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Malattia renale cronica: dapagliflozin riduce il rischio ricovero

Malattia renale cronica: Dapagliflozin approvato in Europa

Nei pazienti con malattia renale cronica, con e senza diabete di tipo 2, l’inibitore SGLT2 dapagliflozin riduce il rischio di ospedalizzazione per qualsiasi causa

Nei pazienti con malattia renale cronica, con e senza diabete di tipo 2, l’inibitore SGLT2 dapagliflozin è stato associato a un ridotto rischio di ospedalizzazione per qualsiasi causa, secondo un’analisi post hoc dello studio DAPA-CKD pubblicata sulla rivista Annals of Internal Medicine.

I dati precedenti dello studio di fase III DAPA-CKD, randomizzato, in doppio cieco e controllato con placebo, hanno mostrato benefici importanti della terapia con dapagliflozin negli adulti con malattia renale cronica (CKD). Il trattamento ha ridotto il peggioramento della funzionalità renale o la morte per causa renale rispetto al placebo, indipendentemente dallo presenza o meno di diabete nei pazienti.

«Anche se gli esiti cardiovascolari e renali con gli SGLT2 inibitori sono stati ampiamente studiati, ci sono pochi dati sui loro effetti sui ricoveri per qualsiasi causa» hanno scritto il primo autore Meir Schechter e colleghi del Diabetes Clinical Research Center dell’Hadassah Medical Center in Israele.

Per questa analisi, i ricercatori hanno valutato i dati di 4.304 pazienti (età media 61,8 anni, 33,1% donne) con insufficienza renale cronica per studiare gli effetti di dapagliflozin (10 mg una volta al giorno) rispetto al placebo sul primo e sui successivi ricoveri. Tra i 2.906 partecipanti con diabete di tipo 2, 1.455 hanno ricevuto dapagliflozin e 1.451 hanno ricevuto placebo. Tra quelli senza diabete, 697 sono stati trattati con dapagliflozin e 701 con il placebo.

Con dapagliflozin meno ospedalizzazioni per tutte le cause
In un periodo medio di follow-up di 2,4 anni sono stati identificati 2.072 ricoveri tra 1.224 (28,4%) soggetti. Dapagliflozin è stato associato a un rischio del 16% inferiore di prima ospedalizzazione (HR = 0,84) e a un tasso del 21% più basso di tutti i ricoveri (rate ratio, RR, 0,79) rispetto al placebo. Almeno un ricovero è stato segnalato nel 26,3% dei pazienti nel gruppo dapagliflozin, con un tasso di eventi di 143,7 per 1.000 anni-persona e nel 30,6% dei pazienti nel gruppo placebo, per un tasso di eventi di 171,9 eventi per 1.000 anni-persona.

Inoltre, rispetto al placebo, dapagliflozin ha ridotto il rischio di ospedalizzazioni dovute a disturbi cardiaci (RR = 0,67), disturbi renali e urinari (RR = 0,61), disturbi del metabolismo e della nutrizione (RR = 0,61) e neoplasie (RR = 0,62). Come riportato dai ricercatori, non c’erano evidenze che gli effetti di dapagliflozin sul primo e su tutti i ricoveri variassero in base alla presenza di diabete di tipo 2 al basale.

Dapagliflozin è stato anche associato a una minore durata media della degenza ospedaliera (2,3 vs 2,8 giorni, P=0,027) e più tempo fuori dall’ospedale (354,9 vs 351,7 giorni, P=0,023).

Dal momento che lo studio è stato condotto come analisi post hoc, secondo gli autori dovrebbe essere visto come generatore di ipotesi, anche se ritengono che i risultati abbiano una grande rilevanza clinica, dato che i ricoveri contribuiscono al carico della malattia renale cronica e riducono la qualità della vita correlata alla salute tra i pazienti.

«Questi risultati evidenziano ulteriori benefici di dapagliflozin oltre a quelli osservati per gli eventi cardiovascolari e renali, per la mortalità per tutte le cause e per causa specifica, pendenza dell’eGFR e albuminuria, e dovrebbero essere presi in considerazione quando si valuta la totalità delle evidenze a favore della somministrazione della molecola ai pazienti con insufficienza renale cronica» hanno concluso.

Commenti positivi dai nefrologi
«Questo studio si aggiunge alle molte evidenze sui benefici di questa classe di farmaci» ha affermato Shree Mulay, un nefrologo in uno studio privato nel Tennessee. «Penso che gli inibitori SGLT2 siano la nuova statina di questa era. Non sarei sorpreso se nel giro di 2-3 anni diventassero davvero lo standard di cura».

Leslie Gewin, professore associato alla Washington University di St. Louis e al John Cochran VA Hospital, sempre a St. Louis, ha visto un sostegno simile per gli inibitori SGLT2 sia tra i nefrologi che tra i cardiologi. Ha concordato sul fatto che questo studio evidenzia ulteriormente l’efficacia di questa classe di farmaci e ritiene che ormai siano stati pubblicati dati sufficienti per dissipare le precedenti preoccupazioni sui potenziali segnali di sicurezza, come fratture ossee e amputazioni. «Queste molecole sembrano essere molto più sicure di quello che avevamo pensato inizialmente» ha osservato. «Questo è molto incoraggiante».

Referenze

SchechterM et al.Effects of Dapagliflozin on Hospitalizations in Patients With Chronic Kidney Disease : A Post Hoc Analysis of DAPA-CKD. Ann Intern Med. 2022 Dec 6. 

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