La pandemia ha danneggiato i lavoratori agricoli stranieri


Un nuovo studio mostra come le condizioni critiche dei lavoratori agricoli stranieri vengano accentuate in situazioni di crisi come quella pandemica attuale

Uno studio dell'Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali del Cnr e dell'Università di Sheffield mostra come le condizioni critiche dei lavoratori agricoli stranieri vengano accentuate in situazioni di crisi come quella pandemica attuale

Ricercatori dell’Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Irpps) e dell’Università di Sheffield hanno condotto uno studio, pubblicato sulla rivista Journal of Migration and Ethnic studies, che analizza l’interazione tra vulnerabilità strutturale e sistemica durante l’attuale pandemia e le conseguenti ripercussioni sui lavoratori stranieri nel contesto agricolo, con particolare riferimento a quello della Capitanata, in Puglia.

“Nella primavera del 2020, la vulnerabilità strutturale dei lavoratori agricoli migranti ha guadagnato la scena mediatica, e in qualche misura il centro del dibattito politico, per due ragioni. La prima è che questi sono rientrati a pieno titolo tra i “lavoratori essenziali”, impegnati cioè in un settore chiave che ha garantito le forniture alimentari durante i mesi del confinamento. La seconda ragione è di natura epidemiologica. Le precarie condizioni di vita e l’organizzazione del lavoro tra i braccianti stranieri, così come la conosciamo in molte aree del Mezzogiorno ma anche in alcune del Centro-Nord, hanno reso impraticabile il distanziamento sociale e il rispetto dei dettami fondamentali in materia di sanità e igiene al fine di contenere il contagio. Le medesime condizioni di vita e di lavoro che prima del COVID-19 erano largamente tollerate, sebbene in violazione dei diritti umani e delle norme sul lavoro, sono diventati un fattore di rischio per l’intera società”, spiega il ricercatore Lucio Pisacane del Cnr-Irpps. Data l’attuale situazione di crisi, gli studiosi hanno fatto riferimento anche all’approccio sviluppato dallo United Nations Office for Disaster Risk Reduction che ha evidenziato come il rischio sia fortemente legato alle interconnessioni tra i network di sistemi complessi.

“La vulnerabilità strutturale può essere limitata a un determinato ambito del sistema, di contro la vulnerabilità sistemica ha il potenziale per creare effetti a catena su scala globale. Mentre gli effetti della vulnerabilità strutturale – come ad esempio povertà, emarginazione e discriminazione – sono evidenti, le implicazioni della vulnerabilità sistemica sono in gran parte sottostimate in tempi cosiddetti normali. Aumentare la consapevolezza è quindi difficile in periodi non interessati dalle crisi, le quali invece insistono sulle interconnessioni tra debolezze strutturali facendo emergere il rischio di fallimenti a livello sistemico”, aggiunge Pisacane.

È stata analizzata come caso studio l’area della Capitanata per la presenza storica di migranti impiegati in agricoltura che vivono in insediamenti informali in condizioni di vulnerabilità. “Il caso studio mostra come le condizioni di vulnerabilità di lunga data a livello strutturale abbiano interagito con la crisi COVID-19 producendo ulteriori problematiche per i lavoratori agricoli migranti, esponendoli al contempo alla vulnerabilità dei sistemi collegati, come ad esempio il mercato del lavoro agricolo, il sistema di migrazione e asilo, e quello dell’assistenza sanitaria”, conclude Pisacane. “In questo senso le conclusioni dell’articolo indicano come l’interazione delle vulnerabilità abbia prodotto, tra le altre, una rinnovata visibilità al fenomeno del grave sfruttamento in agricoltura favorendo una lenta e complessa presa di coscienza di una manodopera disomogenea e poco organizzata per rivendicare i propri diritti”.

La scheda

Chi: Cnr-Irpps e Università di Sheffield
Che cosa: “The interplay between structural and systemic vulnerability during the COVID-19 pandemic: migrant agricultural workers in informal settlements in Southern Italy”, https://www.tandfonline.com/doi/full/10.1080/1369183X.2020.1857230