Osteoporosi: romosozumab e denosumab migliorano densità ossea


Osteoporosi: il trattamento per un anno con romosozumab, seguito da un anno di trattamento con denosumab, si associa ad un miglioramento della densità minerale ossea

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Il trattamento per un anno con romosozumab, seguito da un anno di trattamento con denosumab, si associa ad un miglioramento della densità minerale ossea (BMD) e ad una minore incidenza di fratture rispetto a 2 anni di denosumab nelle donne affette da osteoporosi (OP).

Queste le conclusioni di un’analisi post-hoc dello studio FRAME, presentata nel corso del recente Congresso dell’American Society of Bone and Mineral Research (ASBMR).

Lo studio, in breve    
Nello studio FRAME, le donne affette da osteoporosi postmenopausale dai 55 anni in su erano state randomizzate, secondo uno schema 1:1, a trattamento con romosozumab (farmaco bone building) al dosaggio mensile di 210 mg (mediante iniezione sottocutanea) per 12 mesi o a trattamento con placebo, seguito dall’agente antiriassorbitivo denosumab al dosaggio mensile di 60 mg, mediante iniezione sottocutanea, per 12 mesi. Entrambi i gruppi hanno poi ricevuto denosumab per 12 mesi nello studio FRAME Extension.

Per rendere possibile un confronto diretto tra gruppi, i ricercatori si sono avvalsi  di una metodologia che ha confrontato l’anno 1 e 2 del braccio sperimentale con gli anni 2 e 3 del braccio di confronto. Hanno eseguito, inoltre, delle analisi di sensibilità per stimare l’effetto del trattamento.

Utilizzando la metodologia del propensity score-matching, i ricercatori hanno confrontato 2.772 donne per ciascun braccio dello studio.

Analizzando i risultati, è emerso che il trattamento con romosozumab come farmaco utilizzato in prima battuta è stato associato a:
– un aumento del 16,8% della BMD della colonna lombare rispetto a un aumento del 7,4% con 2 anni di denosumab
– un aumento della BMD dell’8,4% rispetto al 3,9% dell’anca in toto
–  un aumento del 7,6% rispetto al 3,4% a livello del collo del femore (tutti P<0,001)

L’approccio basato sul romosozumab è stato associato anche a una diminuzione delle nuove fratture vertebrali rispetto a 2 anni di denosumab (0,6% vs 1,3%; P=0,006).
Sono state osservate anche diminuzioni numeriche nell’incidenza di fratture cliniche, fratture non vertebrali e fratture dell’anca con romosozumab seguito da denosumab, ma queste differenze non hanno raggiunto la significatività statistica.

Nel complesso, “…I nostri risultati indicano che l’inizio del trattamento con romosozumab seguito da denosumab offre un beneficio superiore al trattamento con il solo denosumab”, hanno affermato i ricercatori -. “Questi dati dimostrano che romosozumab dovrebbe essere considerato come terapia iniziale nei pazienti ad alto rischio di frattura”.

Informazioni su romosozumab
Romosozumab condivide con teriparatide la neosintesi di osso, ma con un meccanismo d’azione nettamente diverso. Teriparatide determina un aumento dell’attività osteoblastica ma, contemporaneamente, aumenta il turnover, per cui determina nel medio termine un aumento dell’attività osteoclastica che, alla lunga, è causa del plateau del processo di neoformazione ossea.
Rispetto ai farmaci antiriassorbitivi, invece, romosozumab condivide l’attività osteoclastica (per quanto molto blanda), differenziandosi però per il forte stimolo dell’attività osteoblastica, per cui l’effetto netto è la produzione di osso nuovo di grande qualità.  nel trattamento dell’OP.

Bibliografia
Cosman F, et al “One year of romosozumab followed by one year of denosumab compared with two years of denosumab: BMD and fracture results from the FRAME and FRAME Extension studies” ASBMR 2022.