Incidenza di fibrillazione atriale maggiore in chi prende antitumorali


Nei pazienti sottoposti ad alcuni trattamenti antitumorali nella pratica clinica, l’incidenza della fibrillazione atriale sembra essere più alta

Solo il 76% dei pazienti colpiti da infarto con dispnea o affaticamento come sintomo principale è vivo a un anno, rispetto al 94% di quelli con dolore toracico

Nei pazienti sottoposti ad alcuni trattamenti antitumorali nella pratica clinica, l’incidenza della fibrillazione atriale sembra essere più alta rispetto a quella indicata dagli studi clinici, in special modo per gli inibitori della tirosin chinasi di Bruton (BTK), utilizzati per la cura di svariate neoplasie ematologiche. Lo evidenziano i risultati di una nuova metanalisi pubblicati di recente sul Journal of American College Cardiology (JACC): CardioOncology.

È noto che la fibrillazione atriale può insorgere già dopo una diagnosi di tumore e anche durante o dopo il trattamento antitumorale. Come spiegano Joachim Alexandre, dell’Université de Caen Normandie (in Francia) e i colleghi, i fattori che ne aumentano l’incidenza includono, tra gli altri, l’infiammazione sistemica, la regolazione immunitaria alterata, le fluttuazioni degli elettroliti e un’ossigenazione compromessa. Tuttavia, in molti casi non è chiaro se il responsabile dell’aumento del rischio di fibrillazione atriale possa essere il trattamento antitumorale o lo stesso tumore.

La metanalisi ha evidenziato che in studi clinici che hanno coinvolto 15 farmaci antitumorali, due inibitori di BTK (ibrutinib e ponatinib) e un antimetabolita (clofarabina) sono risultati gli agenti associati all’incidenza annua più alta di fibrillazione atriale, superiore a quella associata al trattamento con un placebo.

«A nostro avviso, nelle sperimentazioni sugli inibitori di BTK, che sono associati a un rischio aumentato di fibrillazione atriale, si dovrebbe considerare l’introduzione di una procedura standardizzata per rilevare la fibrillazione atriale che non si basi solo sull’elettrocardiogramma a 12 derivazioni eseguito quando insorgono i sintomi correlati alla fibrillazione atriale, ma anche su un monitoraggio ambulatoriale più a lungo termine o con monitor cardiaci impiantabili, al fine di rilevare la fibrillazione atriale subclinica», si legge nell’articolo.

L’associazione fra inibitori di BTK, ibrutinib in particolare, e aumento del rischio di fibrillazione atriale era già nota, ma nella nuova metanalisi l’entità di tale aumento è risultata maggiore rispetto a quanto riportato in altri studi e ha implicazioni per la pratica clinica.

Analisi precedenti
Come nella popolazione generale, anche nei pazienti oncologici è stato dimostrato che la fibrillazione atriale è associata ad aumento della mortalità, sindrome coronarica acuta, insufficienza cardiaca e ictus.

In una precedente analisi, pubblicata agli inizi del 2022 e condotta utilizzando il database Surveillance, Epidemiology, and End Results (SEER)-Medicare, era stato evidenziato che le pazienti con tumore al seno nelle quali era stata riscontrata fibrillazione atriale entro 30 giorni dalla diagnosi presentavano un rischio di mortalità per tutte le cause e per mortalità cardiovascolare a un anno maggiore rispetto alle pazienti in cui non si era manifestata fibrillazione atriale.

Tali risultati evidenziano che molti pazienti sono trattati con farmaci di cui non si conosce il rischio effettivo di fibrillazione atriale o di altre aritmie cardiache finché non vengono utilizzati nella pratica clinica.

La metanalisi
In questa ultima metanalisi, gli autori hanno ricercato su ClinicalTrials.gov gli studi oncologici di fase 2 e 3, relativi a 19 diversi farmaci antitumorali utilizzati in monoterapia, individuando 191 trial, di cui circa la metà era rappresentata da studi randomizzati contro placebo. Hanno poi confrontato il tasso di incidenza annualizzato delle segnalazioni di fibrillazione atriale associata all’esposizione agli antitumorali e nei pazienti trattati con il placebo.

Alcuni studi includevano pazienti pediatrici e l’età media in tutti gli studi variava da 7,5 a 78 anni. Inoltre, l’età media del follow-up andava da 2,7 a 138 mesi.

Le classi di farmaci in studio comprendevano agenti alchilanti, antiandrogeni, antimetaboliti, antracicline, inibitori delle chinasi, inibitori dei checkpoint immunitari, anticorpi monoclonali, un inibitore del proteasoma e un taxano.

Nessuno degli studi presi in esame prevedeva un protocollo specifico per rilevare la fibrillazione atriale e i disturbi del ritmo cardiaco sono stati diagnosticati solo nei pazienti sintomatici e che avevano una fibrillazione atriale accertata con l’elettrocardiogramma.

Dei 19 farmaci valutati, è stato possibile calcolare i tassi di incidenza per 15 somministrati in monoterapia. Su 26.604 pazienti trattati con uno dei 15 agenti utilizzati, 485 hanno sviluppato fibrillazione atriale.

Il rischio è risultato più alto con ibrutinib, con una stima di 4,92 casi ogni 100 anni-persona (IC al 95% 2,91-8,31), seguito da clofarabina (2,38; IC al 95% 0,66-8,55) e ponatinib (2,35; IC al 95% 1,78-3,12). Al contrario, l’incidenza annualizzata della fibrillazione atriale nei pazienti trattati con un placebo è risultata di 0,25 casi ogni 100 anni-persona.

Eventi avversi cardiaci ancora non sufficientemente segnalati
Nel lavoro, gli autori osservano che sebbene le segnalazioni dei casi di fibrillazione atriale durante una terapia antitumorale sembrino essere aumentate da quando la Food and drug administration (Fda) ha reso obbligatoria la raccolta di eventi avversi negli studi clinici nel 2009, la sotto-segnalazione degli eventi avversi cardiaci negli studi oncologici rimane un problema che rende più difficile capire quali farmaci presentino rischi maggiori per la sicurezza.

Giusto la settimana scorsa, l’agenzia statunitense ha messo parzialmente in pausa tutti gli studi su un inibitore di BTK in sviluppo per il trattamento del linfoma del sistema nervoso centrale dopo la segnalazione di casi di fibrillazione atriale e il decesso di due pazienti.

In uno studio precedente, utilizzando un database differente Alexandre e i colleghi avevano trovato associazioni con la fibrillazione atriale per tutti i 19 agenti presi in esame. Secondo i ricercatori, la discrepanza fra questo risultato e quello della nuova metnalisi, nella quale solo tre agenti hanno spiccato sopra gli altri per il rischio associato di fibrillazione atriale, non è del tutto chiara e potrebbe essere legata a problemi di sotto-segnalazione.

Questo problema potrebbe diventare ancora più grave nei prossimi anni, dal momento che il numero di farmaci antitumorali continua ad aumentare. Spesso può succedere che si attribuisca la fibrillazione atriale all’età del paziente o a qualche altra causa di alterazione del ritmo cardiaco, ma la nuova metanalisi dimostra che spesso, invece, può essere legata al trattamento somministrato.

Uno degli aspetti più interessanti evidenziati dal nuovo studio è che il rischio di fibrillazione atriale associato ad alcuni degli altri farmaci, al di là dei tre ‘incriminati’, è risultato in realtà più alto nei pazienti più giovani, nei quali ci si aspetterebbe un minor numero di comorbidità, quali ipertensione e diabete, che potrebbero influenzare il rischio di fibrillazione atriale.

Da sottolineare, inoltre, che l’inclusione dei bracci placebo nei calcoli sull’incidenza della fibrillazione atriale in queste analisi aiuta a dissipare alcune delle incertezze sul ruolo del tumore in sé nell’insorgenza della fibrillazione atriale.

Bibliografia

Alexandre, et al. Atrial Fibrillation Incidence Associated With Exposure to Anticancer Drugs Used as Monotherapy in Clinical Trials. J Am Coll Cardiol CardioOnc. Mar 28, 2023. E published DOI: 10.1016/j.jaccao.2022.11.019. https://www.jacc.org/doi/10.1016/j.jaccao.2022.11.019