Abbassamento intensivo della pressione utile anche nei pazienti fragili


I pazienti con fragilità traggono gli stessi benefici dall’abbassamento intensivo della pressione sanguigna di quelli che non sono fragili

pfas

I pazienti con fragilità traggono gli stessi benefici dall’abbassamento intensivo della pressione sanguigna di quelli che non sono fragili. Lo suggerisce un’analisi post hoc dello studio SPRINT, i cui risultati sono stati pubblicati online su “Circulation”.

La fragilità non ha influenzato in modo significativo i vantaggi del trattamento di un target di pressione sistolica inferiore a 120 mm Hg rispetto a uno inferiore a 140 mm Hg in una varietà di esiti, né ha aumentato la probabilità di gravi eventi avversi, riferiscono i ricercatori guidati da Zhiyan Wang, dell’Ospedale Anzhen di Pechino.

«I pazienti con fragilità hanno bisogno di cure speciali perché hanno maggiori probabilità di andare incontro a eventi cardiovascolari (CV)» scrivono, aggiungendo che, peraltro, «la terapia antipertensiva intensiva può essere applicata ai pazienti con fragilità senza preoccupazioni non necessarie per eventuali danni».

I medici tendono a essere più attenti quando trattano pazienti che considerano fragili, anche se ci sono pochi studi che hanno specificamente affrontato l’uso del controllo intensivo della pressione arteriosa in questo sottogruppo, rilevano Wang e colleghi.

«Con i cambiamenti demografici, affrontare le strategie di gestione della pressione arteriosa nella popolazione fragile sta diventando più importante che mai» sostengono. I risultati dello studio RETREAT-FRAIL, in corso, che sta valutando una riduzione del trattamento antipertensivo in pazienti fragili di età superiore agli 80 anni che hanno una bassa pressione arteriosa «sono attesi con impazienza».

Analisi post hoc dello studio SPRINT
Wang et al sottolineano che ci sono alcune prove che indicano come i pazienti fragili stiano meglio quando la loro pressione arteriosa rimane più alta, anche se ciò potrebbe essere correlato alla causalità inversa, cioè derivante da un calo della pressione arteriosa verso la fine della vita.

Per scoprire se gli effetti di una gestione più intensiva della pressione differissero in base allo stato di fragilità, i ricercatori si sono basati sullo studio SPRINT che ha dimostrato – in 9.361 pazienti con ipertensione e alto rischio cardiovascolare – che mirare al target della pressione sistolica inferiore ha ridotto gli eventi CV di un 25% relativo.

L’analisi attuale ha incluso 9.306 partecipanti (età media 67,9 anni; 33,5% donne) che avevano abbastanza informazioni disponibili per calcolare un indice di fragilità precedentemente sviluppato dai ricercatori SPRINT. Sulla base di questo, il 26,7% dei partecipanti è stato considerato fragile.

Nel corso di un follow-up mediano di 3,22 anni, i pazienti fragili rispetto a quelli non fragili hanno mostrato un rischio maggiore dell’esito composito primario (infarto del miocardio [IM], sindrome coronarica [ACS] senza IM, ictus, insufficienza cardiaca [HF] acuta scompensata e morte CV), sia nel braccio di trattamento intensivo (HR aggiustato 2,10; IC 95% 1,59-2,77) che nel braccio di trattamento standard (HR aggiustato 1,85; IC 95% 1,46-2,35).

L’impatto benefico dell’abbassamento intensivo della pressione arteriosa, però, non differiva in base allo stato di fragilità in termini di esito primario (P = 0,35 per l’interazione) o della maggior parte degli esiti secondari. L’unica eccezione era correlata alla mortalità CV, che non era significativamente ridotta nei pazienti fragili (HR 0,91; IC 95% 0,52-1,60) ma lo era in quelli senza fragilità (HR 0,30; IC 95% 0,16-0,59; P = 0,01 per l’interazione).

La fragilità non ha influenzato significativamente neppure il rischio di gravi eventi avversi complessivi con un trattamento intensivo (P = 0,98 per l’interazione). Sebbene l’obiettivo di abbassare la pressione arteriosa aumentasse i rischi di ipotensione, danno renale acuto, squilibrio elettrolitico, bassa natriemia e bassa potassiemia, tali effetti non differivano in base allo stato di fragilità.

L’importanza di misurazioni pressorie di alta qualità
I risultati di questa analisi sono coerenti con alcuni studi precedenti – ha osservato Adam Bress, dell’Università dello Utah di Salt Lake City) – tra cui uno del suo gruppo che ha dimostrato i benefici dell’abbassamento intensivo della pressione arteriosa nei vari livelli di rischio di malattia CV basale, correlati con la fragilità.

Per quanto riguarda i pazienti fragili e non fragili, «non ci sono prove che siano diversi» in termini di impatto del trattamento intensivo, ha detto Bress.

Questa è una scoperta importante per la cura del paziente, ha aggiunto. «Per le persone fragili c’è preoccupazione o cautela tra i medici nel non abbassare troppo la pressione arteriosa, e comprensibilmente. Questi dati mostrano che ottengono ancora un grande beneficio per le malattie CV se si pongono le persone nella zona Goldilocks, con il giusto livello di pressione arteriosa, che i dati nel 2023 indicano che corrisponda all’intervallo 120-130 mm Hg per la maggior parte delle persone, comprese quelle fragili». I pazienti con fragilità possono essere trattati allo stesso modo degli altri, ha concluso Bress.

Per tutti i pazienti, tuttavia, è fondamentale una misurazione della pressione arteriosa di alta qualità – incluse quelle ambulatoriali – per ottenere i migliori risultati, ha sottolineato Bress, suggerendo che alcune delle esperienze negative che i medici possono aver avuto nel trattamento dell’ipertensione in pazienti fragili potrebbero essere state correlate a come questi hanno risposto a letture erroneamente elevate nella realtà clinica.

Fonte:
Wang Z, Du X, Hua C, et al. The Effect of Frailty on the Efficacy and Safety of Intensive Blood Pressure Control: A Post Hoc Analysis of the SPRINT Trial. Circulation, 2023 Jul 4. doi: 10.1161/CIRCULATIONAHA.123.064003. [Epub ahead of print] leggi