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Bronchiettasie non legate a fibrosi cistica: benefici da brensocatib

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Il trattamento con brensocatib ha ridotto gli episodi di esacerbazione di bronchiettasie non legate a fibrosi cistica indipendentemente dal livello di severità di malattia

Il trattamento con brensocatib ha ridotto gli episodi di esacerbazione di bronchiettasie non legate a fibrosi cistica indipendentemente dal livello di severità di malattia.
Queste le conclusioni di un’analisi post-hoc dello studio di fase II WILLOW, presentata, in forma estesa e dettagliata, nel corso del congresso annuale dell’American Thoracic Society (ATS 2023) a Washington, DC (Usa).

Informazioni sulle bronchiettasie non dovute a fibrosi cistica nell’adulto e sul razionale d’impiego di brensocatib
Le bronchiettasie non dovute a fibrosi cistica (NCFBE) sono caratterizzate da frequenti esacerbazioni polmonari che richiedono una terapia antibiotica e/o ricoveri ospedalieri. I sintomi includono tosse cronica, eccessiva produzione di espettorato, respiro corto e ripetute infezioni respiratorie, che possono peggiorare la condizione di fondo. Negli Stati Uniti le NCFBE colpiscono da 340.000 a 520.000 pazienti Attualmente, non ci sono terapie specificamente mirate alle NCFBE.

Brensocatib è un inibitore sperimentale orale, selettivo e reversibile, della dipeptidil peptidase I (DPP1, detta anche catepsina G), sviluppato da Insmed per il trattamento di pazienti con NCFBE.  La DPP1 è un enzima responsabile dell’attivazione delle serin proteasi dei neutrofili (NSP), come l’elastasi neutrofila (NE).

I neutrofili sono il tipo più comune di globuli bianchi e svolgono un ruolo essenziale nella distruzione degli agenti patogeni e nel mediare i processi infiammatori. Nelle malattie polmonari infiammatorie croniche, però, i neutrofili si accumulano nelle vie aeree e provocano un eccesso di NSP che causano la distruzione e infiammazione dei polmoni.

Si ritiene che brensocatib  riduca gli effetti dannosi delle malattie infiammatorie come l’NCFBE mediante l’inibizione della DPP1 e della sua attivazione degli NSP, riducendo l’attività dei neutrofili.

Lo studio WILLOW e obiettivi dell’analisi post-hoc
Tre anni fa sono stati sono stati pubblicati su NEJM i risultati dello studio WILLOW, di fase II, che aveva dimostrato come il trattamento con brensocatib per 24 settimane fosse stato in grado di prolungare in modo significativo il tempo alla prima riacutizzazione polmonare rispetto a placebo in pazienti con bronchiettasia non dovuta a fibrosi cistica (NCFBE).

Lo studio WILLOW aveva originariamente randomizzato, secondo uno schema 1:1:1, pazienti adulti con NCFBE a trattamento con brensocatib 10 mg (n=82), brensocatib 25 mg (n=87) o con placebo (n=87) in monosomministrazione giornaliera per 24 settimane.

Nella nuova analisi post-hoc che verrà presentata al Congresso ATS, i ricercatori hanno voluto mettere a confronto le caratteristiche e gli outcome dei pazienti nei sottogruppi di pazienti con NCFBE lievi, moderate e gravi dello studio WILLOW in base al Bronchiectasis Severity Index (BSI).

A tal scopo, è stata condotta una valutazione dei pazienti adulti con NCFBE  trattati con brensocatib 10 o 25 mg per via orale, una volta al giorno, o con placebo, in base alla gravità della malattia al basale, utilizzando il BSI.
Gli endpoint considerati in questa analisi post-hoc sono stati il tempo alla prima esacerbazione (endpoimt primario), il tasso annualizzato di esacerbazioni polmonari, la variazione rispetto al basale di FEV1 e gli eventi avversi emersi a seguito del l trattamento (TEAE).

Risultati principali
Al basale, 53 dei 256 pazienti del trial (20,7%) avevano un punteggio BSI ≤4 (grado lieve), 89 (34,8%) un punteggio compreso da 5 a 8 (grado moderato) e 114 (44,5%) ≥9 (grado severo).
I sottogruppi erano sostanzialmente bilanciati tra loro per le caratteristiche basali, tranne che per il fatto che i sottogruppi BSI 5-8 e ≥9 includevano pazienti più anziani.
Coerentemente con la maggiore gravità della malattia, i pazienti con punteggi BSI più elevati avevano maggiori probabilità di essere sottoposti a trattamento con steroidi inalatori o macrolidi  e di avere un’infezione sostenuta da P aeruginosa.  La severità di malattia era anche associata ad una maggiore infiammazione neutrofila, con una chiara relazione tra il punteggio BSI e i livelli basali di elastasi neutrofila (NE) nell’espettorato.

Il trattamento con brensocatib ha comportato un prolungamento del tempo alla prima esacerbazione e una riduzione del tasso annualizzato di esacerbazioni in tutti i livelli di gravità definiti dalla BSI.
Un effetto leggermente superiore del trattamento è stato riscontrato tra i pazienti con un punteggio BSI ≤4.

Il miglioramento numerico di brensocatib rispetto al placebo sulla funzione polmonare è stato maggiore nei pazienti con una minore gravità della malattia, valutata in base alla variazione del FEV1 rispetto al basale.
L’incidenza di TEAE è stata simile nei vari sottogruppi. I TEAE più comuni (≥10%) nei bracci di brensocatib erano rappresentati da:
– cefalea, tosse e aumento dell’espettorato nel sottogruppo BSI ≤4
– tosse, aumento dell’espettorato e sinusite nel sottogruppo BSI 5-8
– cefalea ed esacerbazione infettiva della bronchiectasia nel sottogruppo BSI ≥9

Riassumendo
In conclusione, i risultati di questa analisi post-hoc dello studio WILLOW suffragano il possibile impiego futuro di brensocatib nella NCFBE. Lo studio di fase III ASPEN è tuttora in corso e si spera possa fornire a breve conferme di quanto già osservato negli studi precedenti.

Bibliografia
Metersky ML et al. Outcomes of Patients With Bronchiectasis by Disease Severity: Subgroup Analysis From the Brensocatib WILLOW Study. Abs. 808; ATS 2023

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