Negli adulti e negli adolescenti con dermatite atopica da moderata a grave, il trattamento con l’anticorpo monoclonale lebrikizumab si è dimostrato significativamente più efficace nel migliorare segni e sintomi della malattia rispetto al placebo. Sono i risultati a 16 settimane di due trial di fase III appena pubblicati sul New England Journal of Medicine (NEJM).

La dermatite atopica è la malattia infiammatoria cronica della pelle più diffusa, con una prevalenza mondiale di circa il 20% tra i bambini e dal 2 al 7% tra gli adulti, associata a compromissione della qualità della vita e a un notevole carico di malattia, con un notevole impatto psicosociale sui pazienti.

Il trattamento di prima linea per la malattia da lieve a moderata e le riacutizzazioni comprende farmaci topici come emollienti e glucocorticoidi topici. Nelle forme più gravi, quando la risposta alla terapia topica è inadeguata, è raccomandata l’aggiunta della terapia sistemica e/o della fototerapia. Tuttavia, nonostante i notevoli progressi nel trattamento, rimane un’esigenza medica insoddisfatta per la gestione a lungo termine della dermatite atopica.

La sua patogenesi multiforme è associata alla disfunzione della barriera cutanea e a una complessa interazione tra fattori genetici, immunologici e ambientali, in cui gioca un ruolo chiave lla disregolazione delle cellule T helper di tipo 2, che producono preferenzialmente citochine come le interleuchine (IL)-4, 13 e 31. Lebrikizumab è un anticorpo monoclonale che lega selettivamente la IL-13 solubile con una bassa velocità di dissociazione e un’elevata potenza, in grado di prevenire la formazione del complesso eterodimero di segnalazione formato dalla subunità α del recettore della IL-4 e la subunità α1 del recettore della IL-13.

«I risultati di uno studio clinico di fase IIb, multicentrico, randomizzato e di precedenti studi di fase IIb hanno convalidato il ruolo critico della segnalazione della IL-13 nella patogenesi della dermatite atopica e confermato la necessità di ulteriori studi» hanno premesso i ricercatori guidati da Jonathan Silverberg, direttore della ricerca clinica nel dipartimento di dermatologia presso la George Washington University. «In questa analisi riportiamo i risultati di efficacia e sicurezza delle prime 16 settimane di due studi di fase III della durata di 52 settimane sulla monoterapia con lebrikizumab».

Analisi a 16 settimane di due trial di fase III
ADvocate1 e ADvocate2 sono due studi con disegno identico, della durata di 52 settimane, randomizzati, in doppio cieco e controllati con placebo. Entrambi includevano un periodo di induzione di 16 settimane e un periodo di mantenimento di 36 settimane. I pazienti eleggibili con dermatite atopica da moderata a grave (adulti ≥18 anni di età] e adolescenti (da 12 a 18 anni e peso ≥40 kg) sono stati assegnati in modo casuale in rapporto 2:1 a ricevere lebrikizumab a una dose di 250 mg (dose di carico di 500 mg al basale e alla settimana 2) o placebo, somministrati per via sottocutanea ogni 2 settimane.

Nella presente valutazione sono inclusi i risultati del periodo di induzione fino a 16 settimane. L’endpoint primario era il raggiungimento di un punteggio IGA (Investigator’s Global Assessment) di 0 o 1 (pelle libera o quasi libera da lesioni) con una riduzione di almeno 2 punti rispetto al basale alla settimana. Gli endpoint secondari includevano un miglioramento del 75% nel punteggio EASI (Eczema Area and Severity Index) e la valutazione del prurito e della sua interferenza con il sonno.

Miglioramenti significativi dei segni e dei sintomi dell’eczema
In ADvocate1 l’endpoint primario è stato raggiunto dal 43,1% dei 283 pazienti nel gruppo lebrikizumab e dal 12,7% dei 141 pazienti nel gruppo placebo (P<0,001), con una risposta EASI 75 rispettivamente nel 58,8% e nel 16,2% (P<0,001) dei soggetti.

In ADvocate2 l’endpoint primario è stato raggiunto dal 33,2% dei 281 pazienti nel gruppo lebrikizumab e dal 10,8% dei 146 pazienti nel gruppo placebo (P<0,001), con una risposta EASI 75 rispettivamente nel 52,1% e nel 18,1% (P<0,001) dei partecipanti.

In entrambi gli studi, percentuali significativamente più elevate di pazienti nel gruppo lebrikizumab rispetto al gruppo placebo hanno ottenuto una riduzione del punteggio NRS del prurito di almeno 4 punti rispetto al basale alla settimana 16 (P<0,001 per entrambi i confronti) e una riduzione del punteggio della Sleep-Loss Scale di almeno 2 punti rispetto al basale alla settimana 16 (P<0,001 per entrambi i confronti).

«I risultati di questi studi confermano il ruolo centrale della IL-13 nella patogenesi della dermatite atopica. Rispetto a dupilumab, che si lega alla subunità α del recettore della IL-4 condivisa dai complessi recettoriali delle IL-4 e 13, lebrikizumab e tralokinumab si legano direttamente alla IL-13» hanno commentato i ricercatori. «Contrariamente a tralokinumab, lebrikizumab non interferisce con la subunità α2 del recettore della citochina, che fa parte del meccanismo naturale dell’organismo per eliminare l’eccesso di IL-13, e studi in vitro suggeriscono che abbia un’affinità di legame più elevata e una velocità di dissociazione più lenta rispetto a tralokinumab».

La maggior parte degli eventi avversi durante il periodo di induzione è stata di gravità lieve o moderata e non ha portato all’interruzione dello studio. L’incidenza di congiuntivite è stata più alta con il trattamento attivo rispetto al placebo. Anche se 16 settimane di trattamento non sono sufficienti per valutarne la sicurezza a lungo termine, gli autori hanno osservato che i risultati del periodo di induzione di questi due studi suggeriscono un profilo di sicurezza coerente con i risultati dei trial precedenti.

Referenze

Silverberg JI et al. Two Phase 3 Trials of Lebrikizumab for Moderate-to-Severe Atopic Dermatitis. NEJM. March 15, 2023.

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