un paziente STEMI rianimato al laboratorio di emodinamica ma poi il paziente muore forse 1 o 2 settimane per cause neurologiche. In retrospettiva, l’intera routine di cateterismo cardiaca si rivela inutile».

Naturalmente, ha detto, ci possono essere altri casi in cui il rapido trasferimento all’emodinamica si rivela salvavita. Eppure in molti casi la prognosi neurologica può prevalere su qualsiasi guadagno che può essere fatto da un rapido traporto all’emodinamica, punto rafforzato dai risultati di TOMAHAWK, ha detto Desch.

Il significato clinico della sperimentazione
«Lo studio TOMAHAWK mi offre informazioni utili per quanto riguarda l’opportunità di ridurre al minimo il danno, che è molto di ciò che riguarda la terapia intensiva» ha affermato Susanna Price, del Royal Brompton Hospital, Londra (UK).

«Quindi non abbiamo necessariamente bisogno di spostare questi pazienti in fase molto acuta quando sono appena entrati nel dipartimento di Emergenza, e questo ha implicazioni per l’utilizzo delle risorse, ma anche implicazioni per mobilitare i pazienti intorno all’ospedale durante la pandemia da COVID-19».

Price ha sottolineato che l’angiografia coronarica era la linea d’azione concordata per alcuni pazienti, «quindi abbiamo ancora bisogno di avere quel dialogo con i nostri cardiologi interventisti per alcuni pazienti che potrebbero aver bisogno di andare al laboratorio di emodinamica».

Durante la discussione, inoltre, i relatori hanno approfondito uno dei risultati dell’endpoint secondario, il composito di morte per tutte le cause o deficit neurologico grave, che era più alto nel gruppo angiografia immediata rispetto al gruppo angiografia ritardata /selettiva (64,3% vs 55,6%; RR 1,16; 95% CI 1,00-1,34), una differenza che il moderatore della sessione e presidente eletto dell’ESC Franz Weidinger, del Rudolfstiftung Hospital di Vienna (Austria), ha caratterizzato come “borderline significativo”.

Alla domanda se questo fosse qualcosa di cui sarebbe preoccupato, il relatore Stephan Windecker, dell’Ospedale universitario di Berna (Svizzera), ha risposto negativamente.

«I risultati sono piuttosto chiari così come sono» ha specificato. «Non dovremmo affrettare i pazienti verso un’angiografia coronarica invasiva, ma penso che sia un passo troppo lontano dire che c’è un danno reale» ha detto Windecker.

«I risultati parlano da soli. Dovremmo assumere una risposta più misurata, prendere tempo per un’attenta valutazione dei pazienti più compromessi e sapere che il risultato è probabilmente dominato dalla mortalità e dagli scarsi esiti neurologici».

Bibliografia
Desch S, Freund A, Akin I, et al. Angiography after Out-of-Hospital Cardiac Arrest without ST-Segment Elevation. N Engl J Med. 2021 Aug 29. doi: 10.1056/NEJMoa2101909. [Epub ahead of print] Link

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