Infarto: alirocumab e statine aiutano la placca coronarica


Dopo un infarto l’aggiunta dell’inibitore PCSK9 alirocumab alla terapia con statine ad alta intensità migliora la regressione e la stabilizzazione della placca coronarica

Solo il 76% dei pazienti colpiti da infarto con dispnea o affaticamento come sintomo principale è vivo a un anno, rispetto al 94% di quelli con dolore toracico

L’aggiunta dell’inibitore PCSK9 alirocumab alla terapia con statine ad alta intensità migliora la regressione e la stabilizzazione della placca coronarica quando il trattamento è iniziato presto, dopo un infarto miocardico (IM) acuto. È quanto dimostra lo studio PACMAN-AMI, i cui risultati sono stati riferiti all’American College of Cardiology (ACC) 2022 Scientific Session e pubblicati contemporaneamente su “JAMA”.

L’imaging intracoronarico seriale ha mostrato che la combinazione ha fornito maggiori riduzioni del volume percentuale dell’ateroma e del carico lipidico, nonché un maggiore aumento dello spessore minimo del cappuccio fibroso, nel corso di un anno di trattamento, rispetto alla sola terapia con statine, ha affermato il primo autore della ricerca, Lorenz Räber, dell’Ospedale Universitario di Berna (Svizzera). Questi reperti «forniscono la logica meccanicistica a favore di un inizio precoce dell’abbassamento molto intensivo delle LDL nei pazienti con IM acuto» ha aggiunto.

A un anno, volume dell’ateroma ridotto e spessore del cappuccio fibroso aumentato
Le placche coronariche che possono rompersi e causare un IM acuto hanno spesso un grande carico di placca, un alto contenuto lipidico e cappucci fibrosi sottili, ha osservato Räber. Le statine rallentano la progressione dell’aterosclerosi coronarica, ma l’impatto degli inibitori PCSK9 sulle caratteristiche della placca, specialmente se somministrati precocemente dopo sindrome coronarica acuta (ACS), non è ben noto.

Il trial PACMAN-AMI, condotto in nove centri di studio in Svizzera, Danimarca, Paesi Bassi e Austria, è stato progettato per rispondere a questa domanda. I ricercatori hanno arruolato 300 pazienti (età media 58,5 anni; 18,7% donne) con infarto STEMI acuto (53%) o NSTEMI (47%) sottoposti a intervento coronarico percutaneo (PCI) di successo del vaso infartuale e con evidenza angiografica di aterosclerosi non ostruttiva (stenosi da 20% a 50% di diametro) in due arterie non correlate all’infarto.

Il livello di colesterolo LDL doveva essere superiore a 125 mg/dL (3,2 mmol/L) nei pazienti naïve alle statine e superiore a 70 mg/dL (1,8 mmol/L) nei pazienti trattati con statine. Solo un 12% circa dei pazienti era in trattamento con statine quando è entrato nello studio.

Al basale, i pazienti avevano caratteristiche della placca coronarica nelle arterie non correlate all’infarto valutate mediante ecografia intravascolare (IVUS), spettroscopia nel vicino infrarosso (NIRS) e tomografia a coerenza ottica (OCT). L’imaging è stato ripetuto a 1 anno.

Dopo l’imaging al basale, i pazienti sono stati randomizzati ad alirocumab 150 mg somministrati per via sottocutanea ogni 2 settimane più rosuvastatina 20 mg o placebo più rosuvastatina. Il trattamento è stato iniziato entro 24 ore dal successo della PCI.

Nel corso di 1 anno, il colesterolo LDL è sceso in media del 50,7% nel gruppo placebo e dell’84,8% nel gruppo alirocumab. Ciò si è tradotto in una riduzione significativamente maggiore del volume percentuale di ateroma rilevato dall’IVUS – l’endpoint primario – nel braccio alirocumab (2,13% vs 0,92%; P < 0,001).

Anche due endpoint secondari alimentati hanno favorito l’aggiunta dell’inibizione di PCSK9, con una maggiore riduzione dell’indice massimo di carico lipidico/core misurato mediante NIRS entro 4 mm (79,42 vs 37,60; P = 0,006) e un maggiore aumento dello spessore minimo del cappuccio fibroso misurato dall’OCT (62,67 vs 33,19 μm; P = 0,001).

Da notare come tutti questi cambiamenti siano stati maggiori nei pazienti con livelli di colesterolo LDL più bassi durante il trattamento, in particolare quando sono scesi al di sotto di 50 mg/dL. Questo, ha detto Räber, suggerisce «che dovremmo raggiungere livelli di LDL molto bassi nei pazienti ad alto rischio».

Perché sono importanti i risultati dello studio
I risultati di PACMAN-AMI sono rilevanti per due motivi, anche se alirocumab ha già dimostrato di avere un beneficio clinico in ODYSSEY OUTCOMES, che ha dimostrato una riduzione degli eventi avversi cardiovascolari maggiori con l’inibitore PCSK9 in pazienti stabilizzati con ACS» ha osservato Michael Blaha, del Johns Hopkins University Medical Center di Baltimora dopo la presentazione di Räber.

In primo luogo, «è estremamente importante capire il meccanismo di ciò che si sta facendo e come questo stia influenzando gli esiti» ha detto Blaha, aggiungendo che le informazioni si riveleranno utili quando si parlerà con i pazienti della modulazione della placca. «Ritengo inoltre che sia importante capire la biologia della terapia ipolipemizzante».

In secondo luogo, ha proseguito, lo studio è importante a causa della popolazione bersaglio, con la terapia ipolipemizzante iniziata precocemente, rapidamente dopo un IM acuto, basandosi su diversi studi precedenti a sostegno della sicurezza del trattamento in questo contesto.

In PACMAN-AMI, non ci sono state differenze tra i bracci dello studio nella mortalità per tutte le cause e l’IM, ma c’è stata una significativa riduzione della rivascolarizzazione coronarica guidata dall’ischemia delle arterie non correlate all’infarto con il trattamento con alirocumab (8,2% vs 18,5).

Il dubbio è se sia necessario uno studio più definito degli esiti clinici prima di spostare l’inibizione di PCSK9 precocemente dopo IM acuto. A tale proposito, Blaha ha osservato che uno studio monocentrico di un altro agente in questa classe (evolocumab) ha dimostrato che la somministrazione ospedaliera durante i grandi IM appariva sicura ed efficace. Ciò è rafforzato dai risultati di HUYGENS con evolocumab e ora di PACMAN-AMI con alirocumab, ha detto.

In particolare, Blaha ha definito i cambiamenti della placca osservati, in particolare quelli che coinvolgono cambiamenti del fenotipo, «piuttosto sostanziali», sottolineando che i risultati sono coerenti appunto con quelli dello studio HUYGENS con evolocumab. «Qui si evidenzia un dato biologico molto coerente, ovvero che l’ulteriore abbassamento delle LDL in questo periodo acuto modula marcatamente la placca».

Inoltre la modulazione sembra essere sicura, poiché i tassi di eventi avversi (71% con alirocumab e 73% con placebo) e di eventi avversi gravi (32% e 33%) erano simili nei due bracci dello studio. L’unico evento avverso di particolare interesse che è stato significativamente più elevato nei pazienti trattati con alirocumab è stato il verificarsi di reazioni allergiche generali (3,4% vs 0).

Ci sono «molti dati emergenti ora che dimostrano come questa sia una strategia praticabile che sembra sicura» ha detto Blaha. «Penso che, in modo selettivo, si possa iniziare a farla anche ora e che sia sicura». Questi dati rendono nel 2022 lo studio estremamente rilevante, ha aggiunto.

Tuttavia, uno studio più definitivo sarebbe utile, ha precisato, sottolineando che è stato recentemente annunciato uno studio con evolocumab nell’IM acuto. «Penso che ora si possa avviare la terapia in modo selettivo» ha ribadito «ma probabilmente per un’ampia approvazione delle linee guida, ci sarà bisogno di uno studio».

Le favorevoli implicazioni sul counselling con i pazienti
Secondo Räber e colleghi i risultati di PACMAN-AMI potrebbero essere utili in fase di counselling con i pazienti con aterosclerosi. Anthony DeMaria, dell’UC San Diego Health di La Jolla, un past president dell’ACC, ha detto che i suoi pazienti spesso chiedono come possono far ‘sparire’ le loro placche. Questo studio, secondo DeMaria, fornisce la prova che le placche possono essere rimodellate anche se potrebbero non diventare molto più piccole. «Ritengo che questo incentiverà i pazienti in larga misura» ha detto.

I risultati sollevano anche domande sul fatto che ci dovrebbe essere un obiettivo al di sotto del quale i livelli di colesterolo LDL dovrebbero essere guidati, ha detto DeMaria, osservando che c’è stato un certo dibattito su questo tema negli ultimi anni.

«In questo caso, il fatto rilevante è che se si ottiene una riduzione superiore al 50% si ottiene un maggiore rimodellamento della placca» ha commentato. «E se ciò non può essere fatto con le sole statine, allora dovrebbe essere fatto con le statine più tutto ciò che è necessario. Quindi auspico che il livello di LDL sia il più basso possibile».

Räber ha convenuto che questi dati potrebbero essere utilizzati nelle discussioni con i pazienti, affermando che la motivazione è una componente importante quando si tratta di una terapia che abbassa le LDL. La visualizzazione dei cambiamenti della placca è un’ulteriore informazione che può mantenere i pazienti aderente ai farmaci prescritti.

I risultati di PACMAN-AMI e altri studi supportano sempre più l’idea di disporre di inibitori PCSK9 sui formulari ospedalieri per consentire un accesso anticipato ai farmaci per i pazienti, ha aggiunto Blaha. Ciò migliorerebbe in ultima analisi l’accesso ai farmaci. Questi dati suggeriscono anche che i medici dovrebbero cercare di stabilizzare le placche coronariche precocemente nel decorso della malattia, anche prima che si sia verificato un IM. I risultati portano a questo obiettivo futuro, si è detto convinto Blaha.

Bibliografia:
Räber L, Ueki Y, Otsuka T, et al. Effect of Alirocumab Added to High-Intensity Statin Therapy on Coronary Atherosclerosis in Patients With Acute Myocardial Infarction: The PACMAN-AMI Randomized Clinical Trial. JAMA. 2022 Apr 3. doi: 10.1001/jama.2022.5218. [Epub ahead of print] Link