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Angioplastica: nuovo studio sulla doppia terapia antipiastrinica

Statine, ezetimibe e anti-PCSK9: un metodo per fornire ai pazienti con sindrome coronarica acuta una terapia ottimizzata in grado di ridurre i tassi di mortalità e morbilità

Nuovo studio pubblicato su “JACC: Cardiovascular Interventions” ha confrontato  due strategie di modulazione della doppia terapia antipiastrinica (DAPT)

Nei pazienti con sindrome coronarica acuta (ACS) è possibile ottimizzare, riducendoli, i rischi ischemici e di sanguinamento dopo angioplastica percutanea primaria (PCI) post-ischemica a seconda delle loro esigenze individuali. È quanto emerge da una meta-analisi a rete (network meta-analysis) – i cui risultati sono apparsi su “JACC: Cardiovascular Interventions” – che ha confrontato  due strategie di modulazione della doppia terapia antipiastrinica (DAPT).

Doppio confronto con il regime standard
Attraverso 29 studi randomizzati che confrontavano direttamente la de-escalation della doppia terapia antipiastrinica (DAPT) e la DAPT breve con la DAPT standard a 12 mesi, ma non una contro l’altra, la de-escalation è stata indirettamente associata a:

I risultati sono stati coerenti nell’analisi bayesiana e nelle analisi di sensibilità multipla, riferiscono gli autori, coordinati da Davide Capodanno, dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico G. Rodolico-San Marco di Catania.

I ricercatori fanno notare che tutti gli esiti ischemici erano direzionalmente a favore della de-escalation della DAPT rispetto alla DAPT breve. Questo risultato non è riuscito a raggiungere la significatività statistica, tuttavia, probabilmente a causa della potenza relativamente bassa dell’analisi.

Necessaria una revisione delle linee guida sull’ACS?
Il declassamento della componente prasugrel o ticagrelor nella DAPT a clopidogrel o a una dose più bassa (de-escalation) può quindi funzionare meglio per i pazienti a maggior rischio trombotico, mentre la DAPT breve – cioè l’interruzione dell’inibitore P2Y12 o dell’aspirina a 1-6 mesi – sembrava essere migliore per i pazienti a più alto rischio di sanguinamento.

Le linee guida europee per la sindrome coronarica acuta (ACS) attualmente assegnano – dopo PCI – una raccomandazione di classe IIa e IIb alla DAPT breve e alla de-escalation della DAPT, rispettivamente.

«I nostri risultati sfidano questa classifica, poiché la de-escalation della DAPT ha mostrato un rischio simile di morte e un rischio ridotto per NACE – due misure di beneficio netto complessivo – rispetto al alla DAPT breve» sostengono Capodanno e colleghi. «Su questa base» specificano «il nostro studio suggerisce che la classe di raccomandazione per queste due opzioni dovrebbe essere, se non altro, almeno la stessa».

Importante percorso intermedio, secondo un editoriale
Sia la DAPT breve che la de-escalation della DAPT possono essere considerate strategie praticabili alternative alla DAPT standard, concordato Dean Kereiakes, Christ Hospital Heart and Vascular Center di Cincinnati, e Robert Yeh, del Beth Israel Deaconess Medical Center e della Harvard Medical School, in un editoriale di commento.

Kereiakes e Yeh suggeriscono le strategie di de-escalation come «un importante percorso intermedio tra i regimi DAPT standard e le DAPT di durata molto breve».

«Potrebbe essere arrivato il momento di incorporare formalmente strumenti di stratificazione del rischio ischemico/emorragico nelle attuali linee guida pratiche e di elevare sia la DAPT breve che la de-escalation allo stato di Classe I per i pazienti che presentano ACS e sono trattati con stent coronarici» secondo gli editorialisti.

Pro e contro emersi dalla meta-analisi
La meta-analisi comprendeva studi randomizzati con esiti clinici riportati almeno 6 mesi dopo PCI con stent a rilascio di farmaci (n = 50.602). Questi studi sono stati suddivisi tra 19 studi di DAPT breve e 10 studi di de-escalation.

All’interno della più ampia strategia di de-escalation della DAPT, la scelta di passare il paziente a una dose dimezzata dell’inibitore P2Y12 (piuttosto che clopidogrel) è apparsa più promettente in termini di molteplici esiti clinici, hanno verificato Capodanno e colleghi. D’altra parte, il rischio di trombosi dello stent è apparso più alto dopo un breve regime DAPT con monoterapia prolungata con aspirina.

Le analisi dei sottogruppi «suggeriscono che le designazioni ‘DAPT breve’ e ‘de-escalation’ sono eccessivamente semplicistiche e che non tutte le strategie DAPT brevi o di deescalation sono uguali» secondo Kereiakes e Yeh.

«Rimane del tutto possibile che un breve regime DAPT con terapia antipiastrinica a singolo agente con aspirina estesa possa essere associato a un rischio ischemico significativo (se adeguatamente alimentato) in pazienti con rischio ischemico intermedio o maggiore» osservano gli editorialisti.

Il gruppo di Capodanno ha messo in guardia rispetto ai piccoli campioni in questi sottogruppi, in effetti, e ha riconosciuto che la dipendenza da prove indirette era un importante limite dello studio.

«In assenza di confronti randomizzati diretti, questi dati possono informare i medici sui meriti relativi di due strategie DAPT contemporanee e consentire decisioni di trattamento personalizzate sulla base degli obiettivi del trattamento e dell’equilibrio tra i rischi di trombosi e sanguinamento» concludono gli autori.

Riferimenti bibliografici:
Laudani C, Greco A, Occhipinti G, et al. Short Duration of DAPT Versus De-Escalation After Percutaneous Coronary Intervention for Acute Coronary Syndromes. JACC Cardiovasc Interv. 2022;15:268-77. doi: 10.1016/j.jcin.2021.11.028. Link

Kereiakes DJ, Yeh RW. DES and DAPT in Evolution: Will Clinical Guidelines Follow? JACC Cardiovasc Interv. 2022;15:278-81. doi: 10.1016/j.jcin.2021.12.014. Link

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