Dolore da infiammazione: la diagnosi spesso è difficile


Non è facile effettuare una diagnosi precisa in presenza di dolore causato da infiammazione, a fronte della necessità di avviare il prima possibile la cura

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Al congresso della German Society of Internal Medicine (DGIM) si è parlato della difficoltà di effettuare una diagnosi precisa in presenza di dolore causato da infiammazione, che può verificarsi in qualsiasi parte dell’organismo, a fronte della necessità di avviare il prima possibile il trattamento per prevenire i danni a lungo termine.

«Distinguere il dolore temporaneo o di lunga durata causato dall’infiammazione, come quello alla schiena, attribuibile a una delle circa 100 possibili condizioni reumatologiche non è facile, nemmeno per gli specialisti» ha affermato il relatore Ulf Müller-Ladner della Justus Liebig University of Giessen, campus di Kerckhoff, Bad Nauheim, Germania. «Le condizioni infiammatorie del tessuto connettivo, che si trova in tutto l’organismo, possono essere trovate ovunque, nelle articolazioni, nei muscoli, nei vasi e negli organi».

Non è semplice effettuare una diagnosi precisa
Dal momento che il dolore o l’infiammazione possono svilupparsi in qualsiasi parte del corpo, gli specialisti sono in uno stato di tensione costante e devono scoprire se il paziente è ancora sano o se è effettivamente reumatico. Senza un’evidenza di malattia maligna o di reazione ai farmaci antidolorifici convenzionali, è infatti particolarmente difficile fare una distinzione precisa tra i sintomi tipici di condizioni reumatiche o sistemico-infiammatorie come dolori articolari o muscolari persistenti, attacchi febbrili ricorrenti o una riduzione delle prestazioni del paziente.

Per avvicinarsi a una diagnosi, i sintomi sono vengono per lo più combinati con procedure di imaging e valori di laboratorio. «La ricerca reumatica-immunologica delle evidenze viene spesso resa ancora più complicata dal fatto che vengono misurati parametri di laboratorio individuali o multipli che possono indicare la strada giusta ma anche portare in una direzione sbagliata» ha detto.

Parametri di laboratorio ingannevoli
I parametri di laboratorio possono essere indicativi come possono essere fuorvianti, quindi è indispensabile la loro corretta valutazione per effettuare una diagnosi.

«Un fattore reumatoide positivo in combinazione con oligoartrite a breve termine in seguito a un’infezione virale sicuramente non è indicativo di artrite reumatoide. Al contrario una lombalgia costante al mattino in combinazione abbinata alla positività all’antigene HLA-B27 consente la diagnosi di una condizione reumatica come il mal di schiena infiammatorio, una fase iniziale della spondilite anchilosante» ha spiegato. «La positività al test ANA (che indica la presenza di autoanticorpi) in una giovane donna con un lieve arrossamento cutaneo dopo l’esposizione al sole non significa automaticamente che sia presente lupus eritematoso sistemico. Al contrario, più nati morti in combinazione con anticorpi positivi per la cardiolipina indicano una sindrome da anticorpi antifosfolipidi».

Il problema è che la diagnosi di una condizione reumatica spesso richiede molto tempo. Tuttavia, per molti di questi sintomi, specialmente per condizioni infiammatorie-reumatiche come l’artrite reumatoide, quanto prima viene diagnosticata la condizione e avviato il trattamento tanto è più probabile che la rigidità articolare venga ritardata e si possano prevenire danni irreparabili.

Prescrivibilità vincolata per molti trattamenti
Secondo Müller-Ladner il dilemma associato alle condizioni reumatiche è ancora più profondo. Solo se la diagnosi viene formulata secondo determinati criteri viene autorizzata la prescrizione di determinati farmaci. Per specifiche condizioni reumatiche sono autorizzati medicinali speciali altamente efficaci che possono portare a una remissione a lungo termine e non di rado vengono prescritti off-label a un paziente perché non possono essere rilevati tutti i criteri richiesti per l’evidenza della condizione. Uno di questi è l’artrite simmetrica del polso rilevata dalla risonanza magnetica, una forma molto definita e precoce di artrite reumatoide.

Il medico si trova quindi spesso di fronte al problema di dover trattare il paziente secondo conoscenze scientificamente motivate e proteggere sia le articolazioni che la capacità lavorativa a lungo termine, ma senza che sia disponibile un farmaco con questa indicazione.

Trattare il prima possibile per prevenire i danni a lungo termine
Müller-Ludner ritiene che l’unica opportunità per differenziare i normali dolori muscolari o articolari da una condizione reumatica e per trovare finalmente un trattamento appropriato consista nel controllare regolarmente ogni sintomo che suggerisce una condizione reumatica in base ai criteri di classificazione aggiornati delle diverse entità e incorporando regolarmente i sintomi nuovi o quelli modificati verificando se sono coerenti o meno con la rispettiva indicazione.

«Per fornire ai pazienti le cure migliori possibili è necessaria la cooperazione multidisciplinare per integrare le varie competenze, ad esempio tra specialisti di medicina interna e reumatologi, o reumatologi e nefrologi» ha fatto presente. «L’obiettivo per il futuro è modificare gli attuali criteri di classificazione grazie alle nuove scoperte, così che le condizioni che richiedono un trattamento possano essere effettivamente trattate nell’interesse del paziente in una fase in cui è possibile prevenire danni a lungo termine».

Bibliografia

Kongress der Deutschen Gesellschaft für Innere Medizin (DGIM), 30 April – 3 May 2022, Wiesbaden, Germany