Mal di schiena al lavoro: IASP spiega come prevenirlo


Più di 1 persona su 4 riferisce un mal di schiena sul luogo di lavoro: la Task Force internazionale della IASP spiega come prevenirlo

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Il mal di schiena è un problema comune tra gli adulti che lavorano, infatti,più di 1 lavoratore su 4 riferisce un mal di schiena in corso. In alcuni casi il lavoro esaspera una situazione di lombalgia preesistente, in altri casi il mal di schiena è direttamente legato al tipo di lavoro. Sebbene la maggior parte del dolore alla schiena non sia grave dal punto di vista medico, l’esperienza del dolore può contrastare fino ad autolimitare le attività quotidiane, e il dolore alla schiena può portare a difficoltà e interruzioni dell’attività professionale. Questa scheda preparata dalla Task Force internazionale della IASP nell’anno dedicato alla lombalgia e tradotta in italiano da esperti dell’AISD (Associazione Italiana per lo studio del Dolore) riassume le evidenze sul problema del mal di schiena sul posto di lavoro. Riportiamo i punti salienti e rimandiamo al sito dell’AISD per approfondimenti e referenze bibliografiche approfondite.

Prevalenza e andamento 
Sia gli episodi acuti di mal di schiena che quelli cronici primari (> 6 mesi) sono comuni tra gli adulti in età lavorativa, sia maschi che femmine. Negli addetti alla movimentazione manuale dei materiali vi è una prevalenza del 25% di dolore alla schiena che dura più di 7 giorni, del 14% per il dolore alla schiena e che richiede cure mediche e del 10% per il dolore alla schiena che richiede un allontanamento dal lavoro. Dopo un episodio acuto di mal di schiena, la maggior parte degli individui è in grado di tornare alla normale funzionalità entro parecchie settimane, ma in circa il 10% dei casi, il mal di schiena acuto può diventare un problema più cronico, che dura più di 6 mesi. Il trattamento bio-psicosociale per il mal di schiena cronico subacuto o primario è generalmente considerato l’approccio più efficace per migliorare la funzionalità e prevenire la disabilità lavorativa a lungo termine.

Fattori di rischio sul posto di lavoro 
Le attività lavorative fisiche associate all’insorgenza del mal di schiena includono posture scomode, improvvisa impossibilità a svolgere le proprie mansioni di lavoro, affaticamento, sollevamento di carichi pesanti, lavoro all’aperto, movimenti delle mani e frequenti piegamenti e torsioni. Le richieste psicologiche che aumentano il rischio di mal di schiena sono lo scarso supporto del supervisore, il lavoro monotono stressante, il lavoro a ritmi rapidi, l’insicurezza del lavoro, lo squilibrio lavoro-famiglia e l’esposizione a una condizione di lavoro ostile. Le professioni che riportano i tassi più alti di mal di schiena includono infermieristica, trasporti, edilizia, magazzinaggio e paesaggistica.

Prevenzione primaria sul posto di lavoro 
Nei paesi a medio e alto reddito sono stati compiuti notevoli sforzi per prevenire l’insorgenza o l’esacerbazione del mal di schiena sul posto di lavoro. Questi sforzi includono la riduzione di elevato impegno fisico e posture scomode, la formazione dei lavoratori nelle pratiche di sollevamento e movimentazione dei materiali più sicure e la riprogettazione delle postazioni di lavoro e delle linee di assemblaggio. Queste misure di riduzione del rischio hanno portato ad alcuni numeri decrescenti di incidenza di mal di schiena correlato al lavoro [4], ma alcune misure di prevenzione comunemente raccomandate a livello individuale (ad esempio, l’uso di busti ortopedici non hanno mostrato benefici convincenti negli studi randomizzati. È molto importante l’attività fisica regolare.

Prevenzione secondaria 
Nella maggior parte dei paesi ad alto reddito esistono regolamenti e politiche che richiedono ai datori di lavoro di fornire una sistemazione e un supporto ragionevoli ai lavoratori con mal di schiena per prevenire disabilità lavorativa a lungo termine, disoccupazione o allontamento inutile dalla forza lavoro. Un tipico requisito fondamentale è che i datori di lavoro forniscano modifiche temporanee o permanenti al lavoro per consentire ai lavoratori di continuare a lavorare con adeguamenti per il tempo necessario fintanto che gli aspetti essenziali del lavoro possono essere ripristinati gradualmente.

Fattori psicosociali e sul luogo di lavoro associati alla disabilità lavorativa 
È stato dimostrato che alcune convinzioni e percezioni relative al dolore predicono più difficoltà sul posto di lavoro dopo l’inizio del mal di schiena. Per esempio, catastrofizzazione del dolore, paura del movimento, scarsa fiducia nel superare le sfide legate al dolore, scarse aspettative di recupero, il disagio psicologico e la percezione di una maggiore perdita funzionale. Alcuni fattori sul posto di lavoro sono anche predittivi di maggiori difficoltà. Includono le richieste di lavoro fisico, la capacità di modificare il lavoro, lo stress sul lavoro, supporto o disfunzionalità sociale sul posto di lavoro, la soddisfazione sul lavoro, l’aspettativa di riprendere il lavoro e la paura di un nuovo infortunio. Se molti di questi fattori sono presenti, allora un intervento aggiuntivo sotto forma di coordinamento di rientro al lavoro, consulenza, educazione alla gestione del dolore o esposizione graduale all’attività, può essere utile per alleviare queste preoccupazioni.

Comunicare con il proprio medico 
I pazienti dovrebbero essere preparati a condividere le informazioni con i loro medici su compiti lavorativi specifici, specialmente quelli considerati più problematici da riprendere. È stato dimostrato che la comunicazione e la guida proattive da parte di un operatore sanitario contribuiscono a facilitare il ritorno al lavoro, soprattutto quando gli operatori sanitari si rivolgono direttamente ai datori di lavoro.

Riabilitazione professionale 
Quando il mal di schiena impedisce il ritorno al lavoro normale per pochi mesi o più, è dimostrato che i programmi di riabilitazione multidisciplinare sono moderatamente efficaci per facilitare il ritorno al lavoro e migliorare la funzione fisica e sociale per il mal di schiena acuto e cronico. Questi programmi tipicamente integrano i benefici della gestione del dolore, della consulenza psicologica, della fisioterapia, dell’esercizio fisico, dell’educazione del paziente, dell’esposizione graduale all’attività e del supporto tra pari; tuttavia, la disponibilità o il finanziamento per questi programmi è limitato in molti Paesi e regioni. In alcuni casi, la riqualificazione professionale può essere necessaria per trasferire le competenze a un’occupazione meno impegnativa fisicamente, sebbene la conservazione del lavoro sia spesso l’obiettivo preferito del dipendente e del datore di lavoro.

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