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Diabete: inibitori SGLT2 aiutano contro malattia renale

Negli Stati Uniti aumenta l'uso degli SGLT2 inibitori nei pazienti diabetici con malattia renale diabetica secondo una nuova analisi

Gli inibitori SGLT2 possono prevenire la malattia renale diabetica nei pazienti con diabete di tipo 2 secondo uno studio svedese pubblicato sul British Medical Journal

Nei pazienti con diabete di tipo 2, l’uso degli inibitori del cotrasportatore sodio-glucosio di tipo 2 (SGLT2) possono ridurre il rischio di eventi renali gravi nella pratica clinica di routine. Sono i risultati di uno studio svedese sul mondo reale appena pubblicato sul British Medical Journal.

I partecipanti, ai quali era stato recentemente prescritto un inibitore SGLT2 anziché un inibitore della dipeptidil peptidasi-4 (DPP-4), avevano il 58% in meno di probabilità di avere un grave evento renale nei successivi 1,7 anni.

«Questo studio completa i dati emersi dagli studi clinici, supportando ulteriormente l’uso degli inibitori SGLT2 in una vasta gamma di pazienti con diabete di tipo 2» hanno scritto il primo autore Björn Pasternak e colleghi del Karolinska Institute di Stoccolma, in Svezia.

«Nel complesso questi risultati si aggiungono all’impressionante mole di dati relativi agli inibitori SGLT2» ha commentato in un editoriale di accompagnamento Steven Smith, dell’Università della Florida. «Anche se questi farmaci si sono dimostrati particolarmente utili nelle persone con malattie cardiovascolari o malattie renali croniche, è forse più degno di nota il fatto che siano associati a un minor rischio di sviluppo e di progressione della malattia renale diabetica in pazienti senza evidenze di queste comorbidità, che sono stati in gran parte esclusi dagli studi clinici».

SGLT2 inibitori hanno effetti benefici sugli esiti renali
Il diabete di tipo 2 è una delle principali cause di insufficienza renale, ma in diversi studi gli inibitori SGLT2 hanno mostrato un effetto benefico sugli esiti renali. Nel trial CREDENCE, canagliflozin si è dimostrato superiore al placebo nei pazienti con diabete di tipo 2 e malattia renale cronica (CKD, chronic kidney disease).

Il farmaco ha successivamente ricevuto dalla Fda (settembre 2019) l’approvazione per ulteriori indicazioni sulla riduzione del rischio di malattia renale allo stadio terminale e sul peggioramento della funzionalità renale. Altri SGLT2 inibitori sono attualmente in studio per gli outcome renali, come dapagliflozin nei pazienti con CKD nel trial DAPA-CKD, interrotto di recente per via della schiacciante efficacia del farmaco.

Ma questi studi «hanno lasciato senza risposta importanti domande di medici e pazienti» ha osservato Smith. «Tutti erano controllati con placebo e avevano partecipanti altamente selezionati, rendendo i risultati difficili da tradurre per l’uso nel mondo reale».

Importante l’utilizzo nel mondo reale
Per valutare questo aspetto, il team guidato da Pasternak ha identificato 38.273 nuovi utilizzatori di SGLT2 inibitori e 107.854 nuovi utilizzatori di DPP-4 inibitori all’interno dei registri nazionali svedese, danese e norvegese dal 2013 al 2018, abbinando quasi 30mila nuovi utenti di inibitori SGLT2 con altrettanti nuovi utenti di inibitori DPP-4.

Nel gruppo SGLT2, circa due terzi dei pazienti avevano ricevuto dapagliflozin (66,1%), un terzo empagliflozin (32,6%) e una piccola percentuale (1,3%) canagliflozin, per una media di 1,4 anni.
Nel gruppo DPP-4, quasi i due terzi dei pazienti avevano ricevuto sitagliptin (64,8%), seguito da vildagliptin (20,0%), linagliptin (10,2%), saxagliptin (2,8%) e alogliptin (2,2%), per una media di 2,0 anni.

La coorte comprendeva il 31% dei pazienti dalla Svezia, il 48% dalla Danimarca e il 21% dalla Norvegia. I soggetti interessati avevano un’età media di 61 anni e il 39% erano donne. Circa uno su cinque (19%) aveva una storia di grave malattia cardiovascolare e solo il 3,3% aveva una storia di malattia renale cronica. La maggior parte (82%) era in trattamento con metformina, il 26% assumeva insulina e l’8% non era in terapia con un farmaco antidiabetico.

L’outcome primario riguardava eventi renali gravi, sotto forma di un dato composito di terapia sostitutiva renale (dialisi o trapianto renale), morte per cause renali e ricovero ospedaliero per eventi renali.

Meno eventi renali gravi con gli SGLT2 inibitori
L’esito primario composito si è verificato in 2,6/1000 anni-persona nel gruppo SGLT2 rispetto a 6,2/1000 anni-persona nel gruppo DPP-4, pari a un rapporto di rischio (HR) di 0,42.

Scomponendo il risultato nelle singole componenti, gli outcome secondari, i pazienti nel gruppo SGLT2 avevano meno probabilità di necessitare di dialisi o trapianto renale (HR 0,32) o di ricovero ospedaliero per malattia renale (HR 0,41), senza però una probabilità significativamente inferiore di morire per cause renali (HR 0,77).

I risultati sono stati simili negli uomini e nelle donne come anche nei pazienti più giovani e più anziani (35-64 e 65-84 anni), indipendentemente dal paese di riferimento o dall’impiego di empagliflozin o dapagliflozin.

Quando i dati sono stati adeguati per il livello di emoglobina glicata e per la velocità di filtrazione glomerulare stimata (nei pazienti svedesi e danesi), oltre che per pressione sanguigna, indice di massa corporea e abitudine al fumo (nei pazienti svedesi), i rapporti di rischio per l’outcome primario aumentavano da 0,41 a 0,50 negli svedesi e da 0,42 a 0,55 in quelli danesi, a indicare alcuni effetti confondenti di queste variabili.

«Ulteriori studi comparativi di efficacia nel contesto del mondo reale su popolazioni diverse potrebbero supportare ulteriormente un accesso più ampio a questa classe di farmaci, anche nei paesi a basso reddito, dove il carico di malattie renali è sproporzionatamente elevato» ha concluso Smith.

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