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Leucemia mieloide: quizartinib e chemio raddoppiano la sopravvivenza

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Leucemia mieloide acuta FLT3-ITD-positiva di nuova diagnosi: ottimi risultati con l’aggiunta di quizartinib alla chemioterapia e alla terapia di consolidamento

Nei pazienti adulti con leucemia mieloide acuta FLT3-ITD-positiva di nuova diagnosi, l’aggiunta dell’inibitore orale di FLT3 quizartinib alla chemioterapia standard di induzione e alla terapia di consolidamento ha dimostrato di migliorare in modo significativo la sopravvivenza globale (OS) rispetto alla sola chemioterapia standard, secondo una prima analisi dei risultati dello studio di fase 3 QuANTUM-First, presentata all’ultimo convegno della European Hematology Association (EHA), a Vienna.

I risultati, presentati in conferenza stampa, mostrano che dopo un follow-up superiore ai 3 anni, il trattamento con quizartinib ha più che raddoppiato l’OS, che ha superato i 30 mesi, e ridotto del 22,4% il rischio di decesso rispetto al placebo.

I risultati di questo studio «mostrano che quizartinib ha potenzialità per cambiare lo standard di cura nel trattamento dei pazienti adulti con leucemia mieloide acuta FLT3-ITD-positiva di nuova diagnosi», ha dichiarato l’autore principale dello studio Harry Erba, del Duke Cancer Institute di Durham (North Carolina), presentando i risultati dello studio al convegno.

Quizartinib è un potente inibitore tirosin chinasico (TKI) di FLT3, di tipo II e altamente selettivo contro le versioni mutate che originano dalle duplicazioni tandem interne (internal tandem duplications, ITD) del gene corrispondente.

Un terzo dei pazienti con leucemia mieloide acuta è portatore di mutazioni del gene FLT3, che sono associate a esiti peggiori e a un minore tasso di sopravvivenza rispetto all’assenza di tali mutazioni.

Lo studio QuANTUM-First
QuANTUM-First (NCT02668653) è uno studio internazionale, randomizzato, controllato contro placebo, e in doppio cieco, che ha incluso 539 pazienti con leucemia mieloide acuta FLT3-ITD-positiva di nuova diagnosi, di età compresa fra 18 e 75 anni.

Tutti i pazienti hanno iniziato la chemioterapia con il regime standard 7 + 3 durante lo screening. Sono stati quindi assegnati secondo un rapporto di randomizzazione 1:1 al trattamento con quizartinib 40 mg al giorno nei giorni 8-21 (268 pazienti) oppure un placebo (271 pazienti), aggiunti alla chemioterapia standard (citarabina nei giorni da 1 a 7 e daunorubicina o idarubicina nei giorni da 1 a 3 come terapia di induzione for un massimo di due cicli.

Una seconda induzione era consentita se l’esame del midollo successivo all’induzione evidenziava un residuo di cellule leucemiche.

I pazienti che hanno ottenuto una risposta completa o una risposta completa con recupero ematologico incompleto sono stati trattati con una terapia di consolidamento con citarabina ad alte dosi più quizartinib o il placebo per un massimo di quattro cicli e/o il trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche. È seguita poi una terapia di mantenimento con quizartinib (40-60 mg al giorno) o il placebo, per un massimo di 36 cicli (3 anni).

L’endpoint primario dello studio era l’OS, mentre gli endpoint secondari comprendevano la sopravvivenza libera da progressione (PFS), la sopravvivenza libera da eventi (EFS), il tasso di remissione completa, il tasso di remissione completa composita e la sicurezza. Erano, invece, endpoint esplorativi la sopravvivenza libera da recidiva (RFS) e la durata delle remissione completa.

Nella fase di consolidamento sono entrati 173 pazienti del braccio quizartinib e 175 del braccio placebo. L’allotrapianto di cellule staminali previsto dal protocollo è stato eseguito in 102 pazienti del braccio quizartinib e in 91 pazienti del braccio placebo. Infine, i pazienti che hanno proseguito con il trattamento di mantenimento sono stati 116 nel braccio sperimentale e 92 nel braccio placebo.

Le caratteristiche dei pazienti
Le caratteristiche di base dei pazienti erano ben bilanciate nei due bracci.

Al basale, l’età mediana dei partecipanti era di 56 anni (range complessivo: 20-75 anni) e più della metà dei pazienti in ciascun braccio era di sesso femminile. Circa il 60% dei pazienti in ogni braccio era bianco e all’incirca il 30% era asiatico. Oltre il 70% dei pazienti presentava una citogenetica di rischio intermedio e più della metà aveva una mutazione di NPM1.

Sopravvivenza totale raddoppiata 
Lo studio ha centrato in pieno il suo endpoint primario. Infatti, l’OS mediana raggiunta nei pazienti del braccio quizartinib è risultata di 31,9 mesi contro 15,1 mesi nel braccio placebo ( hazard ratio [HR] 0,776; IC al 95%0,615-0,979; P = 0,0324). Inoltre, i risultati di OS dopo censura dei pazienti sottoposti all’allotrapianto sono stati coerenti con quelli dell’analisi primaria (HR 0,752; IC al 95% 0,562-1,008).

Al momento del cutoff dei dati, con un follow-up mediano di 39,2 mesi, 58 pazienti stavano proseguendo con la terapia di mantenimento.

Tra i pazienti che hanno raggiunto una risposta completa e sono stati sottoposti al trapianto durante la prima remissione completa, quizartinib ha ridotto del 41% il rischio di morte (HR 0,591; IC al 95% 0,330-1,059). Nei pazienti che hanno raggiunto una risposta completa, ma non sono stati sottoposti al trapianto allogenico durante la prima remissione completa, la riduzione del rischio di decesso con il trattamento sperimentale è stata del 40% (HR 0,607; IC al 95% 0,387-0,954).

Il tasso di risposta completa è stato simile nei due bracci: 54,9% nel braccio sperimentale e 55,4% nel braccio placebo. Tuttavia, il tasso di risposta completa con recupero ematologico incompleto è risultato rispettivamente del 16,8% e del 9,6%. La mediana della durata della risposta completa è stata di 38,6 mesi con quizartinib e 12,4 mesi con il placebo.

Non è stato rilevato un miglioramento significativo della sopravvivenza libera da eventi (EFS) con quizartinib quando il fallimento del trattamento di induzione è stato definito come assenza di risposta completa al giorno 42 dell’ultimo ciclo di induzione (HR 0,916; IC al 95% 0,754-1,114; P = 0,2371); tuttavia, è stata registrata un’EFS significativamente più lunga quando il fallimento del trattamento di induzione è stato definito come assenza di risposta completa entro la fine dell’induzione (HR 0,818; IC al 95% 0,669-0,999; P = 0,0323).

Tra i pazienti che hanno raggiunto una risposta completa, l’RFS mediana libera da recidiva è risultata di 39,3 mesi con quizartinib e 13,6 mesi con il placebo (HR 0,613); inoltre, l’incidenza cumulativa di recidiva a 24 mesi tra i pazienti che hanno raggiunto la risposta completa è stata del 31,2% con quizartinib e 43,3% con il placebo .

Profilo di sicurezza gestibile
La sicurezza di quizartinib in combinazione con la chemioterapia intensiva e come monoterapia successiva è risultata gestibile e non sono stati riportati nuovi segnali legati alla sicurezza.

Quasi tutti i pazienti di entrambi i bracci hanno manifestato eventi avversi durante il trattamento. L’incidenza di eventi emersi durante il trattamento di grado ≥3 è stata comparabile nei due bracci: 92,1% con quizartinib e 89,6% con il placebo.

Tuttavia, l’incidenza della neutropenia di grado ≥3 è stata più alta nel braccio sperimentale rispetto al braccio di controllo: 18,1% contro 8,6%.

Anche il prolungamento del QT si è manifestato in una percentuale maggiore di pazienti nel braccio quizartinib rispetto al braccio placebo: 13,6% contro 4,1%; 2,3% contro 0,8% nel caso degli eventi di grado 3.

Altri eventi avversi di grado ≥3 manifestati da almeno il 10% dei pazienti sono stati neutropenia febbrile (43,4% contro 41,0%), ipokaliemia (18,9% contro 16,4%) e polmonite (11,7% contro 12,7%).

L’incidenza degli eventi avversi correlati al trattamento che hanno richiesto l’interruzione del trattamento stesso è stata del 20,4% nel braccio quizartinib e 8,6% nel braccio placebo, mentre quella degli eventi con esito fatale è stata rispettivamente dell’11,3% e 9,7%. Due pazienti (0,8%) hanno avuto un arresto cardiaco con una fibrillazione atriale registrata dall’ecg nel contesto di un’ipokaliemia severa.

In conclusione
Nelle sue considerazioni conclusive, Erba ha fatto notare che ora, per questa popolazione di pazienti, è disponibile anche un altro farmaco: midostaurina. E, dunque, come scegliere?

L’autore ha sottolineato come lo studio QuANTUM-First non sia un confronto testa a testa fra queste due opzioni (quizartinib e midostaurina) per il semplice fatto che la midostaurina è stata approvata dopo che lo studio è stato avviato, per cui il clinico può basarsi solo sulla sua esperienza, all’atto della scelta.

Erba ha aggiunto, infine, che lo studio QuANTUM-First differisce da quello fatto con midostaurina per il fatto di essersi focalizzato «sui pazienti con la prognosi peggiore, quelli con FLT3-ITD», ha osservato Erba. «Nello studio su midostaurina i pazienti avevano sia FLT3-ITD sia mutazioni del dominio tirosin chinasico di FLT3 (FLT3-TKD). Infatti, se si guardano gli HR, sono risultati più bassi, a favore del trattamento con midostaurina, per i pazienti con FLT3-TKD. Anche se lo studio npn aveva una potenza statistica adeguata per quantificare le differenze, siamo contenti dei risultati di sopravvivenza», ha concluso l’autore.

Bibliografia
H. Erba, et al. Quizartinib prolonged survival vs placebo plus intensive induction and consolidation therapy followed by single-agent continuation in patients aged 18-75 years with newly diagnosed FLT3-ITD+ AML. Presented at EHA 2022;abstract S100. Link

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