Propulsore al plasma per i razzi spaziali del futuro


Una ricercatrice del Princeton Plasma Physics Laboratory ha proposto un nuovo tipo di propulsore al plasma che sfrutta il fenomeno della riconnessione magnetica

Propulsore al plasma per i razzi spaziali del futuro

Una ricercatrice del Princeton Plasma Physics Laboratory (Pppl) del Dipartimento dell’energia degli Stati Uniti (Doe) ha proposto un nuovo tipo di propulsore a razzo basato sull’applicazione di campi magnetici per eiettare particelle di plasma dalla parte posteriore di un razzo e spingere così il vettore nella direzione opposta, per la conservazione della quantità di moto.

Gli attuali propulsori al plasma provati nello spazio per spingere le particelle utilizzano campi elettrici, mentre il nuovo concept propone di accelerarle usando la riconnessione magnetica: un processo che si trova in tutto l’universo – inclusa la superficie del Sole – per il quale le linee del campo magnetico convergono, si separano improvvisamente e poi si uniscono di nuovo, producendo molta energia. La riconnessione avviene anche all’interno dei tokamak, dispositivi a forma toroidale (a ciambella) all’interno dei quali è possibile creare le condizioni per la fusione termonucleare controllata.

«Sto pensando a questa idea di dispositivo da un po’ di tempo», racconta Fatima Ebrahimi, la ricercatrice che lo ha inventato, autrice di un articolo pubblicato su Journal of Plasma Physics che descrive in dettaglio il concept. «L’idea mi è venuta nel 2017 mentre ero seduta su un ponte e pensavo alle somiglianze tra lo scarico di un’auto e le particelle di scarico ad alta velocità create dal National Spherical Torus Experiment (Nstx) del Pppl», il precursore dell’attuale impianto di fusione di punta del laboratorio. «Durante il suo funzionamento, questo tokamak produce bolle magnetiche chiamate plasmoidi che si muovono a circa 20 chilometri al secondo, che è molto simile a una spinta».

Gli attuali propulsori al plasma che utilizzano campi elettrici per spingere le particelle riescono a produrre solo un impulso specifico basso. Simulazioni computerizzate eseguite al Pppl e al National Energy Research Scientific Computing Center – un Doe Office of Science User Facility presso il Lawrence Berkeley National Laboratory, in California – hanno mostrato che il nuovo concept di propulsore al plasma può generare gas di scarico con velocità di centinaia di chilometri al secondo, dieci volte più veloci di quelli di altri propulsori.

Una tale propulsione potrebbe rendere i pianeti esterni alla portata degli astronauti: «I viaggi a lunga distanza richiedono mesi o anni perché l’impulso specifico dei motori a razzo di tipo chimico è molto basso, quindi il velivolo impiega tempo per mettersi al passo», spiega Ebrahimi. «Ma se realizzassimo propulsori basati sulla riconnessione magnetica, potremmo ragionevolmente completare missioni a lunga distanza in un periodo di tempo più breve».

Le differenze principali tra il concept proposto da Ebrahimi e gli altri propulsori sono tre. La prima è che una modifica della forza dei campi magnetici può aumentare o diminuire la quantità di spinta. «Utilizzando più elettromagneti e più campi magnetici, si potrebbe in effetti ruotare una manopola per regolare la velocità», dice Ebrahimi. In secondo luogo, il nuovo propulsore produce movimento espellendo sia particelle di plasma che plasmoidi, i quali aggiungono una potenza alla propulsione che nessun altro tipo di propulsore prevede. In terzo luogo, a differenza dei dispositivi attuali che si basano su campi elettrici, i campi magnetici in questo concept consentono al plasma all’interno del propulsore di essere costituito sia da atomi pesanti (come lo xeno) che da atomi leggeri. Questa flessibilità permette agli scienziati di adattare la quantità di spinta in base alle esigenze della missione.

«Il lavoro propone per la prima volta di realizzare un propulsore al plasma che sfrutti il fenomeno della riconnessione magnetica per accelerare ed espellere bolle di plasma, ottenendo quindi una spinta efficace del vettore nella direzione opposta», commenta a Media Inaf Alessandro Bemporad, fisico solare all’Inaf di Torino, esperto di riconnessione magnetica e responsabile scientifico del progetto Swelto. «Si tratta sicuramente di un’idea originale ed intrigante che potrebbe aprire nuove possibilità per i viaggi spaziali. Questo studio preliminare ne dimostra la fattibilità, con simulazioni magneto-idrodinamiche (Mhd) di tipo resistivo nel corso delle quali due plasmoidi vengono espulsi in successione. Un fenomeno del genere (ovviamente su scale del tutto diverse) viene spesso osservato sul Sole, quando da una stessa regione attiva avvengono anche più eruzioni in sequenza nell’arco anche di poche ore. La sfida principale sarà passare alla fase sperimentale di realizzazione di un prototipo funzionante, e soprattutto dimostrare che il processo può effettivamente operare per un tempo indefinito (ossia produrre continue espulsioni di bolle di plasma in modo stazionario) così da fornire progressivamente l’accelerazione richiesta».

A questo punto, aspettiamo solo di vedere come funzionerà il prototipo.

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