Psichiatri in Tribunale: troppo importanti ma troppo pochi


Zanalda: “Solo 1 psichiatra su 10 è disposto ad affrontare i casi in Tribunale per via della difficoltà della materia e della responsabilità che li aspetta. E’ urgente un intervento sugli investimenti”

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Parte dalla recente riforma Cartabia l’appello di Enrico ZANALDA, Presidente della Società Italiana di Psichiatria Forense (foto) a favore della categoria che rappresenta e che ogni giorno in tribunale deve sostenere casi più o meno difficili che comportano importanti responsabilità decisionali per le conseguenze che possono avere sulla vita delle persone.

Questo e altri argomenti, sono stati al centro del XXVI Congresso Nazionale della Società Italiana di Psichiatria Forense ad Alghero.

“Gli psichiatri che decidono di diventare periti sono un’esigua minoranza e questo è dovuto alla difficoltà della materia che comporta importanti investimenti di tempo in formazione a fronte dell’incertezza degli incarichi e della remunerazione tabellare degli stessi che non viene aggiornata da molti anni. I periti poi – precisa ZANALDA – devono avere la capacità di confrontarsi con le parti del procedimento e sostenere le loro convinzioni cliniche nel contraddittorio con i consulenti delle parti. Ci sono situazioni in cui si assiste a dei confronti anche aspri a cui molti colleghi non amano partecipare. La recente riforma Cartabia ha introdotto delle tempistiche procedurali telematiche, più stringenti e soprattutto la possibile valutazione sulla capacità della vittima di formulare la querela qualora questa non debba più essere formulata d’ufficio. Pur essendo la perizia psichiatrica un importante momento valutativo del procedimento penale, ad essa non è riconosciuta un’adeguata valorizzazione per cui sono sempre meno i giovani psichiatri che decidono di dedicarsi alla materia. In buona sostanza è un lavoro complesso, da svolgere in tempi limitati, esposto a critiche feroci, con importanti responsabilità e malretribuito”.

D: COSA SIGNIFICA FARE LO PSICHIATRA FORENSE?
R: “Lo psichiatra forense è un medico specializzato in psichiatria che lavora nel campo del diritto penale e civile. Il suo ruolo in un processo può essere diverso a seconda del tipo di processo e delle esigenze delle parti coinvolte. Ha come compito quello di fornire valutazioni e giudizi professionali in risposta a specifici quesiti posti dal Giudice sulla salute mentale di una persona coinvolta in un processo. Questi giudizi possono essere utilizzati per valutare aspetti diversi: la responsabilità penale di una persona, la sua capacità di prendere decisioni consapevoli, la sua capacità di partecipare al processo, la sua idoneità a testimoniare in tribunale e altri aspetti relativi alla salute mentale. Inoltre, vi è la valutazione delle vittime dei reati sia in rapporto a possibili circonvenzioni sia in rapporto al danno biologico di natura psichica che presuppone una diagnosi psichiatrica, In questi ultimi casi lo psichiatra talvolta collabora con il Medico Legale ma lo psichiatra forense è in grado di valutare la percentuale del danno anche in autonomia. Importante è la valutazione che viene effettuata per la volontaria giurisdizione nella quale si descrive la capacità di agire della persona fragile e si propone al giudice un progetto di tutela adeguato”.

D: CHI PUÒ DIVENTARE PSICHIATRA FORENSE E CHE PREPARAZIONE DEVE AVERE?
R: “E’ necessario anzitutto che sia un medico chirurgo specialista in Psichiatria, meglio se ha esperienza di lavoro nel servizio pubblico e abbia conseguito un master in psicopatologia forense o psichiatria. Vi sono poi alcuni docenti di psicopatologia forense o di psicologia forense che, se laureati in medicina, hanno le competenze per intervenire come periti psichiatri”.

D: QUANDO ENTRA IN GIOCO LO PSICHIATRA FORENSE?
R: “E’ necessario il suo intervento quando serve una valutazione sulla salute mentale di un soggetto autore o vittima di un reato in un processo penale o civile. Il Pubblico Ministero o l’avvocato, nella fase di indagine e il giudice di merito, formuleranno il quesito al consulente tecnico che per rispondere potrà anche avvalersi di psicologi (ad esempio per la somministrazione di test specifici). Il consulente tecnico nell’ambito del procedimento penale, può essere chiamato dal Pubblico Ministero, dall’avvocato o dal Giudice nella fase di cognizione della pena (tutto quello che precede la prima sentenza). Dovrà valutare la salute mentale dell’imputato e fornire un giudizio sulla capacità di intendere e di volere al momento dei fatti, sull’eventuale pericolosità sociale, sulla capacità di partecipare coscientemente al processo e sulla capacità di rendere testimonianza. Inoltre, durante la fase di esecuzione della pena, dovrà valutare eventuali infermità sopravvenute, per la compatibilità con lo stato di detenzione e per eventuali modificazioni delle misure di sicurezza detentive e non detentive. Nelle cause civili dovrà invece valutare le condizioni di una delle parti (attore o convenuto) di un contenzioso”.

D: QUANTI SONO GLI PSICHIATRI FORENSI IN ITALIA E NEL MONDO?
R: “Non essendoci un albo è difficile rispondere a questa domanda con dei numeri, si potrebbero contare gli psichiatri che sono iscritti come Consulenti Tecnici nei Tribunali italiani ma si dovrebbe avere un registro unico invece ogni tribunale ha il suo. Essendo gli psichiatri in Italia circa 12.000, si potrebbe ritenere che un decimo sia accreditato come psichiatra forense per cui ritengo che siamo poco più di un migliaio potenzialmente ma forse il numero è inferiore. Bisogna anche dire che i giovani sono raramente attirati dall’effettuare perizie psichiatriche perché sono mal remunerate dai tribunali”.

QUALI SONO I DISTURBI MENTALI CHE VALUTA UNO PSICHIATRA FORENSE?
D: I disturbi mentali sono gli stessi che vedono gli psichiatri nella loro quotidianità. Non c’è una patologia a cui vengono attribuite maggiori propensioni a commettere reati. Nell’anziano, in ambito civile sovente sono i declini cognitivi i disturbi che maggiormente vengono all’esame del consulente”.

D: CIVILE O PENALE: LA SITUAZIONE E’ LA STESSA? 
R: “Da un punto di vista retributivo la situazione nell’ambito civile è migliore poiché il compenso è affidato alle parti e non segue le lungaggini burocratiche dei Tribunali. Tuttavia i tempi richiesti per espletare un incarico in ambito civile sono più lunghi e articolati. Sono quasi sempre presenti le controparti e i contraddittori sono sicuramente più animati. Lo psichiatra in ambito civile viene chiamato per valutare la capacità di agire di un soggetto in relazione ai provvedimenti di tutela o a eventuali negozi, contratti o testamenti argomenti molto complessi e controversi. Sempre nei conteziosi civili e anche in ambito del diritto del lavoro, lo psichiatra forense ha le competenze per la valutazione del danno biologico di natura psichica e la diagnosi clinica è di competenza solo ed esclusivamente del medico psichiatra”.

D: COSA SI ASPETTA DALLA RIFORMA CARTABIA? 
R: “Francamente vi sono molte modifiche procedurali di cui ci faranno parte i Magistrati e gli avvocati. Per ora vi possono essere delle problematiche sulla procedibilità a querela di alcuni reati minori in cui la vittima se inferma di mente potrebbe non essere in grado di effettuarla. In questi casi andrà assistita da un rappresentante qualificato”.

D: COSA PREVEDE LA LEGGE SUL SUPERAMENTO DEGLI OSPEDALI PSICHIATRICI GIUDIZIARI? 
R: “Questa legge è il termine del percorso di superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG) iniziato nel 2003 con una famosa sentenza della corte suprema che escludeva l’automatismo: pericolosità sociale = Ospedale Psichiatrico Giudiziario. Questo perché finalmente anche per il paziente autore di reato, veniva riconosciuto il diritto a una cura moderna non più eseguibile nel manicomio. Tale principio era stato riconosciuto per i pazienti non autori di reato nel 1978 (con la legge 180 così detta legge Basaglia), mentre i pazienti autori di reato hanno dovuto aspettare fino al 2014 per non essere più curati in manicomio”.

D: SI SENTE SPESSO PARLARE DI REMS: COSA SONO E COME LE VALUTA?
R: “E’ l’acronimo di Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza di tipo detentivo poiché il soggetto è costretto a rimanere all’interno per ordine del Giudice. Sono delle strutture sanitarie costituite sul modello di quelle residenziali psichiatriche e possono contenere un massimo di 20 posti. Vengono curati i pazienti autori di reato riconosciuti con vizio parziale o totale di mente la cui pericolosità sociale è tale che non si riesce a contenerla con un programma territoriale. La maggior parte dei pazienti con misure di sicurezza non detentive infatti viene inserita nelle strutture residenziali psichiatriche insieme a pazienti non autori di reato. Le REMS in poche parole sono delle comunità riabilitative chiuse”.

D: CI SONO ALMENO 3 COSE CHE CAMBIEREBBE NELL’ORDINAMENTO ATTUALE?
R: “La cosa più urgente è costituire i Punti Unici Regionali per il governo dei percorsi di cura. Un esempio vincente viene dalla Regione Piemonte in cui esiste un ufficio regionale in cui si incontrano regolarmente gli psichiatri delle ASL con i direttori delle REMS e quelli che lavorano nelle case circondariali. Questa collaborazione permette di studiare gli assegnati REMS e facilitare il percorso di uscita dalla REMS stessa per i pazienti che hanno completato il percorso “chiuso” e possono proseguirlo nelle strutture residenziali del territorio. In secondo luogo è urgente avere una struttura di psichiatri forensi nei Dipartimenti di Salute Mentale delle ASL che si raccorda con il Punto Unico Regionale per la gestione corretta dei percorsi dei pazienti autori di reato che devono poter essere realizzati con finanziamenti dedicati (in modo da non penalizzare i pazienti usuali). In terzo luogo sarebbe importante mettere mano al codice penale che è degli anni trenta e non è stato attualizzato alla moderna cura delle persone con malattia mentale, è ancora pieno di riferimenti ai manicomi che oggi sono considerati superati poiché dannosi anche per i pazienti autori di reato”.