Assocalzaturifici: nel settore calzaturiero indici negativi


Assocalzaturifici lancia l’allarme per il calzaturiero italiano: 174 aziende hanno già chiuso per la crisi legata alla pandemia

Nel primo trimestre 2020 il settore calzature in Italia ha subito una perdita complessiva di fatturato del -38,4%, pari a circa 1,7 miliardi di euro.

Secondo i dati di Assocalzaturifici, nel 2020 il settore ha perso circa sia il -27,1% in quantità della produzione nazionale, sia il -25,2% del fatturato complessivo.

Nello specifico, il settore ha registrato forti riduzioni a livello di interscambio commerciale con un calo attorno al -18% in volume sia per i flussi in uscita che in entrata. Anche peggio per i consumi interni con un calo del -23% degli acquisti risultato del +17% per il canale online, ma anche del crollo dello shopping che in passato era determinato dai turisti.

Nel complesso, il numero di calzaturifici attivi è sceso di 174 unità rispetto a fine 2019 e quello degli addetti di oltre 3.000, pari ad -4% per entrambi gli indici. Nella filiera pelle sono state autorizzate quasi 83 milioni di ore di cassa integrazione guadagni, dieci volte gli 8,3 milioni del 2019.

La seconda metà dell’anno, quando pareva vi fosse qualche segnale positivo nell’andamento della pandemia, non è riuscita a riportare una vera e propria ripresa, registrando solo un’attenuazione della caduta, rimasta a doppia cifra. “La seconda ondata del virus in autunno – si legge in una nota di Assocalzaturifici – ha interrotto i primi timidi segnali di risalita mentre nel trimestre conclusivo del 2020, in particolare, export e consumi, con le vendite natalizie compromesse dalle misure restrittive, sono risultati ancora largamente insoddisfacenti”.

Come spiega Siro Badon, presidente Assocalzaturifici: “La situazione è oltre la soglia critica. Abbiamo un settore che lavora sulla produzione dell’anno successivo con una marcata stagionalità ed enormi costi fissi e di manodopera. Siamo pertanto già certi di un 2021 disastroso e la verità è che senza misure forti e specifiche, purtroppo ci saranno chiusure aziendali e molti posti di lavoro a rischio appena finirà il periodo di blocco dei licenziamenti. Stimiamo siano a rischio fino a 30.000 posti di lavoro, a cui dovremo inevitabilmente sommare quelli dell’indotto e nella filiera a monte”.