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Demenza e uso di antipertensivi: ecco qual è il rischio

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Demenza: secondo nuovi studi sviluppo favorito o meno a seconda dell’uso pregresso di differenti classi di antipertensivi

A livello di popolazione, spostare la prescrizione antipertensiva da farmaci con azione inibitoria sui recettori dell’angiotensina II di tipo 2 e 4 a regimi stimolanti su tali recettori, aderendo alle attuali raccomandazioni delle linee guida sull’ipertensione, potrebbe essere una strategia promettente per ridurre il carico di demenza, secondo uno studio pubblicato su “JAMA Network Open”.

«Questa strategia significherebbe spostare il paradigma di trattamento dagli inibitori dell’ACE [enzima di conversione dell’angiotensina] ai bloccanti del recettore dell’angiotensina II di tipo 1 e ridurre la quantità di uso inappropriato di β-bloccanti in assenza di malattia coronarica o insufficienza cardiaca con frazione di eiezione ridotta» specificano i ricercatori, guidati da Zachary Marcum, dell’Università di Washington, a Seattle.

Le evidenze e le linee guida derivate dallo studio SPRINT
Occorre premettere che la teoria secondo cui alcuni antipertensivi possono essere legati a inferiore rischio di sviluppare demenza è stata supportata da un’analisi secondaria dello studio SPRINT sull’ipertensione.

Tra i partecipanti allo studio con pressione arteriosa (BP) elevata che hanno usato solo farmaci che stimolano i recettori dell’angiotensina II di tipo 2 e 4 e quelli che hanno usato solo farmaci inibitori dei recettori, i primi tendevano ad avere un minor rischio di deterioramento cognitivo quasi 5 anni dopo:

Lo studio SPRINT ha incluso oltre 9.000 persone di età pari o superiore a 50 anni a più alto rischio di malattie cardiovascolari. I partecipanti sono stati randomizzati a una strategia di trattamento intensivo (mirata a una BP sistolica <120 mm Hg) o a una strategia di trattamento standard (mirata a una BP sistolica <140 mm Hg).

È stato sulla base di questo studio che le linee guida americane hanno iniziato a raccomandare 130/80 mm Hg come nuovo obiettivo BP per la maggior parte delle persone nel 2017.

I risultati dell’analisi attuale
Per la presente analisi, il gruppo di Marcum ha analizzato le 8.685 persone che assumevano farmaci che abbassano la BP a 6 mesi (età media 67,7 anni, 64,3% uomini). Questa coorte è stata divisa in tre sezioni:

Lo screening della demenza è stato condotto 24 e 48 mesi dopo la randomizzazione, così come la visita finale e una di follow-up prolungato. I ricercatori riportano che i risultati cognitivi erano coerenti quando incorporavano il rischio concorrente di morte ed erano indipendenti dalla BP sistolica, dai fattori di rischio cardiovascolare, dalle caratteristiche sociodemografiche e dalla funzione cognitiva di base.

Tuttavia, le analisi di controllo negative hanno suggerito la presenza di fattori confondenti non misurati.

Era già noto che, prima dell’abbinamento ponderato per punteggio di propensione, le persone in trattamento solo con antipertensivi stimolanti avessero maggiori probabilità di essere donne, pazienti non caucasici e randomizzati al trattamento intensivo così come minori probabilità di avere una storia di malattie cardiovascolari, rivascolarizzazione coronarica, fibrillazione atriale e uso di statine, rispetto agli utilizzatori di regimi inibitori.

«Sono possibili sia il sotto-aggiustamento causato da fattori confondenti non misurati che il sovra-aggiustamento causato dall’inclusione di covariate misurate dopo l’inizio del trattamento, che possono essere intermedie sul nesso causale tra trattamento ed esito» riconosce il gruppo di Marcum.

Per ora, è necessaria più ricerca, anche in persone senza BP elevata. «Uno studio clinico per testare l’ipotesi valutata nel nostro studio per la prevenzione primaria richiederebbe anni per essere completato. In alternativa, studi osservazionali in campioni più grandi, utilizzando un disegno basato su nuovi utilizzatori, con risultati cognitivi convalidati, potrebbero fornire una replica utile dei risultati» suggeriscono i ricercatori.

Sottolineano inoltre che lo studio SPRINT aveva escluso le persone con diabete, malattia renale avanzata, insufficienza cardiaca sintomatica o una storia di ictus, limitando la generalizzabilità dello studio.

Perché sono urgenti ulteriori ricerche e in quale direzione potrebbero andare
La necessità urgente di ricerca in questo settore è dettata dal fatto che la demenza è un problema di salute pubblica in costante crescita, fino ad oggi senza disponibilità di buone misure preventive.

«Per ora, non possiamo raccomandare in ambito clinico che gli antipertensivi siano prescritti per il decadimento cognitivo lieve o la demenza. Tuttavia, questo studio pone una solida base per la ricerca futura su specifici tipi di antipertensivi per la prevenzione del declino cognitivo nell’invecchiamento» secondo la specialista della memoria Zoe Arvanitakis, del Rush University Medical Center di Chicago.

«Mentre i risultati si basano su analisi secondarie da dati raccolti per un’altra linea di ricerca, i risultati secondo cui un certo gruppo di farmaci antipertensivi sono associati a un minor rischio di sviluppare deterioramento cognitivo sono molto interessanti» osserva.

Il prossimo passo, secondo Arvanitakis, può includere studi randomizzati che testano specificamente se gli antipertensivi prevengono il decadimento cognitivo lieve o la demenza.

Riferimento bibliografico:
Marcum ZA, Cohen JB, Zhang C, et al. Association of Antihypertensives That Stimulate vs Inhibit Types 2 and 4 Angiotensin II Receptors With Cognitive Impairment. JAMA Netw Open. 2022;5:e2145319. doi: 10.1001/jamanetworkopen.2021.45319. Link

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