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Epidermolisi bollosa distrofica: speranze da terapia genica topica

epidermolisi bollosa

Nei pazienti con epidermolisi bollosa distrofica, rara malattia genetica della pelle, una nuova terapia genica topica sperimentale ha guarito la maggior parte delle lesioni

Nei pazienti con epidermolisi bollosa distrofica, una rara malattia genetica della pelle che provoca vesciche e ulcere cutanee, una nuova terapia genica topica sperimentale ha guarito la maggior parte delle lesioni, come evidenziato dai risultati dello studio GEM-3 pubblicato sul New England Journal of Medicine (NEJM).

L’epidermolisi bollosa distrofica è una forma di epidermolisi bollosa ereditaria da fragilità della cute e delle mucose, con conseguente formazione di vescicole e ulcerazioni superficiali al di sotto della lamina densa della membrana basale cutanea, che guariscono con una significativa cicatrizzazione e formazione di milia (chiamati anche grani di miglio, si sviluppano quando cellule cutanee morte o la cheratina restano intrappolate sotto la superficie della pelle, formando piccole cisti bianche).

L’applicazione topica di beremagene geperpavec (B-VEC) ha portato alla completa guarigione del 67% delle ferite trattate rispetto al 22% di quelle esposte al placebo dopo 6 mesi (P=0,002), hanno riferito l’autore senior dello studio Peter Marinkovich e colleghi della Stanford University in California.

Un risultato che David Schaffer, dell’Università della California Berkeley, in un editoriale di accompagnamento ha definito drammatico per una condizione dolorosa e deturpante senza terapie approvate. I risultati positivi dello studio fanno ben sperare anche per altre forme di epidermolisi bollosa e altre malattie genetiche della pelle.

Il trial GEM-3 di fase III
Lo studio ha coinvolto 31 pazienti, sia bambini di almeno 6 mesi di età che soggetti adulti (età mediana della coorte 16 anni), con epidermolisi bollosa distrofica geneticamente confermata. I partecipanti sono stati randomizzati a ricevere l’applicazione in doppio cieco di B-VEC o placebo ogni settimana per 26 settimane su coppie di ferite abbinate in base a dimensioni, regione e aspetto.

Le aree cutanee selezionate non dovevano avere evidenza o una storia pregressa di carcinoma a cellule squamose o infezione attiva. Il trattamento è stato somministrato in regime ambulatoriale, in quanto B-VEC consiste in un prodotto scongelato criopreservato miscelato con gel di metilcellulosa. Il placebo comprendeva il gel eccipiente miscelato con soluzione fisiologica.

Tra gli esiti secondari, B-VEC ha ridotto il dolore durante i cambi di medicazione della ferita (-0,61 rispetto al placebo dal basale alla settimana 22 su una scala analogica visiva), con risultati simili alle settimane 24 e 26.

Nessuno dei cinque eventi avversi gravi che si sono verificati in tre pazienti è stato considerato correlato al farmaco in studio. Gli effetti collaterali più comuni sono stati tre casi (10%) sia di prurito che di brividi e carcinoma a cellule squamose della pelle.

Terapia genica con vettori virali adeno-associati 
La terapia genica con vettori virali adeno-associati (AAV) ha lo scopo di fornire una copia funzionante dei geni difettosi e si è rilevata efficace in diverse patologie ma, come in altri disturbi cutanei, il gene responsabile dell’epidermolisi distrofica (COL7A1) è troppo grande per essere trasportato da un AAV.

B-VEC utilizza un vettore di virus herpes simplex di tipo 1 (HSV-1) modificato per non essere in grado di replicarsi. Questo tipo di vettore non solo è in grado di trasportare inserti genici molto più grandi, ma non si inserisce nel cromosoma della cellula ospite, evitando il rischio di mutagenesi che potrebbe portare al cancro.

«Una volta all’interno della cellula, il DNA virale viene trascritto e tradotto in C7, che viene secreto nello spazio extracellulare per assemblarsi in fibrille di ancoraggio» ha spiegato in un editoriale Aimee Payne dell’Università della Pennsylvania a Filadelfia. La conseguente produzione di collagene di tipo VII funzionale aiuta la pelle a mantenere l’epidermide attaccata al derma, invece di formare vesciche che possono infettarsi e creare fibrosi che possono ad esempio fondere insieme le dita delle mani e dei piedi.

Il fatto che il vettore virale non si integri nel DNA dell’ospite in modo permanente rende l’approccio genico più sicuro, ma significa anche che viene diluito con ogni divisione cellulare e quindi necessita di somministrazioni ripetute. Tuttavia, il fatto che il 50% delle ferite trattate si sia chiuso completamente sia a 3 che a 6 mesi rispetto al 7% delle ferite dello stesso paziente di dimensioni e posizione simili e gestite con il placebo, secondo Schaffer potrebbe offrire il potenziale per una ragionevole durata dell’effetto.

Inoltre, un numero inferiore di vesciche e cicatrici croniche potrebbero significare un minor rischio di carcinomi a cellule squamose in questi pazienti. «Anche se non è stato formalmente dimostrato per questo trattamento, nessuno dei tre casi di carcinoma a cellule squamose che sono stati segnalati durante lo studio si è verificato nelle aree esposte al farmaco attivo o al placebo» ha sottolineato. «Inoltre, con il farmaco attivo si è verificata una maggiore riduzione dell’intensità del dolore durante il cambio della medicazione rispetto al placebo, un effetto che potrebbe diventare più pronunciato man mano che viene trattato un numero maggiore di ferite».

L’immunogenicità non sembra influenzare l’esito della terapia
«Esistono preoccupazioni teoriche sull’immunogenicità contro HSV-1 e C7 che può portare al rigetto immunitario del vettore o delle cellule trasdotte dal vettore, con una riduzione dell’efficacia dei trattamenti successivi» ha osservato Payne. «Inoltre, gli anticorpi contro C7 potrebbero indicare lo sviluppo di un disturbo vescicolare autoimmune secondario noto come epidermolisi bollosa acquisita, che in genere richiede una terapia immunosoppressiva a lungo termine».

Tuttavia, mentre quasi tutti i pazienti sieropositivi hanno avuto un aumento dei titoli anticorpali contro HSV-1 e C7 e circa il 75% dei pazienti sieronegativi ha sviluppato questi anticorpi durante la terapia con B-VEC, non c’era alcuna associazione tra immunogenicità e fallimento del trattamento. «Sono necessari studi più lunghi e più ampi per determinare la durata e gli effetti collaterali di B-VEC per questa malattia» hanno scritto Marinkovich e colleghi.

Referenze

Guide SV et al. Trial of beremagene geperpavec (B-VEC) for dystrophic epidermolysis bullosa. N Engl J Med. 2022 Dec 15;387(24):2211-2219.

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