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Policitemia vera: arrivano nuovi dati su ropeginterferone alfa-2b

Policitemia vera: ruxolitinib efficace a lungo termine nei pazienti resistenti all'idrossiurea secondo uno studio pubblicato su The Lancet Haematology

Nei pazienti con policitemia vera a basso rischio, il trattamento con ropeginterferone alfa-2b è superiore alla sola flebotomia nel mantenere l’ematocrito entro il target

Nei pazienti con policitemia vera a basso rischio, il trattamento con ropeginterferone alfa-2b è superiore alla sola flebotomia nel mantenere l’ematocrito entro il target. Lo dimostrano i risultati dello studio Low-PV, appena pubblicati sulla rivista NEJM Evidence.

«I nostri risultati mostrano che i pazienti con policitemia vera a basso rischio traggono benefici significativi dalla somministrazione di ropeginterferone alfa-2b», ha dichiarato il primo autore dello studio, Tiziano Barbui, Direttore Scientifico della Fondazione per la Ricerca FROM presso l’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo.

Questi risultati, pubblicati sul NEJM Evidence, sono di supporto alle linee guida dell’European LeukemiaNet (ELN) recentemente pubblicate (M. Marchetti et al. Lancet Haematol 2022;9(4):e301-e311) e a quelle americane del National Comprehensive Cancer Network (NCCN) (Myeloproliferative Neoplasms (version 3.2022) (https://www.nccn.org/professionals/physician_gls/pdf/mpn.pdf; accessed February 2, 2023). Il ropeginterferone alfa-2b viene raccomandato in alcuni sottogruppi di pazienti con policitemia vera a basso rischio vascolare.:

La policitemia vera è un tumore raro caratterizzato da un eccesso di produzione midollare di globuli rossi. I pazienti con policitemia vera di età inferiore a 60 anni senza una storia di trombosi sono attualmente classificati come a basso rischio di complicanze cardiovascolari maggiori sia arteriose sia venose. La terapia per questi pazienti comprende salassi (flebotomie) e utilizzo di basse dosi di aspirina al fine di ridurre l’incidenza di trombosi. Questo trattamento purtroppo non è in grado di ridurre in maniera apprezzabile l’incidenza di trombosi, che rimane due volte maggiore rispetto alla popolazione generale.

Si è dimostrato che l’ematocrito può essere bene controllato con soli salassi solo nel 20-30% dei pazienti. Sulla base di questi dati, il team di ricerca di FROM, guidato dal Professor Barbui, ha disegnato e coordinato lo studio Low-PV, un trial randomizzato di fase 2, nel quale si è confrontato l’effetto di ropeginterferone alfa-2b con la terapia standard (salassi e aspirina). I risultati dello studio Low PV hanno chiaramente dimostrato che l’aggiunta di ropeginterferone alfa-2b non solo riduce il numero di salassi per ottenere valori ideali di ematocrito, ma controlla anche i sintomi, riduce l’ingrossamento della milza e comporta miglioramenti generali sulla qualità di vita dei pazienti.

Lo studio Low PV è stato reso possibile, con la collaborazione di AOP Orphan Pharmaceuticals GmbH (AOP Health). L’azienda austriaca, che ha una filiale anche in Italia, è specializzata nella ricerca e nello sviluppo di terapie per le malattie rare.

«Gli interferoni sono stati usati per molti anni nel trattamento della policitemia vera, ma solo AOP Health ha condotto studi clinici così importanti da aver permesso la registrazione di un interferone per questa malattia. Mentre gli studi di registrazione per ropeginterferone alfa-2b (studi PROUD/CONTI) condotti da AOP Health si stavano concentrando su una popolazione di pazienti con malattia più avanzata, FROM ha proposto di indagare specificatamente il gruppo di pazienti a basso rischio verosimilmente a malattia più iniziale. AOP Health è stato un partner affidabile che ci ha consentito di portare a termine questo progetto al quale hanno partecipato molti centri ematologici italiani. Pertanto questo è un progetto di ricerca clinica accademica, che potrà cambiare le linee guida di trattamento dei pazienti con PV a basso rischio», ha dichiarato Barbui.

Bibliografia
T. Barbui, et al. Ropeginterferon versus Standard Therapy for Low-Risk Patients with Polycythemia Vera. https://evidence.nejm.org/doi/full/10.1056/EVIDoa2200335

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