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Alcuni antipertensivi riducono il rischio Alzheimer

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Gli antipertensivi che stimolano piuttosto che inibire i recettori dell’angiotensina II di tipo 2 e 4 possono ridurre il rischio di malattia di Alzheimer

Gli antipertensivi che stimolano piuttosto che inibire i recettori dell’angiotensina II di tipo 2 e 4 possono ridurre il tasso di demenza tra i nuovi utilizzatori di questi farmaci. È quanto suggerisce una nuova ricerca, pubblicata su “JAMA Network Open”.

In particolare, i risultati di uno studio di coorte su oltre 57.000 beneficiari anziani  Medicare hanno mostrato che l’avvio di un trattamento con antipertensivi che stimolano i recettori era legato a un rischio inferiore del 16% di incidenza di malattia di Alzheimer (AD) e demenza correlata (ADRD) e a un rischio inferiore del 18% di demenza vascolare rispetto a quelli che inibiscono i recettori.

«Raggiungere un adeguato controllo della pressione arteriosa è essenziale per massimizzare la salute del cervello, e questa promettente ricerca suggerisce che alcuni antipertensivi potrebbero produrre benefici cerebrali superiori rispetto ad altri» sostengono gli autori dello studio, guidati da Zachary A. Marcum, della University of Washington School of Pharmacy di Seattle (USA).

Al centro la stimolazione del recettori dell’angiotensina II di tipo 2 e 4
Precedenti studi osservazionali hanno dimostrato che i farmaci antipertensivi che stimolano i recettori dell’angiotensina II di tipo 2 e 4, rispetto a quelli che non svolgono tale funzione, erano associati a tassi più bassi di demenza. Tuttavia, tali studi includevano individui con prevalenza di ipertensione ed erano relativamente piccoli per numero di soggetti valutati.

Il nuovo studio di coorte retrospettivo ha incluso un campione casuale di 57.773 beneficiari di Medicare di età non inferiore a 65 anni con ipertensione di nuova insorgenza. L’età media dei partecipanti era di 73,8 anni, il 62,9% erano donne e l’86,9% erano caucasici.

Nel corso dello studio, alcuni partecipanti hanno utilizzato almeno una prescrizione per un farmaco stimolante il recettore dell’angiotensina II di tipo 2 e 4, come bloccanti del recettore dell’angiotensina II di tipo 1, calcio-antagonisti diidropiridinici e diuretici tiazidici. Altri partecipanti hanno usato una prescrizione per un inibitore dei recettori dell’angiotensina II di tipo 2 e 4, inclusi ACE-inibitori, beta-bloccanti e calcio-antagonisti non diidropiridinici.

«Tutti questi farmaci abbassano la pressione arteriosa, ma lo fanno in modi diversi» spiegano Marcum e colleghi. I ricercatori erano appunto interessati alla diversa attività di questi farmaci sui recettori dell’angiotensina II di tipo 2 e 4.

A intervalli di 30 giorni, hanno classificato i beneficiari Medicare in quattro gruppi: un gruppo di farmaci stimolanti (n = 4.879) costituito da individui che assumevano principalmente antipertensivi stimolanti; un gruppo di farmaci inibitori (n = 10.303) che includeva principalmente individui a cui era stato prescritto questo tipo di antipertensivo; un gruppo misto (n = 2179) che includeva una combinazione delle prime due classificazioni; e un gruppo di non utilizzatori (n = 40.413) composto da individui che non stavano usando nessuno dei due tipi di farmaco.

L’esito primario era il tempo alla prima comparsa di ADRD. L’esito secondario era il tempo alla prima insorgenza di demenza vascolare. I ricercatori hanno controllato i soggetti per fattori di rischio cardiovascolare e caratteristiche sociodemografiche, come età, genere, etnia e ricezione di sussidi nelle persone a basso reddito.

Esiti positivi anche in relazione alla demenza vascolare
Dopo l’effettuazione degli aggiustamenti, i risultati hanno mostrato che l’inizio di un regime farmacologico antipertensivo che stimolava esclusivamente, piuttosto che inibire, i recettori dell’angiotensina II di tipo 2 e 4 era associato a un rischio inferiore del 16% di incidenza di ADRD su un follow-up di poco meno di 7 anni ( hazard ratio [HR], 0,84; 95% CI, 0,79 – 0,90; P < 0,001).

Il regime misto è stato anche associato a probabilità ridotte in modo statisticamente significativo (P = 0,001) di ADRD rispetto ai farmaci inibitori. Per quanto riguarda la demenza vascolare, l’uso di farmaci stimolanti rispetto agli inibitori è stato associato a un rischio inferiore del 18% (HR, 0,82; IC 95%, 0,69 – 0,96; P = 0,02). Ancora una volta, l’uso del regime misto è stato associato a un ridotto rischio di demenza vascolare rispetto ai farmaci inibitori (P = 0,03).

Una varietà di potenziali meccanismi potrebbe spiegare la superiorità degli agenti stimolanti quando si tratta di rischio di demenza, affermano Marcum e coautori. Questi potrebbero includere, per esempio, un aumento del flusso sanguigno al cervello e una riduzione dell’amiloide. Occorre però ancora una valutazione delle risposte ai vari dosaggi e restano ancora molte domande senza risposta.

Possibile strategia vincente a livello di popolazione, da confermare
I risultati dell’attuale analisi arrivano sulla scia di alcuni lavori precedenti che mostrano i benefici dell’abbassamento della pressione arteriosa. Per esempio, il Systolic Blood Pressure Intervention Trial (SPRINT) ha dimostrato che il targeting di una pressione arteriosa sistolica (SBP) inferiore a 120 mm Hg riduce significativamente il rischio di malattie cardiache, ictus e morte per queste malattie.

In contrasto con la ricerca sopra citata, l’attuale studio ha incluso solo i beneficiari con incidenza di ipertensione e nuovo uso di farmaci antipertensivi, ed è stato corretto per fattori confondenti variabili nel tempo.

Prescrivere trattamenti stimolanti invece di inibitori potrebbe fare la differenza a livello di popolazione, osservano Marcum e colleghi. «Se si potesse spostare un po’ la prescrizione dall’inibizione alla stimolazione, ciò potrebbe ridurre il rischio di demenza». Tuttavia, «non si suggerisce che tutti i pazienti cambino il loro regime» aggiungono. Questo perché i farmaci inibitori hanno ancora un posto importante nell’armamentario del trattamento antipertensivo, osservano Marcum e colleghi. Per esempio, i beta-bloccanti vengono utilizzati dopo l’infarto.

Inoltre, fattori come gli effetti collaterali dovrebbero essere sempre presi in considerazione quando si prescrive un farmaco antipertensivo. I nuovi risultati potrebbero essere utilizzati per impostare un confronto in un futuro studio randomizzato controllato che potrebbe fornire la prova più forte per stimare gli effetti causali dei trattamenti, concludono Marcum e colleghi.

Bibliografia:
Marcum ZA, Gabriel N, Bress AP, Hernandez I. Association of New Use of Antihypertensives That Stimulate vs Inhibit Type 2 and 4 Angiotensin II Receptors With Dementia Among Medicare Beneficiaries. JAMA Netw Open. 2023;6:e2249370. doi: 10.1001/jamanetworkopen.2022.49370. leggi

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