Alluvione Emilia-Romagna: Legambiente attacca la Regione


Alluvione Emilia-Romagna, Legambiente attacca duramente la Regione e il presidente Bonaccini: “È l’ennesimo disastro annunciato da tempo, basta passerelle politiche”

alluvione emilia-romagna

Gli eventi di questi giorni sono il frutto della crisi climatica in atto. Una evoluzione prevedibile, di cui si parla da molto tempo, di fronte alla quale però l’Italia risulta ancora impreparata. E l’Emilia-Romagna lo è stata in modo evidente, avendo ‘dimenticato’ di provvedere a una serie di messe in sicurezza e cautele. “Ha solo perso tempo“, altro che fare paragoni col terribile terremoto del 2012. L’accusa, durissima, arriva alla Regione Emilia-Romagna e a Stefano Bonaccini da Legambiente, all’indomani dell’alluvione che ha causato oltre 10 morti e piegato città e paesi, allagati dalle piene dei fiumi o dal mare e colpiti pure da frane e smottamenti.

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“MACCHÈ TERREMOTO, EMILIA-R. HA SOLO PERSO TEMPO”

L’Emilia-Romagna finora ha “perso tempo, senza realizzare le misure necessarie all’adattamento alla crisi climatica“. A puntare il dito è Legambiente regionale, che contesta la definizione di maltempo data all’alluvione di questi giorni in Emilia-Romagna. E rispedisce al mittente anche il paragone col terremoto fatto dal presidente Stefano Bonaccini. “La retorica dell’amministrazione, che equipara l’evento alluvionale al terremoto in Emilia, è fuorviante – contesta Legambiente come riferisce la Dire (www.dire.it) – la città di Bologna e l’area del ravennate ad esempio sono state inserite tra le aree a rischio potenziale significativo nella Direttiva Alluvioni”. I modelli elaborati “permettono di conoscere l’estensione dell’allagamento per diversi scenari di alluvione, l’altezza che può raggiungere l’acqua fuoriuscita dagli alvei e la superficie marina rispetto al piano campagna”.

“DISASTRO ANNUNCIATO”

In poche parole, afferma Legambiente, “dispiace constatare ancora una volta che il disastro a cui abbiamo assistito era ed è annunciato da tempo. L’allarme siccità, la fragilità idraulica a cui si aggiunge lo scellerato consumo di suolo oggi ci mettono davanti al fatto che la nostra Regione continua a perdere tempo senza realizzare le misure necessarie all’adattamento alla crisi climatica”. Secondo Legambiente, insomma, “sono evidenti le responsabilità sia della classe politica, che a parte gli annunci non ha evidentemente colto il significato di emergenza climatica e del carattere estremo degli eventi che essa può produrre, sia del sistema economico che non sta compiendo la transizione ecologica nei tempi indicati dalla scienza, spesso in assenza di indicazioni chiare da parte della politica”.

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“BASTA PASSERELLE POLITICHE”

Questa situazione lascia “persone e comunità in balìa di fenomeni che invece dovranno essere gestiti in maniera strutturale in futuro, quando potranno diventare anche più frequenti”, afferma l’associazione ambientalista. Anche la narrazione sugli emiliano-romagnoli capaci di rialzarsi viene contestata. “Siamo stanchi delle passerelle politiche con addosso la giacca della Protezione civile- attacca Legambiente- che ci raccontano che l’Emilia-Romagna ‘è grande’, che ‘risorgeremo e torneremo come prima. E’ proprio quel ‘come prima’ che ha portato in questi giorni l’acqua nelle case di tanti cittadini”. L’alternarsi di siccità e piogge intense, sostengono gli ambientalisti, “è la prova che in Emilia-Romagna il cambiamento climatico si fa sentire 365 giorni l’anno. Non si tratta più di calamità da affrontare singolarmente, ma di un quadro complesso per il quale occorrono azioni di controllo e prevenzione. E’ necessario che le azioni dei singoli assessorati della Regione siano coerenti e convergano verso l’obiettivo comune di mitigazione e adattamento al cambiamento climatico”.

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“SCELTE ILLOGICHE E CONTRADDITTORIE”

Invece, attacca Legambiente, “continuiamo ad assistere a scelte illogiche, anacronistiche e contraddittorie, le cui conseguenze ricadranno su tutti, in senso globale e per lungo tempo”. Il riferimento è a opere come Passante di Bologna, autostrada Cispadana, Bretella Campogalliano-Sassuolo e al rigassificatore di Ravenna. Inoltre “non è stata trovata una soluzione definitiva al problema del consumo di suolo, che in questi ultimi anni si sta concretizzando nell’assalto dei nuovi poli della logistica ai terreni vergini”. Per Legambiente occorre quindi “ridurre le emissioni climalteranti in tutti i settori e promuovere il processo di adattamento al nuovo clima. Tutto questo va fatto adesso, senza ritardi e senza contraddizioni”.

“L’ITALIA È ANCORA IMPREPARATA ALLA CRISI CLIMATICA”

Quello a cui stiamo assistendo, spiega ancora Legambiente esprimendo “vicinanza e solidarietà, alle famiglie delle vittime, agli abitanti delle aree colpite e alle squadre di soccorso e di pronto intervento”, è “l’altra faccia della crisi climatica che si ripercuote sui territori con eventi estremi sempre più intensi, con rischi per la vita delle persone e impatti sull’ambiente e sull’economia”, avverte però l’associazione, “l’Italia ancora una volta si dimostra impreparata di fronte alla crisi climatica e agli eventi estremi“. Per questo Legambiente lancia oggi un appello al Governo indicando i 5 interventi da mettere in campo “e che devono essere al centro di una chiara ed efficace strategia di prevenzione”.

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In particolare per l’associazione ambientalista occorre:

  • approvare definitivamente il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, ancora in standby dopo la fase di VAS (valutazione ambientale strategica) avviata dal governo alla fine dello scorso anno dopo la tragedia di Ischia;
  • stanziare le adeguate risorse economiche per attuarlo;
  • rafforzare la governance del territorio, affidando un ruolo centrale alle autorità di distretto in merito al monitoraggio e alla gestione del territorio;
  • approvare una legge sullo stop al consumo di suolo che il paese aspetta da 11 anni: la proposta di legge, il cui iter legislativo è iniziato nel 2012, è bloccata in Parlamento dal 2016, quando fu approvata dalla Camera dei deputati, prevedendo di arrivare a quota zero, cioè a non cementificare un metro quadro in più, entro il 2050;
  • promuovere efficaci politiche territoriali di prevenzione e campagne di informazione di convivenza con il rischio per evitare comportamenti che mettono a repentaglio la vita delle persone.

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“BISOGNA INTERVENIRE IN TEMPO”

“Negli ultimi decenni è mancata in Italia- dichiara il presidente nazionale di Legambiente Stefano Ciafani– una seria politica di governo del territorio, troppo spesso spezzettata e scoordinata, e le risorse stanziate in questi anni per la prevenzione, oltre 10 miliardi, sono stati spesi in modo inefficace. Il rafforzamento della governance del territorio rappresenta un primo passo fondamentale per non esporre al rischio la popolazione, ma soprattutto per garantire quella capacità di adattarsi meglio al verificarsi dei prossimi eventi estremi. Le immagini dell’alluvione che sta colpendo Emilia-Romagna e Marche ci ricordano l’urgenza di intervenire per tempo. Continuiamo a rincorrere le emergenze senza una strategia di prevenzione, che ci permetterebbe di risparmiare il 75% delle risorse economiche spese per i danni provocati da eventi estremi, alluvioni, piogge e frane. Gli strumenti ed i soggetti competenti ci sono. Le conoscenze anche. Serve la volontà politica che è mancata finora”.

RISCHIO FRANE E ALLUVIONI PER BUONA PARTE D’ITALIA

Frane e alluvioni fanno parte delle caratteristiche intrinseche del nostro Paese. I numeri di Ispra parlano chiaro: l’8,7% del territorio è classificato a pericolosità da frana elevata e molto elevata; il 15,4% invece è classificato a pericolosità media ed elevata alle alluvioni. Numeri che si riflettono sulla popolazione a rischio. Sono infatti 6,8 milioni i cittadini a rischio alluvione e 1,3 milioni quelli a rischio frana.

“IL RISCHIO NON È GESTITO IN MODO ADEGUATO”

“Nel nostro Paese – spiega Andrea Minutolo, responsabile scientifico di Legambiente – il rischio idrogeologico è noto, mappato e ci sono le conoscenze giuste per intervenire ma continua a non essere affrontato e gestito in maniera adeguata, anche in quelle aree in cui eventi analoghi si sono già verificati come ad esempio le Marche colpite violentemente anche lo scorso settembre e negli anni passati. Inoltre, bisogna considerare che i terreni si sono inariditi e induriti dopo mesi di siccità, e questo fattore li ha resi meno permeabili ad assorbire una parte delle precipitazioni che si sono riversate in questi giorni. I due fenomeni vanno trattati in maniera integrata per poter sviluppare soluzioni efficaci. Servono anche più politiche territoriali di prevenzione e campagne informative sulla convivenza con il rischio per evitare azioni che mettono a repentaglio la vita dei cittadini”.

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I conti sulla prevenzione: Secondo i dati forniti dalla piattaforma Rendis di Ispra, a livello nazionale in Italia dal 1999 al 2022 sono stati spesi per la prevenzione del rischio idrogeologico ben 10,57 miliardi di euro per finanziare 11.204 progetti e opere per mitigare il rischio. Di questi ultimi, il 43% (4.834 su 11.204) sono state opere terminate. Al di là di valutare se i soldi siano stati tanti o pochi, per Legambiente è utile fare una riflessione se quelli che sono stati spesi in questi due decenni hanno portato a una effettiva mitigazione e riduzione del rischio in Italia.
Per Legambiente, a fronte di un investimento di oltre 10 miliardi di euro e quasi 5mila opere realizzate a livello nazionale, il rischio nel territorio non è diminuito.
In sostanza le risorse stanziate sono state spese in modo poco efficace per tre motivi:
Le opere sono state meno efficaci rispetto a quanto previsto e progettato perché molte di queste hanno risposto solo alla logica dell’intervento difensivo, “puntuale”, che ha provato a risolvere il problema locale senza considerare ciò che poteva accadere a monte o a valle dell’intervento. Inoltre, la maggior parte delle opere realizzate è stato rigido, infrastrutturale, con l’effetto che ha ingessato ancor di più un territorio fragile che invece andava reso più resiliente e flessibile al verificarsi di eventi impattanti.
Gli eventi impattanti vanno inseriti nel più ampio contesto del cambiamento climatico, che sta alterando la distribuzione delle piogge e questo sta incidendo molto sugli effetti che tali variazioni (a cui dovremo abituarci nell’immediato futuro attraverso politiche di adattamento dei territori e delle attività antropiche) hanno sul suolo.
Al di là delle opere realizzate, più o meno efficaci come detto precedentemente, il problema è che è mancata negli ultimi decenni una seria politica di governance del territorio, a partire dall’azzeramento del consumo di suolo