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Tumore al seno: ipatasertib con paclitaxel fallisce

Tumore al seno metastatico: più dell’80% delle pazienti teme anche i ritardi nella disponibilità in Italia dei trattamenti innovativi in grado di migliorare la sopravvivenza

Cancro mammario triplo negativo PIK3CA/AKT1/PTEN-mutato: risultati negativi da ipatasertib con paclitaxel in prima linea

La combinazione di ipatasertib e paclitaxel non è riuscita migliorare in modo significativo la sopravvivenza libera da progressione (PFS) rispetto al solo paclitaxel (più un placebo) in pazienti con cancro mammario triplo negativo (TNBC) localmente avanzato, non resecabile o metastatico, con presenza di mutazioni di PIK3CA e/o AKT1 e/o PTEN. Lo rivelano i dati di uno studio presentato al San Antonio Breast Cancer Symposium (SABCS).

I risultati provengono da un’analisi della coorte A dello studio di fase 3 IPATunity. A un follow-up mediano di 8,3 mesi, la PFS valutata dai ricercatori è risultata di 7,4 mesi (range: 5,6-8,5) nel braccio ipatasertib/paclitaxel rispetto a 6,1 mesi (range: 5,5-9,0) nel braccio placebo/paclitaxel (HR stratificato 1,02; IC al 95% CI 0,71-1,45; log-rank P = 0,9237), senza una differenza statisticamente significativa fra i due bracci.

Risultati diversi dagli studi precedenti sull’inibizione di AKT
«I risultati di questo studio differiscono dai risultati di entrambi gli studi randomizzati di fase 2 sull’inibizione di AKT nel TNBC avanzato, in particolare lo studio LOTUS, su ipatasertib, e lo studio PAKT, su capivasertib» ha detto nella sua presentazione Rebecca C. Dent, del National Cancer Center di Singapore.

Il TNBC – così denominato perché non esprime né i recettori per gli estrogeni, né quelli per il progesterone, né il recettore HER2 (recettore 2 per il fattore di crescita epidermico umano) – è di difficile trattamento. Rappresenta il 15-20% dei casi di cancro al seno, è diffuso fra i pazienti più giovani, è molto aggressivo e associato a frequente recidiva, con la più alta mortalità per questa malattia (25% dei decessi).

I tre geni alterati tumorigeni
PIK3CA è un gene che codifica per una parte della proteina PI3K (la subunità 110α) che ha la funzione di potenziarne l’attività. Le PI3K (fosfoinositide 3-chinasi) sono una famiglia di enzimi coinvolti in complessi meccanismi cellulari – come la crescita cellulare, la proliferazione, la differenziazione, la motilità e la sopravvivenza intracellulare – implicati, anche, nello sviluppo del cancro. Il PIK3CA è il gene mutato più comune nel carcinoma mammario.

AKT (conosciuta anche come protein-chinasi B o PKB) è una proteina citosolica che svolge un ruolo chiave nel pathway PI3KAKT. La sua attività consiste nella fosforilazione di vari substrati proteici nei residui di serina e treonina, che causa spesso la loro inattivazione. Tuttavia, l’attivazione di AKT determina l’innesco di pathway biochimici che portano al crescita cellulare e alla resistenza all’apoptosi. Ne esistono tre isoforme: AKT1, AKT2 e AKT3.

PTEN (omologo della fosfatasi e della tensina) è una proteina codificata dal gene omonimo. Le mutazioni di questo gene rappresentano un primo step nello sviluppo di molti tumori, in particolare glioblastoma e cancro ai polmoni, al seno e alla prostata.

Il pathway PIK3CA/AKT e ipatasertib
Il pathway PIK3CA/AKT gioca un ruolo importante nel metabolismo, nella proliferazione e nell’invasione cellulare e nelle risposte indotte dalla terapia, come la sovraregolazione di AKT (attivazione o guadagno di funzione). Circa il 35% di tutti i TNBC presentano alterazioni di PIK3CA/AKT1/PTEN, rendendo AKT un target di interesse.

Ipatasertib è un inibitore di AKT altamente selettivo ATP-competitivo, che è stato valutato per la prima volta nello studio di fase 2 LOTUS (sopra citato), nel quale la combinazione di ipatasertib e paclitaxel, impiegata come prima linea di trattamento, ha portato a un miglioramento della PFS rispetto a paclitaxel (più un placebo) in una popolazione non selezionata di pazienti con TNBC localmente avanzato (HR non stratificato 0,60; IC al 95% 0,37-0,98).

Il beneficio in termini di PFS è risultato ancora più evidente nei pazienti con alterazioni di PIK3CA/AKT1/PTEN (HR non stratificato 0,44; IC al 95% 0,20-0,99), il che ha fornito una base al razionale dello studio IPATunity, condotto su una popolazione di pazienti selezionata mediante biomarcatori.

Lo studio IPATunity
Lo studio IPATunity è un trial randomizzato, in doppio cieco e controllato con placebo, che ha arruolato pazienti con TNBC misurabile, portatori di un’alterazione di PIK3CA/AKT1/PTEN e non trattati in precedenza con la chemioterapia per la malattia avanzata. Se i pazienti erano stati sottoposti a una chemioterapia neoadiuvante o adiuvante, dovevano essere trascorsi almeno 12 mesi prima dell’arruolamento. Inoltre, potevano essere inclusi nel campione anche pazienti candidati alla terapia con taxani e che avevano uno stato di performance ECOG di 0 o 1.

I partecipanti sono stati assegnati secondo una proporzione 2:1 al trattamento con 80 mg/m2 di paclitaxel per via endovenosa (IV) nei giorni 1, 8 e 15 più 400 mg di ipatasertib per os una volta al giorno nei giorni da 1 a 21 di ogni ciclo di 28 giorni (168 pazienti) oppure paclitaxel IV più placebo per os (87 pazienti) secondo lo stesso schema. Il trattamento è proseguito fino alla progressione della malattia, al manifestarsi di una tossicità intollerabile o alla sospensione elettiva. Il crossover dal braccio placebo al braccio ipatasertib non era consentito.

I pazienti sono stati stratificati in base all’effettuazione o meno di una precedente chemioterapia neoadiuvante o adiuvante, alla regione geografica di provenienza (Asia-Pacifico, Europa, Nord America o resto del mondo) e allo stato delle alterazioni tumorali (mutazioni attivanti di PIK3CA/AKT1 o alterazioni di PTEN senza mutazioni attivanti di PIK3CA/AKT1).

La PFS valutata dai ricercatori era l’endpoint principale dello studio, mentre gli endpoint secondari includevano la sopravvivenza globale (OS; endpoint secondario chiave), il tasso di risposta obiettiva (ORR), la durata della risposta, il tasso di beneficio clinico (CBR), gli esiti riferiti dal paziente (PRO, patient-reported outcomes) e la sicurezza.

Le caratteristiche dei pazienti
Sul totale dei 255 pazienti arruolati, il 48% nel braccio ipatasertib aveva ricevuto in precedenza una chemioterapia rispetto al 55% nel braccio placebo e rispettivamente il 21% e il 13% aveva una malattia localmente avanzata, non resecabile.

Inoltre, la valutazione di PD-L1 mediante il test SP142 ha mostrato che il 29% dei pazienti nel braccio ipatasertib era PD-L1-positivo rispetto al 40% nel braccio placebo. Infine, in entrambi i bracci il 51% aveva mutazioni attivanti di PIK3CA/AKT1 e il restante 49% aveva alterazioni di PTEN senza mutazioni attivanti di PIK3CA/AKT1.

Nessuna differenza di PFS, neanche nei sottogruppi prespecificati
Non si è osservata alcuna differenza di PFS tra i gruppi di trattamento in generale, né nei sottogruppi prespecificati, a eccezione dei 28 pazienti con tumori PD-L1-positivi, in cui si è osservato un beneficio dall’aggiunta di ipatasertib.

Inoltre, l’ORR valutato dallo sperimentatore è risultato del 39% (IC al 95% 31%-47%) nel braccio ipatasertib rispetto al 35% nel braccio placebo (IC al 95% 25%-46%), mentre il CBR è risultato rispettivamente del 47% (IC al 95% 39%-55%) e 45% (IC al 95% 35%-56%).

I risultati di OS, invece, erano ancora immaturi (decessi nel 20% dei pazienti) al momento dell’analisi.

«L’intensità della dose, la durata del trattamento e i tassi di interruzione sembrano simili tra i due bracci. In particolare, non è stata osservata alcuna differenza in termini di effetti avversi gravi tra i due gruppi» ha detto Dent.

Assenza di nuovi eventi avversi
Non sono stati segnalati nuovi eventi avversi.

Tra gli eventi avversi non gravi, nei pazienti nel braccio ipatasertib è stato osservato un tasso di diarrea più che doppio rispetto al braccio placebo. In particolare, gli eventi avversi più comuni (di qualsiasi grado) sono stati diarrea (80% con ipatasertib contro 31% con placebo), alopecia (46% contro 44%) e nausea (36% contro 23%).

In conclusione
«A differenza di quanto osservato nello studio LOTUS, l’IPATunity non ha mostrato alcun miglioramento della PFS con l’aggiunta di ipatasertib a paclitaxel in prima linea nei pazienti con TNBC e alterazioni di PIK3CA/AKT1/PTEN» ha concluso Dent, aggiungendo che sono comunque in corso ulteriori analisi della coorte A dello studio IPATunity riguardanti i potenziali biomarcatori di risposta a ipatasertib e il follow-up sull’OS.

R. Dent, et al. Double-blind placebo-controlled randomized phase III trial evaluating first-line ipatasertib combined with paclitaxel for PIK3CA/AKT1/PTEN-altered locally advanced unresectable or metastatic triple-negative breast cancer: primary results from IPATunity130 cohort A. SABCS 2020; abstract GS3-04.
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