Nuovo studio scopre da dove provengono le “nostre” meteoriti


Albino Carbognani (Inaf) e Marco Fenucci (Esa) sono riusciti a ottenere la prima stima del contributo delle collisioni che avvengono fra i Nea e la popolazione di meteoriti terrestri

Trovati frammenti della meteorite di Capodanno

Da dove provengono le meteoriti? Da quale oggetto celeste si sono “staccati” – a seguito di una collisione – i frammenti di materiale extraterrestre che ci arrivano ogni tanto dal cielo, attraversando l’atmosfera dando vita a brillanti meteore o fireball per poi raggiungere il suolo e diventare, appunto, meteoriti? Delle circa 70mila meteoriti a oggi raccolte e catalogate, 277 sembrano essere giunte da Marte (dati aggiornati al 2020) e 317 dalla Luna (dati aggiornati al 2019). A dircelo è la loro composizione. Siamo però così a meno dell’un per cento. E tutte le altre? La maggior parte ha sicuramente origine nella Fascia principale (la cosiddetta main belt), ovvero dagli asteroidi in orbita fra Marte e Giove, ma una percentuale significativa proviene dai Nea, gli asteroidi near-Earth. Dal Sistema solare interno, dunque.

Quale percentuale? Lo ha provato a stimare per la prima volta uno studio, pubblicato la settimana scorsa su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, condotto da due astronomi italiani, Albino Carbognani dell’Istituto nazionale di astrofisica (nonché assiduo collaboratore di Media Inaf) e Marco Fenucci del Neo Coordination Centre dell’Agenzia spaziale europea, a Frascati. E il risultato lascia sorpresi: ben una meteorite su quattro, fra quelle con orbite conosciute, avrebbe origine dai Nea, e in particolare da collisioni fra Nea.

Il metodo seguito

Prima di soffermarci su questo risultato, cerchiamo di capire come hanno fatto i due scienziati ad arrivarci. Partiamo proprio dal fireball, dalla scia che i meteoroidi lasciano in cielo. L’ultimo è quello di sabato scorso: una traccia sul cielo del Molise registrata da due fotocamere della rete Prisma. Triangolando i dati, gli astronomi sono riusciti a prolungarla in avanti fino a individuare la zona in cui la meteorite sopravvissuta all’ingresso in atmosfera potrebbe essere caduta. Per poi magari riuscire a ritrovarne alcuni frammenti, com’è successo lo scorso febbraio a Matera e all’inizio del 2020 a Cavezzo. Ebbene, se prolungare quelle tracce luminose in avanti permette di stimare quale possa essere la destinazione dei frammenti (il punto di arrivo), estendendole all’indietro – nello spazio e nel tempo – può consentire di risalire al mittente: l’oggetto di partenza.

Ed è proprio questa la strada che hanno percorso i due autori dello studio. Anzitutto hanno preso in esame le meteoriti di cui è nota con buona precisione l’orbita: sono pochissime, escludendo le più recenti sono appena 44, viste cadere sulla Terra fra il 1959 e il 2021. Fra queste ne hanno poi selezionate 38, quelle per le quali si conosce non solo l’orbita ma anche il radiante geocentrico, vale a dire la posizione in cielo dalla quale è arrivato il fireball associato alla meteorite.

A quel punto, «per trovare quali Nea potrebbero essere i possibili progenitori di una data meteorite», spiega Fenucci a Media Inaf, «abbiamo usato due passi. Nel primo passo si cercano dei candidati progenitori in tutta la popolazione conosciuta dei Nea, tramite una “distanza” che è possibile calcolare grazie ai dati osservativi della fireball e ai dati orbitali dei Nea. Se per un certo Nea questa distanza risulta piccola abbastanza, c’è una buona probabilità che questo sia l’asteroide progenitore della meteorite. Per verificare più in dettaglio questa ipotesi, al secondo passo si calcolano a ritroso le evoluzioni orbitali sia del Nea candidato progenitore, che del meteoroide. Se durante l’evoluzione passata le orbite del Nea e del meteoroide risultano vicine in qualche istante, allora la connessione tra i due oggetti è altamente probabile».

Raccontato così può sembrare semplice, ma in realtà il calcolo a ritroso dell’evoluzione passata delle due orbite – quelle delle meteoriti e quelle dei Nea – è assai complesso, e non può spingersi indietro nel tempo oltre i 100mila anni, «perché dopo questo intervallo le incertezze diventano troppo grandi per trarre conclusioni», sottolinea Fenucci. Nonostante questo limite, è stato comunque possibile riuscire ad associare 12 abbinamenti Nea-meteorite a un evento di collisione che ha coinvolto il Nea progenitore. «In particolare», dice Carbognani, «abbiamo determinato il probabile asteroide di origine delle meteoriti Pribram e Neuschwanstein con il Nea (482488) 2012 SW20 e la meteorite Motopi Pan con (454100) 2013 BO73. Quest’ultimo asteroide era già stato individuato come possibile progenitore da altri ricercatori, ed è una bella conferma».

Il processo all’origine delle separazioni

Oltre agli oggetti progenitori, dallo studio è poi emerso anche il processo all’origine del distacco dei meteoroidi. «Calcolando le velocità relative», spiega infatti Fenucci, «è possibile ipotizzare che tipo di evento ha dato origine alla separazione. Nel nostro caso, le velocità relative erano compatibili con quelle che si hanno tipicamente in una collisione tra due asteroidi».

Quanto alle dimensioni degli asteroidi coinvolti, «poiché fra il Nea e il meteoroide che ha generato la meteorite venivano età di separazione dell’ordine di 10mila anni», continua Carbognani, «abbiamo verificato se questo valore tornasse con l’intervallo medio di collisione fra i piccoli Nea (quelli da 1-2 metri di diametro di cui conosciamo la frequenza di collisione dai dati satellitari) e i Nea un po’ più grandi, dell’ordine di 100 metri di diametro, simili ai progenitori che avevamo trovato. In effetti è proprio così: in media possiamo aspettarci una collisione fra piccoli e piccolissimi Nea ogni 30mila anni, ossia lo stesso ordine di grandezza della separazione Nea-meteorite».

Conseguenze per la difesa planetaria

Riassumendo: circa il 25 per cento delle meteoriti parrebbe aver origine da collisioni fra coppie di asteroidi di tipo near-Earth, perlopiù fra oggetti piccoli e piccolissimi. Quest’ultimo aspetto è importante anche in riferimento all’eventuale rischio che queste collisioni fra Nea comportano per il nostro pianeta. «Durante una collisione tra un asteroide di circa 100 metri e un corpo della dimensione di 1 metro si creano dei frammenti che vengono poi espulsi nello spazio interplanetario, come anche dimostrato recentemente nella missione Dart della Nasa», ricorda Fenucci. «Questi frammenti possono poi colpire il nostro pianeta nel futuro. Fortunatamente, i frammenti generati da questo tipo di eventi sono generalmente più piccoli di 10 metri, quindi non causerebbero danni particolari in caso di impatto con la Terra».

«È vero che queste collisioni potrebbero anche alterare l’orbita del Nea più grande: nel caso in cui un evento del genere venga osservato», continua Fenucci, «sarebbe comunque possibile calcolare la nuova orbita grazie a osservazioni successive, e di conseguenza calcolare le nuove probabilità di impatto con la Terra. Questi compiti vengono effettuati giornalmente dal Neo Coordination Centre dell’Esa, dal servizio NeoDys e dalla Nasa. Tuttavia, c’è da sottolineare che è molto improbabile osservare questi eventi, data la frequenza stimata di uno ogni 30mila anni».

L’importanza del tracciamento delle meteore

Tornando al metodo seguito dagli autori dello studio, dunque dalla triangolazione dei dati messi a disposizione dalla registrazione delle tracce dei fireball, c’è infine un aspetto che va sottolineato: ogni meteorite della quale si riesca a stabilire con ragionevole certezza l’origine rappresenta per la scienza un dono inestimabile, in quanto è possibile analizzarne la composizione in laboratorio. Ma per arrivare al corretto abbinamento occorre, come abbiamo visto, aver registrato quelle tracce, per poterle poi prolungare avanti e indietro fino a trovare la meteorite stessa e a risalire al suo progenitore.

«Va notato che le 44 meteoriti di cui si conosce l’orbita sono pochissime rispetto alle circa 70mila meteoriti raccolte sulla Terra», sottolinea a questo proposito Carbognani. «Questo dato ci fa capire perché è importante cercare di triangolare i fireball che possono dare luogo a una caduta: in questo modo si può indagare direttamente sull’origine dinamica del meteoroide. E se risulta associato a qualche Nea noto, allora è possibile studiare la composizione chimica del Nea senza inviare sonde. Fino a poco tempo fa le meteoriti italiane erano assenti da questo particolare elenco, poi, grazie alla rete Prisma coordinata dall’Inaf, sono state recuperate le meteoriti Cavezzo e Matera».


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