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Sindromi coronariche croniche: rivascolarizzazione coronarica sicura

Malattia di Danon: in corso un trial per valutare una terapia genica per la malattia rara cardiaca. Si studia anche il funzionamento terapia cellulare sul cuore infartuato

Non vi è alcun rischio in eccesso di morte per cause non cardiache in pazienti con sindromi coronariche croniche (CCS) trattati con rivascolarizzazione e terapia medica

Non vi è alcun rischio in eccesso di morte per cause non cardiache in pazienti con sindromi coronariche croniche (CCS) trattati con rivascolarizzazione e terapia medica rispetto a quelli che ricevono solo farmaci, secondo i risultati di una nuova meta-analisi presentata a Parigi all’EuroPCR e pubblicata contemporaneamente su “JACC: Cardiovascular Interventions”.

Lo studio ha incluso 18 studi con 16.908 pazienti randomizzati alla rivascolarizzazione coronarica più terapia medica o alla sola terapia medica: il tasso di mortalità non cardiaca nei due gruppi era rispettivamente del 4,7% e del 4,2% e non era statisticamente significativo.

Il ricercatore senior William Wijns, del Lambe Institute for Translational Medicine e CÚRAM, a Galway (Irlanda), ha affermato che questi dati dovrebbero fornire ai cardiologi interventisti argomentazioni da contrappore a chi sostenga che gli stessi stanno causando un eccesso di rischio di mortalità non cardiaca impiegando un intervento coronarico percutaneo (PCI).

Questa specifica domanda di rischio è emersa per la prima volta 2 anni fa in una diversa meta-analisi in cui un gruppo di ricercatori aveva riferito che la mortalità non cardiaca potesse essere più alta con la rivascolarizzazione che con la terapia medica. La domanda ha assunto maggiore urgenza dopo che il follow-up prolungato dello studio ISCHEMIA ha mostrato che c’era un rischio più elevato di mortalità non cardiovascolare nei pazienti randomizzati alla strategia invasiva.

Altri segnali di rischio di mortalità non cardiaca sono stati osservati in altri studi, incluso il REVIVED dove ci sono stati numericamente più decessi non cardiaci con PCI più terapia medica ottimale rispetto alla sola terapia medica. Wijns ha spiegato che si è dibattuto se il rischio fosse reale, o solo frutto del caso.

Inclusi quasi 17.000 pazienti arruolati in 18 studi
La meta-analisi ha incluso pazienti con CCS randomizzati alla rivascolarizzazione più terapia medica o alla sola terapia medica. Tra gli studi, ISCHEMIA, COURAGE e BARI-2D erano i più grandi, ma i ricercatori hanno incluso tra gli altri anche studi noti come DEFER, FAME-2, ORBITA e MASS 1 e 2. Il follow-up medio è stato di 5,7 anni.

Nel complesso, non vi è stata alcuna differenza significativa nel rischio di mortalità non cardiaca tra le due strategie di trattamento (RR 1,09; IC 95% 0,94-1,26). I risultati sono stati coerenti quando i ricercatori hanno escluso lo studio ISCHEMIA dall’analisi.

Allo stesso modo, quando sono stati esclusi gli studi con la chirurgia di by-pass aorto-coronarico (CABG) come modalità di rivascolarizzazione, non è stato ancora osservato alcun rischio in eccesso. Quando sono stati esclusi gli studi che includevano pazienti con occlusioni totali croniche, i risultati erano gli stessi.

«Con l’eccezione di uno studio, ISCHEMIA, non c’è alcuno studio che abbia mostrato un eccesso di mortalità non cardiaca» ha detto Wijns, aggiungendo che anche la durata del follow-up non ha rivelato alcun segnale di danno.

Un’analisi bayesiana non ha mostrato differenze significative nella mortalità non cardiaca tra rivascolarizzazione più terapia medica e terapia medica da sola. In un’analisi sequenziale dello studio, che secondo i ricercatori consente loro di controllare potenziali errori statistici di tipo I e II, non c’era alcun segnale di eccesso di mortalità non cardiaca con rivascolarizzazione coronarica. L’analisi sequenziale dello studio ha anche dimostrato che era improbabile che l’aggiunta di altri studi influenzasse i risultati.

«L’aggiunta di ulteriori studi non aggiungerà contenuti informativi e questo parla a favore della robustezza di questa analisi» ha dichiarato Wijns.

I dubbi nati con lo studio ISCHEMIA-EXTEND e REVIVED
In un editoriale di commento che accompagna l’articolo pubblicato, Harvey White, del Green Lane Cardiovascular Research Institute Auckland City Hospital (Nuova Zelanda), sottolinea che mentre la meta-analisi non ha mostrato alcun segno di mortalità non cardiaca in eccesso, «sembra che stia succedendo qualcosa» basandosi su ISCHEMIA-EXTEND e REVIVED. White sottolinea l’importanza di giudicare la causa della morte negli studi clinici, osservando che le morti per cancro hanno rappresentato l’eccesso di rischio di mortalità non cardiaca in ISCHEMIA, che solleva preoccupazioni sull’esposizione alle radiazioni.

«I pazienti nello studio ISCHEMIA sono stati esposti a una dose cumulativa di radiazioni correlata a precedenti indagini, imaging da stress nucleare per coloro che si sono qualificati con questa modalità di stress test, angiografia con tomografia computerizzata cardiaca per la selezione dei pazienti, poi al momento dell’angiografia diagnostica invasiva e, se appropriato, PCI e con procedure ricorrenti» scrive. «Alcuni pazienti possono aver avuto fino a tre interventi PCI per occlusioni totali croniche».

Il lasso di tempo tipico dall’esposizione cancerogena al cancro è da 5 a 40 anni per i tumori solidi, ma può essere inferiore per i tumori ematologici. Sebbene la meta-analisi non abbia mostrato alcun rischio elevato di mortalità non cardiaca, i segnali di ISCHEMIA-EXTEND e REVIVED suggeriscono che i medici dovrebbero prestare attenzione ed «esplorare la possibilità che l’aumento delle dosi di radiazioni con PCI possa causare un aumento dei tassi di cancro» avverte White.

Discussione focalizzata sull’esposizione alle radiazioni
Al termine della presentazione di Wijns, i discussant hanno focalizzato la loro attenzione sul tema dell’esposizione alle radiazioni in fase diagnostica e procedurale.

Michael Joner, del Deutsches Herzzentrum München (Germania), uno dei discussant durante la sessione EuroPCR, ha detto che questi dati alla fine rassicurano sulla questione del rischio di mortalità non cardiaca con rivascolarizzazione. Tuttavia, i risultati sollevano un’altra domanda: gli studi clinici dovrebbero focalizzarsi sulla mortalità per tutte le cause invece sulla mortalità cardiaca?

Il panelist Bernard de Bruyne, del Cardiovascular Research Center Aalst (Belgio), ha affermato che gli studi clinici dovrebbero raddoppiare o triplicare le dimensioni se fossero focalizzati solo sulla mortalità per tutte le cause, il che è fuori questione. Wijns ritiene che gli studi dovrebbero raccogliere sia la mortalità per tutte le cause che quella cardiaca specifica, ma si preoccupa anche di concentrarsi esclusivamente sulla mortalità totale.

«Man mano che i risultati degli interventi, in particolare nelle sindromi coronariche croniche, migliorano, se si sceglie la mortalità per tutte le cause, è probabile che si dia più peso a questi eventi che non hanno nulla a che fare con la procedura che si sta valutando» ha detto Wijns.

Allo stesso modo, Gregory Ducrocq, dell’Hôpital Bichat-Claude Bernard/Université Paris VII, ha affermato che la mortalità cardiaca è un endpoint più logico, osservando che aggiunge una potenza significativa all’endpoint dello studio e riduce il numero di pazienti richiesti negli studi. Il giudizio sui decessi, ha detto, rimane la grande sfida quando si verificano al di fuori dell’ospedale, ha detto.

In ogni caso, Ducrocq ha evidenziato come il campo interventistico sia stato sorpreso dal pericolo visto in ISCHEMIA-EXTEND. La nuova meta-analisi, ha aggiunto, dovrebbe chiudere la porta all’idea che la rivascolarizzazione coronarica aumenti il rischio di mortalità non cardiaca.

In particolare, Ducrocq ha affermato che i cardiologi interventisti di oggi monitorano rigorosamente la quantità di contrasto e l’esposizione alle radiazioni durante le procedure, con l’obiettivo che il paziente vi sia esposto il meno possibile. «Il rischio di cancro dopo angioplastica non è stato trovato in altri studi» ha osservato. «Per me, questa è un’ipotesi che non è stata convalidata». Tranne nel caso di PCI molto complesso, l’uso di radiazioni è molto basso, ha precisato.

Davide Capodanno, dell’Università di Catania, che ha presieduto la sessione, ha affermato che, dato il mix di risultati di diversi studi, una meta-analisi è lo strumento migliore per affrontare questa domanda specifica. Come altri, pensa che la questione sia risolta, dicendo che questi nuovi dati dovrebbero porre fine «una volta per sempre» all’attuale controversia sulla mortalità relativa alla rivascolarizzazione.

Fonti:
Navarese EP, Lansky AJ, Farkouh ME, et al. Effects of Elective Coronary Revascularization vs Medical Therapy Alone on Noncardiac Mortality: A Meta-Analysis. JACC Cardiovasc Interv. 2023;16:1144-56. doi: 10.1016/j.jcin.2023.02.030. leggi

White HD. Does it Matter What the Cause of Death Is in Revascularization Trials? JACC Cardiovasc Interv. 2023;16:1157-59. doi: 10.1016/j.jcin.2023.03.042. leggi

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