Nel 2023 salirà la disoccupazione: allarme da Roma in giù


Nel 2023, secondo i calcoli della CGIA, la disoccupazione salirà all’8,4%. Napoli, Roma, Caserta, Latina, Frosinone, Bari, Messina e Catania le province più colpite

Il lavoro c'è. Ma come trovarlo?

Per l’anno venturo le previsioni economiche non sono particolarmente rosee; rispetto al 2022 la crescita del Pil e dei consumi delle famiglie è destinata ad azzerarsi e ciò contribuirà a incrementare il numero dei disoccupati, almeno di 63 mila unità. Il numero complessivo dei senza lavoro, infatti, nel 2023 sfiorerà la quota di 2.118.000. In termini assoluti, le situazioni più critiche si verificheranno nel Centro-Sud: ripartizione che già oggi presenta un livello di fragilità occupazionale molto preoccupante.  Napoli, Roma, Caserta, Latina, Frosinone, Bari, Messina, Catania e Siracusa saranno le province che registreranno gli incrementi maggiori. A dirlo è l’Ufficio studi della CGIA sulla base di una elaborazione dei dati Istat e delle previsioni Prometeia.
  • La disoccupazione salirà all’8,4 per cento
Ancorché influenzata dai rientri nel posto di lavoro dei cassaintegrati e dalla stabilizzazione dei contratti a termine, l’altro ieri l’Istat ha segnalato che lo scorso mese di ottobre l’occupazione ha toccato il record storico. Un grande risultato che, comunque, potrebbe invertirsi nel giro di qualche mese. Nel 2023, infatti, il tasso di disoccupazione è destinato a salire all’8,4 per cento. Un livello, comunque, che torna ad allinearsi con il dato del 2011; anno che ha anticipato la crisi del debito sovrano del 2012-2013 (Graf.1). Come dicevamo, il Centro-Sud sarà la ripartizione geografica più “colpita”: l’incidenza della sommatoria dei nuovi disoccupati di Sicilia (+12.735), Lazio (+12.665) e Campania (+11.054) sarà pari al 58 per cento del totale nazionale.
  • Napoli, Roma e Caserta le province più colpite
A livello territoriale le 10 province più interessate dall’aumento della disoccupazione saranno Napoli (+5.327 unità), Roma (+5.299), Caserta (+3.687), Latina (+3.160), Frosinone (+2.805), Bari (+2.554), Messina (+2.346), Catania (+2.266), Siracusa (+2.045) e Torino (+1.993). Poche le realtà territoriali che, invece, vedranno diminuire il  numero dei senza lavoro. Si segnala, in particolare, Perugia (-741), Lucca (-864) e Milano (-1.098).
  • I settori più in difficoltà
Sebbene non sia per nulla facile stabilire in questo momento i settori che nel 2023 saranno maggiormente interessati dalle riduzioni lavorative, pare comunque di capire che i comparti manifatturieri, specie quelli energivori e più legati alla domanda interna, potrebbero subire dei contraccolpi occupazionali, mentre le imprese più attive nei mercati globali tra cui quelle che operano nella metalmeccanica, nei macchinari, nell’alimentare-bevande e nell’alta moda saranno meno esposte. Non solo, stando al sentiment di molti esperti e di altrettanti imprenditori, altre difficoltà interesseranno i trasporti, la filiera automobilistica e l’edilizia, quest’ultima penalizzata dalla modifica legislativa relativa al superbonus, potrebbero registrare le perdite di posti di lavoro più significative.
  • Preoccupa la tenuta del lavoro autonomo
Secondo gli ultimi dati presentati giovedì scorso dall’Istat, dal febbraio 2020 (mese pre Covid) fino a ottobre 2022 (ultimo dato disponibile), i lavoratori indipendenti (sono inclusi anche i soci di cooperative, i collaboratori familiari, etc.) sono scesi di 205 mila unità, mentre i lavoratori dipendenti sono aumentati di 377 mila. Certo, tra questi ultimi, registriamo, in particolar modo, l’incremento del numero degli occupati con un contratto a tempo determinato, tuttavia questa comparazione ci evidenzia che la crisi pandemica e quella energetica ha colpito soprattutto le partite Iva che, a differenza dei lavoratori subordinati, sono sicuramente più fragili. Ricordiamo, infatti, che hanno pochissime tutele: rispetto ai dipendenti, ad esempio, non dispongono di malattia, ferie, permessi, Tfr e tredicesime/quattordicesime. In caso di difficoltà momentanea non hanno né cassaintegrazione né, in caso di chiusura dell’attività, alcuna forma di NASPI1 . Inoltre, come ricorda sempre l’Istat, il rischio povertà nelle famiglie dove il reddito principale è riconducibile a un autonomo è superiore a quelle dei dipendenti.
  • Rischiamo di mettere a repentaglio la coesione sociale
La chiusura di tantissime piccole attività economiche è riscontrabile anche a occhio nudo; basta girare a piedi per accorgersi che sono sempre più numerosi i negozi e le botteghe con le saracinesche abbassate 24 ore su 24. Il rischio di mettere a repentaglio la coesione sociale del Paese è molto forte. Le chiusure stanno interessando sia i centri storici sia le periferie delle nostre città, gettando nell’abbandono interi isolati, provocando un senso di vuoto e un pericoloso peggioramento della qualità della vita per chi abita in queste realtà. Meno visibile, ma altrettanto preoccupante, sono le chiusure che hanno interessato anche i liberi professionisti, gli avvocati, i commercialisti e i consulenti che svolgevano la propria attività in uffici/studi ubicati all’interno di un condominio. Insomma, le città stanno cambiando volto: con meno negozi e uffici sono meno frequentate, più insicure e con livelli di degrado in aumento. La moria di attività sta colpendo anche coloro che storicamente sono sempre stati in concorrenza con i negozi di vicinato; ovvero i centri commerciali. Anche la Grande Distribuzione Organizzata (GDO) è in difficoltà e non sono poche le aree commerciali al chiuso che presentano intere sezioni dell’immobile precluse al pubblico, perché le attività presenti precedentemente hanno abbassato definitivamente le saracinesche.
1 Va segnalato che dal 2021 gli autonomi dispongono dell’ISCRO (Indennità Straordinaria di Continuità Reddituale e Operativa), costituita solo per il triennio 2021-2023, in forma sperimentale, e si rivolge esclusivamente ai professionisti e lavoratori autonomi iscritti alla Gestione separata INPS che esercitano attività diverse dall’esercizio di imprese commerciali, con redditi molto bassi e momentanei cali di fatturato. Pertanto, non riguarda né artigiani né commercianti. Si tratta di una indennità semestrale, richiedibile una sola volta nel triennio, pari al 25% dell’ultimo reddito dichiarato. La misura di sostegno prevede l’erogazione di una indennità mensile trai i 250 euro e gli 800 euro, a seconda dei requisiti posseduti dal richiedente.