Polmonite Covid: lenzilumab migliora la sopravvivenza


Polmonite da Covid: lenzilumab è in grado di migliorare in modo significativo la sopravvivenza, in assenza di necessità di ricorso alla ventilazione meccanica

coronavirus variante omicron

Il trattamento con lenzilumab sarebbe in grado di migliorare in modo significativo la sopravvivenza, in assenza di necessità di ricorso alla ventilazione meccanica. Questo il responso di LIVE-AIR, un trial pubblicato prima della fine del 2021 sulla rivista Lancet Respiratory Medicine i cui risultati, se confermati su ampia scala, suggerirebbero la possibilità di utilizzare come target terapeutico una singola citochina nelle primissime fasi di malattia, sulla base dei livelli basali di CRP.

Informazioni su lenzilumab e sugli obiettivi dello studio
Lenzilumab è un nuovo anticorpo monoclonale diretto contro GM-CSF (Fattore di crescita dei granulociti e dei macrofagi), al quale si lega con elevata specificità ed affinità. Il farmaco si è dimostrato efficace in alcuni studi clinici condotti in diverse condizioni cliniche senza mostrare eventi avversi legati alla sia somministrazione.

LIVE-AIR è uno studio clinico randomizzato e controllato vs. placebo di fase 3, condotto in doppio cieco, che ha reclutato 479 pazienti adulti Usa o brasiliani (maggio 2020-gennaio 2021) con polmonite associata a Covid-19 (età media= 61 anni; 65% pazienti di sesso maschile; mediana livelli basali CRP=79 mg/l) che non necessitavano di ricorrere a ventilazione meccanica.

Questi erano stati randomizzati a trattamento con tre dosi endovena di lenzilumab 600 mg (n=236) o placebo (n=243) somministrate a distanza di 8 ore l’una dall’altra.
Inoltre, tutti i pazienti del trial erano sottoposti a trattamento concomitante con cure di supporto standard che prevedevano l’impiego di remdesivir e corticosteroidi: nello specifico, il 94% dei pazienti era stato trattato con steroidi, il 72% con remdesivir e il 69% sia con corticosteroidi che remdesivir.

L’outcome primario dello studio era rappresentato dalla sopravvivenza a 28 giorni senza necessità di ricorrere ad intervento di ventilazione meccanica.

Risultati principali
Dall’analisi dei dati è emerso il raggiungimento dell’outcome primario nell’84% dei pazienti trattati con lenzilumab rispetto al 78% dei pazienti del gruppo placebo (HR= 1,54; IC95%= 1,02-2,32; p=0,04).

Inoltre, l’incidenza del ricorso alla ventilazione meccanica, all’ossigenazione extracorporea a membrana o all’evento letale è stata pari al 15% nel gruppo lenzilumab rispetto al 21% nel gruppo placebo (OR= 0,67; IC95%= 0,41-1,1; p=0,11).

Il numero medio di giorni liberi da intervento di ventilazione è stato pari a 8,8 giorni nel gruppo lenzilumab e a 10,5 giorni nel gruppo placebo (p= 0,077).

La durata media di degenza in Terapia Intensiva è stata, invece, di 10 giorni con l’anticorpo monoclonale rispetto a 11 giorni nel gruppo placebo (p= 0,16).

Un’analisi aggiuntiva ha mostrato che il riscontro di livelli di CRP <79 mg/dl era associato ad una maggiore probabilità di sopravvivenza senza necessità di ricorrere alla ventilazione meccanica (al basale la mediana dei livelli di CRP era pari a 79 mg/l  per tutti i pazienti – 77 mg/l nel gruppo lenzilimab e 82 mg/l nel gruppo placebo).

Passando all’analisi di safety il 27% dei pazienti in trattamento con lenzilumab ha sperimentato almeno un evento avverso (AE) di grado 3 (severità maggiore), rispetto al 33% dei pazienti del gruppo placebo.

Tra gli AE di grado 3 emersi a seguito del trattamento si segnalano quelli di natura respiratoria (25% e 28% dei pazienti dei due gruppi, rispettivamente) e quelli di natura cardiaca (6% e 5% dei casi, rispettivamente). Da ultimo, non sono stati documentati decessi legati alla loro manifestazione.

Punti di forza e limiti dello studio
Nel commentare i risultati, gli autori dello studio hanno ricordato, tra i pregi del loro lavoro – l’adeguata potenza statistica – necessaria per dimostrare l’esistenza di una differenza statisticamente significativa degli outcome clinici considerati. Inoltre, la valutazione di alcuni endpoint secondari come i giorni liberi da ventilazione meccanica, i tempi di degenza in Terapia Intensiva, l’endpoint composito rappresentato da ventilazione meccanica invasiva-ossigenazione extracorporea di membrana-evento letale e la mortalità non solo ha dimostrato l’esistenza di differenze significative tra gruppi di trattamento ma ha suffragato ulteriormente i risultati ottenuti per l’outcome primario.

Un altro punto di forza del trial indicato dai ricercatori è stato quello della somministrazione di lenzilumab in aggiunta ai trattamenti disponibili – corticosteroidi e remdesivir – nella maggior parte dei pazienti.

Il trial, inoltre, contribuisce a suffragare ulteriormente il corpo di evidenze a favore dell’esistenza di una correlazione tra le concentrazioni di CRP e la patogenesi di Covid-19 e su un suo possibile ruolo nel processo di selezione dei pazienti e dei trattamenti da utilizzare in questo contesto, da approfondire in studi ulteriori (è attualmente in corso lo studio ACTIV-5-BET-B, che include il trattamento con lenzilumab e che utilizzerà i livelli di CRP per definire la popolazione da trattare con l’anticorpo monoclonale).

Passando a descrivere i limiti del trial, invece, i ricercatori hanno ammesso che LIVE-AIR non era stato disegnato con lo scopo di mostrare un beneficio in termini di sopravvivenza. Ciò detto, la sopravvivenza senza ricorso a ventilazione meccanica invasiva, utilizzata in altri trial condotti contro altri anticorpi farmaci impiegati nella Covid-19 ospedalizzata (tocilizumab), è stata inclusa in LIVE-AIR sotto forma di endpoint composito comprendente anche la mortalità.

Un altro limite riconosciuto dello studio riguarda l’eterogeneità nella disponibilità e nell’accesso alle cure di supporto base e al remdesivir nei Paesi nei quali è stato condotto, con possibili ripercussioni sui risultati.

Quanto all’ammissione che la mancanza di pazienti in trattamento con inibitori Jak possa non essere suggestiva di quanto avvenga realmente nella pratica clinica, i ricercatori hanno sottolineato, però, come quasi il 60% dei pazienti di LIVE-AIR fosse ricoverato sotto tenda di ossigeno o sottoposto a ossigenoterapia a flusso ridotto, due condizioni nelle quali non si raccomanda l’impiego di tocilizumab o baricitinib.

In conclusione, stando ai risultati ottenuti, “LIVE-AIR suggerisce la possibilità di posizionamento di lenzilumab come opzione terapeutica da utilizzare prima dell’arrivo in Terapia Intensiva e della progressione dei pazienti a insufficienza respiratoria, necessitante di ossigenoterapia a flusso elevato o a ventilazione invasiva – scrivono i ricercatori nella discussione del lavoro”.

L’azienda responsabile dello sviluppo di lenzilumab, Humanigen, aveva già fatto domanda lo scorso anno all’ente regolatorio Usa per l’ottenimento dell’autorizzazione per l’impiego del farmaco in questione in emergenza (EUA); la Fda, tuttavia, ha declinato questa richiesta lo scorso mese di settembre sottolineando l’impossibilità di trarre indicazioni conclusive sul bilancio rischio-beneficio del farmaco come trattamento per Covid-19.

Di qui la necessità di attendere i dati provenienti dagli studi attualmente in corso, di dimensioni più ampie e basate sui livelli basali di CRP.

Bibliografia
Temesgen Z et al; LIVE-AIR Study Group. Lenzilumab in hospitalised patients with COVID-19 pneumonia (LIVE-AIR): a phase 3, randomised, placebo-controlled trial. Lancet Respir Med. Published online December 1, 2021. doi:10.1016/S2213-2600(21)00494-X
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