Lupus: benefici da supplemento di vitamina D


Lupus eritematoso sistemico: la supplementazione di vitamina D migliorerebbe sia l’attività di malattia che la fatigue secondo nuovi studi

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Uno studio recentemente pubblicato su BMC Rheumatology ha dimostrato che la supplementazione di vitamina D migliorerebbe sia l’attività di malattia che la fatigue in pazienti con deficit/insufficienza vitaminica D, affetti da lupus eritematoso sistemico. Tale risultato sarebbe da ascrivere, in parte, alla soppressione dell’espressione dei geni “firma” di interferone.

I presupposti dello studio
In aggiunta al ruolo acclarato della vitamina D nei processi legati all’omeostasi del calcio e del metaboismo osseo, l’ormone liposolubile è importante anche nella modulazione del sistema immunitario e dei processi infiammatori.

Alcuni studi hanno mostrato che una proporzione di individui adulti europei compresa tra il 34% e il 67% si connota per il riscontro di deficit vitaminico D (concentrazioni sieriche di 25(OH)D  ≤ 20 ng/mL).

Il deficit di vitamina D rappresenta una condizione di frequente riscontro nei pazienti con lupus, molto probabilmente come risultato della mancata esposizione al sole. L’interesse dei ricercatori sul ruolo della vitamina D nella patogenesi del LES è nato con la scoperta della presenza dei recettori per questa vitamina (VDR) nelle cellule del sistema immunitario innato e adattativo (cellule dendritiche, macrofagi, cellule T e B). Ancora oggi, invece, non è nota l’influenza della vitamina D sul decorso e la prognosi di questa malattia.

“Una review sistematica di letteratura – ricordano gli autori del nuovo studio nell’introduzione al lavoro – ha documentato l’esistenza di un’associazione inversa significativa tra la vitamina D e le misure di attività di malattia (punteggio SLEDAI, titoli elevati di anticorpi anti-dsDNA e livelli ridotti di proteine del complemento). Sei studi, invece, hanno guardato alla relazione esistente tra la vitamina D e la fatigue in presenza di LES (tre studi cross-sectional, uno studio prospettico e due trial clinici randomizzati. Gli studio cross-sectional non sono stati in grado di dimostrare una relazione tra i due fattori, mentre lo studio prospettico ha mostrato un miglioramento significativo della fatigue a seguito della supplementazione di vitamina D. Ciò è stato poi confermato nei due trial clinici randomizzati sopra accennati”.

L’obiettivo dello studio è stato quello di verificare l’esistenza di un possibile beneficio dell’intervento di supplementazione vitaminica D sul livello di fatigue, l’attività di malattia, la qualità del sonno, la disabilità funzionale e l’ìmpiego di steroidi in pazienti con LES con deficit/insufficienza vitaminica.

Un ulteriore obiettivo era quello dei stabilire se il potenziale beneficio dell’intervento di supplementazione vitaminica potesse essere mediato dal suo effetto sull’espressione dei geni firma dell’interferone – vale a dire quei geni che sono espressi unicamente nel sangue periferico dei pazienti con LES e che, stando ad alcune osservazioni, mostrano una correlazione positiva con l’attività di malattia. Una metanalisi ha identificato una dozzina di questi geni la cui espressione è indotta o regolata da interferone.

Disegno dello studio
I ricercatori hanno raccolto, per tutti i pazienti reclutati con LES della Clinica Reumatologica Mater Dei di Malta (dove lo studio è stato condotto), informazioni demografiche, anamnestiche, relative alla presenza di comoribiltà, al BMI, al punteggio SLEDAI-2K di attività di malattia e all’indice SDI (Systemic Lupus International Collaborating Clinics/American College of Rheumatology damage index) relativo al danno d’organo.

La condizione di deficit vitaminico era definita da livelli sierici di 25(OH)D < 20 ng/mL, mentre quella di insufficienza vitaminica da livelli di 25(OH)D compresi tra 21 e 29 ng/mL.
I pazienti eleggibili nello studio erano adulti, con diagnosi clinica di LES e con deficit/insufficienza vitaminica D.

Questi hanno completato alcuni questionari relativi alla fatigue (Fatigue Severity Scale= FSS), alla qualità del sonno (Pittsburgh Sleep Quality Index (PSQI), al dolore percepito su scala VAS, alla rilevazione di uno stato ansioso-depressivo (Hospital Anxiety and Depression Scale = HADS) e alla qualità della vita (the modified Health Assessment Questionnaire =mHAQ).

Tra i test di laboratorio previsti nel protocollo dello studio vi erano la valutazione della calcemia, dei livelli sierici di 25(OH)D, delle proteine del complemente, della conta ematica totale e della funzione renale.

I soggetti con insufficienza vitaminica D sono stati sottoposti a supplementazione con vitamina D3 8.000 UI/die per 4 settimane (2.000 UI successivamente). I soggetti con deficit vitaminico D sono stati sottoposti, invece, a supplementazione con vitamina D3 8.000 UI/die per 8 settimane (2.000 UI successivamente).

Dopo 3 mesi, sono stati controllati i livelli sierici di 25(OH)D e i livelli di calcio per accertare il reale fabbisogno vitaminico. I soggetti che non raggiungevano livelli adeguati di vitamina D  (≥ 30 ng/mL) a  3 mesi sono stati sottoposti a controllo per verificare l’aderenza e il dosaggio utilizzato di vitamina D (anche allo scopo di aumentare la posologia se necessario). Ulteriori visite di controllo sono state effettuate a 6 e a 12 mesi.

Da ultimo, sono stati condotti saggi di laboratorio per verificare l’espressione di RNA dei gene firma di interferone.

Lo studio ha reclutato 31 pazienti tra il 2016 e il 2017 (13 pazienti con deficit di vitamina D, 18 con insufficienza vitaminica). L’età media dei partecipanti allo studio era pari a 47,9 anni, con una prevalenza di donne (90,3%). I livelli di vitamina D iniziali era pari a 21,7 ng/mL.

Risultati principali
A 6 mesi, l’83,9% dei partecipanti allo studio presentava livelli sufficienti di vitamina D, il 9,7% livelli insufficienti, mentre solo il 6,5% del campione mostrava un deficit franco di vitamina D.

A 12 mesi, invece, le percentuali di pazienti in base allo stato vitaminico sono state pari, rispettivamente, al 35,5%, al 54,8% e al 9,7%. Comunque, il 64,5% dei pazienti non ha aderito correttamente al regime di supplementazione vitaminica prescritto.

L’attività di malattia, valutata in base al punteggio SLEDAI-2K, è migliorata in modo significativo a 12 mesi. Inoltre, l’impiego di prednisone e la fatigue si sono ridotti dopo un anno di supplementazione vitaminica.

Considerando i pazienti dello studio con deficit franco iniziale di vitamina D, si è osservata una riduzione significativa del punteggio SLEDAI-2K sia a 6 che a 12 mesi (p=0,03 e 0,046, rispettivamente).

A 6 mesi, l’espressione dei geni firma di interferone si è ridotta da 2,666 (SD= 1,703) a 2,225 (SD= 1,323). Non solo: alla riduzione del punteggio di espressione di questi geni si è associata una riduzione simultanea del punteggio SLEDAI-2K rispetto a quanto osservato nei pazienti che hanno sperimentato un aumento del punteggio di espressione dei geni firma di interferone (punteggio medio SLEDAI-2K= 4,67; p=0,015).

Limiti e implicazioni dello studio
Nel commentare i risultati, i ricercatori hanno ammesso alcuni limiti metodologici del loro lavoro quali, in primis, l’assenza di un gruppo placebo.

Per minimizzare l’effetto confondente dell’esposizione alla luce solare sui livelli basali di vitamina D, è stato evitato il reclutamento di pazienti durante i mesi estivi. Lo stesso criterio stagionale è stato adottato per ridurre l’effetto confondente rappresentato dalle temperature elevate sull’incremento della fatigue. Inoltre, la definizione di un periodo di supplementazione vitaminica di 12 mesi ha ridotto ulteriormente l’effetto confondente della stagionalità sulla fatigue.

“Nel complesso – concludono – lo studio suffraga il ricorso allo screening per la rilevazione di deficit vitaminico D nei pazienti con LES, dovuto sia alla mancata esposizione al sole e all’impiego di filtri solari, come pure alla presenza di insufficienza renale nei pazienti con nefrite lupica”-

“La correzione del deficit vitaminico D nei pazienti con lupus – aggiungono – induce benefici anche in termini di riduzione dell’espressione dei geni firma di interferone, con conseguente miglioramento dell’attività di malattia, come pure altri vantaggi – miglioramento della qualità del sonno e della fatigue”.
Sono naturalmente necessari, a questo punto, studi meglio dimensionati che siano in grado di confermare quanto osservato in questo lavoro.

Bibliografia
Magro R et al. Vitamin D supplementation in systemic lupus erythematosus: relationship to disease activity, fatigue and the interferon signature gene expression. BMC Rheumatol. 2021;5(1):53. Published 2021 Dec 3. doi:10.1186/s41927-021-00223-1
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