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Rischio chetoacidosi diabetica con SGLT2 inibitori

Negli Stati Uniti aumenta l'uso degli SGLT2 inibitori nei pazienti diabetici con malattia renale diabetica secondo una nuova analisi

Chetoacidosi diabetica: nella real life rischio più elevato con gli inibitori del cotrasportatore sodio-glucosio di tipo 2 (SGLT2) secondo un nuovo studio

Gli inibitori del cotrasportatore sodio-glucosio di tipo 2 (SGLT2), che vengono utilizzati per il trattamento del diabete di tipo 2 e che di recente hanno dimostrato di essere efficaci anche nella prevenzione delle malattie cardiovascolari e renali, persino nei non diabetici sono associati a un rischio quasi triplicato di chetoacidosi diabetica rispetto agli inibitori della dipeptidil peptidasi-4 (DPP-4). Sono i risultati di uno studio canadese pubblicato sulla rivista Annals of Internal Medicine.

«Con oltre 350mila pazienti e più di 500 eventi di chetoacidosi diabetica (DKA), i risultati del nostro studio confermano le preoccupazioni su questo effetto negativo degli SGLT2 inibitori, che hanno un rischio relativo quasi tre volte più elevato» ha dichiarato il primo autore dello studio Antonios Douros della McGill University e del Centre for Clinical Epidemiology, Lady Davis Institute, Montreal, Quebec, Canada.

«Con una differenza di 1,2 per 1.000 anni/persona, l’aumento del rischio assoluto a livello del singolo paziente è comunque relativamente basso. Tuttavia il diabete di tipo 2 ha una prevalenza di circa il 10% e gli SGLT2 inibitori sono sempre più utilizzati» ha aggiunto. «Di conseguenza il rischio di DKA a livello di popolazione non è trascurabile. Detto questo, è importante valutare questo rischio rispetto ai benefici cardiovascolari e renali dimostrati per queste molecole».

Rischio assoluto ridotto
Secondo il parere di Simeon Taylor, professore di medicina presso l’Università del Maryland, Baltimora, in generale lo studio conferma quanto già pubblicato sull’argomento. «Nel complesso, il rischio nel diabete di tipo 2 di chetoacidosi indotta dagli SGLT2 inibitori è piuttosto ridotto, forse dell’ordine di un episodio ogni 1000 anni/paziente» ha osservato. «Tuttavia le evidenze suggeriscono che il rischio aumenta se i pazienti non possono mangiare, come avviene a volte durante il ricovero in ospedale. In questo contesto sarebbe prudente sospendere questo tipo di terapia, come anche evitare di prescrivere questi farmaci ai pazienti con una storia di DKA».

Taylor ha anche consigliato di usare cautela nella prescrizione di questi farmaci ai pazienti con diabete di tipo 2 insulino-dipendente, dato che alcuni soggetti in fase avanzata di malattia possono presentare una grave carenza di insulina, con una fisiologia simile a quella di un paziente con diabete di tipo 1.

Effetto di classe, ma canagliflozin più predisponente
Lo studio di coorte basato sulla popolazione ha utilizzato i record dei database elettronici di assistenza sanitaria provenienti da sette province canadesi e dal Regno Unito, tra cui quasi 210mila nuovi utenti di SGLT2 inibitori abbinati ad altrettanti utilizzatori di DPP-4 inibitori tramite punteggi di propensione. In quanti assumevano un SGLT2 inibitore, il 42,3% era trattato con canagliflozin, il 30,7% con dapagliflozin il 27,0% con empagliflozin.

Nel corso di un follow-up medio di 0,9 anni sono stati 521 i pazienti ricoverati in ospedale con DKA, pari a un tasso di incidenza complessivo di 1,41 per 1000 anni/persona. Con gli SGLT2 inibitori l’incidenza è stata di 2,03 per 1000 anni/persona, quasi tre volte quella osservata con gli inibitori DPP-4, ossia 0,75 per 1000 anni/persona, una differenza significativa ( hazard ratio 2,85).
In termini di singola molecola, i rapporti di rischio rispetto ai DPP-4 inibitori erano 1,86 per dapagliflozin, 2,52 per empagliflozin e 3,58 per canagliflozin, tutti statisticamente significativi.

«È difficile sapere se ci sono differenze reali e riproducibili nei rischi di DKA tra i vari SGLT2 inibitori. Le differenze non sono enormi e le popolazioni non sono ben abbinate» ha commentato Taylor. «Dal momento che canagliflozin causa una maggiore glucosuria, è ragionevole che possa indurre anche più chetosi e chetoacidosi».

«I nostri risultati forniscono solide evidenze sull’associazione degli SGLT2 inibitori con un rischio superiore di DKA. Questo vale per tutte le molecole testate, con canagliflozin in lieve vantaggio sulle altre» hanno fatto presente gli autori. «Dato che gli effetti benefici di questa classe di farmaci nella prevenzione delle malattie cardiovascolari e renali probabilmente ne aumenteranno l’uso nei prossimi anni, è bene che i medici siano consapevoli di questo potenziale effetto collaterale».

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