Nel settore giochi persi 8mila posti di lavoro con la pandemia


Dati drammatici per i lavoratori nel “Percorso di Studio sul settore dei giochi in Italia” condotto dall’Ufficio studi della CGIA Mestre

giochi scommesse

Più di 8 mila posti di lavoro nel settore dei giochi sono stati persi da fine 2018 a fine 2021. È il quadro che emerge dal “Percorso di Studio sul settore dei giochi in Italia” condotto dall’Ufficio studi della CGIA Mestre in collaborazione con il Centro Studi As.tro, presentato oggi a Roma. L’indagine, focalizzata in particolare sugli apparecchi da gioco (le cosiddette AWP e le videolottery), parte da una stima del numero di addetti del comparto, realizzata sulla base di informazioni fornite dagli archivi camerali e dalla banca dati del Ries, nella quale i soggetti che operano nel settore delle AWP (le comuni slot machine) e delle VLT sono tenuti a registrarsi. Lo studio evidenzia «una contrazione degli occupati di almeno 8.400 unità» tra gli addetti al settore «corrispondente a una diminuzione di quasi il 15% (14,8%)». Un numero potenzialmente ancora sottostimato visto che lo studio non ha incluso i lavoratori dei concessionari di giochi. Il confronto ha preso in esame l’ultima rilevazione della CGIA (fine 2018) e i dati stimati a fine 2021; particolarmente difficile è stato proprio il biennio 2020-2021, definito “drammatico” dalla CGIA.

I LAVORATORI – Sono circa 48mila lavoratori attuali sostenuti dal sistema AWP-VLT presi in esame dall’Ufficio studi della CGIA, che per il suo calcolo ha utilizzato dati ufficiali provenienti da banche dati pubbliche, rilevazioni sulla categoria e stime. Di questi, 14 mila sono addetti “diretti” che operano presso le sale dedicate attraverso slot e VLT o in esercizi che svolgono anche altre attività di gioco (agenzie di scommesse, sale giochi, sale bingo e negozi di gioco) nelle quali la presenza di apparecchi ha un apporto rilevante come fonte di ricavo. A questi si aggiungono 11 mila persone tra i gestori che collocano gli apparecchi nei locali; la maggioranza, calcolata in 22 mila unità, riguarda invece i soggetti che lavorano presso esercizi (bar, tabaccherie ecc.) in cui sono presenti le slot e che sono sostenuti dai ricavi generati da queste. Nel totale rientrano infine anche gli addetti dell’indotto, ovvero i dipendenti delle imprese che producono gli apparecchi da gioco (circa 1.300).

TAGLIO DEGLI APPARECCHI, CROLLO DEL MARGINE – Riguardo gli apparecchi da gioco, si rileva che a fine 2021 erano circa 253mila le slot operative in 51.837 esercizi in tutta Italia; rispetto al 2015, la riduzione degli apparecchi è stata del 39%, mentre gli esercizi con AWP sono scesi del 38%. A pesare sul comparto degli apparecchi è stata ovviamente l’emergenza sanitaria, che ha costretto il settore a uno dei maggiori periodi di sospensione dell’attività: 166 giorni di lockdown nel 2020 e da 151 a 178 giorni nel 2021 a seconda delle regioni. Il susseguirsi dei provvedimenti di stop ha portato le aziende a lunghissime chiusure forzate che oscillano da 218 fino a 245 giorni consecutivi. Tale blocco è ricaduto pesantemente sulla raccolta, che rispetto al 2019 è precipitata del 60%, con una corrispondente riduzione del gettito e dei margini della filiera. In particolare, il gettito del PREU si è ridotto del 52%, passando da 6,7 miliardi del 2019 a 3,2 miliardi di euro. A determinare l’ulteriore taglio è stato il concorso di altri elementi, in primis l’inasprimento del prelievo erariale: la crescita continua delle aliquote a partire dal 2015 e fino al 2021 ha comportato una forte riduzione del margine della filiera, con un crollo del 50% per le videolottery (da 1,5 miliardi di euro a 767 milioni) e di quasi il 60% per le slot machine (da 3,3 miliardi a 1,3 miliardi). Per quanto riguarda il biennio 2020-2021, la discesa per il fatturato VLT è stata di almeno il 63% rispetto al 2019, mentre per le AWP si registra un decremento di almeno il 46%.

GIOCO ONLINE, OLTRE 4MILA LAVORATORI – I Concessionari autorizzati a operare nel settore del gioco online sono 84 di cui 31 esteri e 53 italiani, e per questi ultimi lavorano circa 4.350 addetti. I risultati economici di queste imprese derivano da diverse attività connesse con il gioco lecito sia fisico che a distanza. L’esercizio e la raccolta del gioco online è quindi solo una delle attività svolte da queste imprese. La stima è che i soli proventi online dei 53 concessionari italiani rappresentino un ammontare di risorse in grado di sostenere almeno 1.500 lavoratori.  Nel corso degli anni è cresciuto in maniera rilevante anche il gettito per l’erario. Dal 2015 al 2020 il dato è triplicato (da 212 milioni a 634 milioni di euro), mentre nel 2021 si stima che abbia raggiunto un ammontare di almeno 887 milioni di euro. A crescere è anche il tasso di incidenza della spesa online sulla spesa totale del gioco lecito, passato da poco più del 4% nel periodo 2012-2015 a oltre il 20% nel 2020. Particolarmente rilevante è il balzo dell’online nel 2020, in concomitanza con il lockdown della rete fisica: la crescita è stata del 45% (la spesa è passata dai 1,8 miliardi di euro del 2019 ai 2,6 del 2020), mentre per il 2021 si stima un aumento del 66% sul 2020, con una spesa vicina ai 4,5 miliardi (4.439 milioni di euro).

CONTRASTO ALL’ILLEGALITÀ E NORME LOCALI – Lo studio si sofferma infine anche sulla differenza tra gioco legale – che risponde a regole precise, assicura determinate percentuali di vincite ed è una risorsa preziosa per l’erario – e quello illegale, che sfugge a qualsiasi forma di tassazione e non ha regole che tutelino i giocatori. Sulla quantificazione di quest’ultimo non vi sono dati puntuali; tuttavia nel 2020 il direttore dell’Agenzia Dogane e Monopoli, Marcello Minenna, ha stimato la dimensione del fenomeno in «una quantità finanziaria analoga a quella che viene introiettata dallo Stato nella gestione delle concessioni, quindi tra gli 8 e gli 11 miliardi di euro». Altro nodo per il settore è quello legato alle leggi regionali e delibere degli enti locali che negli ultimi anni hanno puntato a contenere il comparto del gioco lecito con disposizioni come il “distanziometro” e i limiti orari. Le diverse norme locali hanno disciplinato la materia con un diverso grado di severità, in alcuni casi con una fortissima riduzione delle attività sul territorio.