Cherofobia: come gestire la paura della felicità


Esiste la paura di essere felici? Conosciuta anche come cherofobia, questa forma di ansia nasce dalla paura che la serenità possa in qualche modo essere vulnerabile

Esiste la paura di essere felici? Conosciuta anche come cherofobia, questa forma di ansia nasce dalla paura che la serenità possa in qualche modo essere vulnerabile

Esiste la paura di essere felici? Si può superare? La paura di essere felici si trasmette e può essere considerata contagiosa? Esiste un lato positivo nella paura di essere felici?

Conosciuta anche come Cherofobia, questa forma di ansia nasce dalla paura che la serenità possa in qualche modo essere vulnerabile. La dott.sa Rossella Valdré di Guidapsicologi.it racconta quali sono le origini della paura di essere felici e in che modo è possibile imparare ad arginarla, gestirla e superarla.

Perché abbiamo paura di essere felici?

«Esiste un paradosso nell’essere umano, che non si trova in nessun altro animale: la paura del benessere, del piacere, come si dice oggi con un termine più in voga della “felicità”.

Come mai accade questo, se è vero, come la psicoanalisi ci ha insegnato, che l’organismo è retto dal principio di piacere? Freud scoprì nel 1916 un tipo di personalità che chiamò “Coloro che soccombono al successo”: tutte quelle persone che sembrano avviate al fallimento, che ripetono relazioni o amicizie frustranti, che iniziano cose che già sanno non porteranno a termine… e via dicendo. Tutti noi ne conosciamo, e forse tutti noi qualche volta siamo stati tentati di scegliere la via dell’insuccesso. Freud diede la spiegazione, tuttora valida, che in questi casi la persona soccombe per il senso di colpa inconscio.

Badiamo bene, inconscio. Non ce ne rendiamo conto, ma è come se la nostra felicità e successo in qualcosa ci facesse sentire un insopportabile senso di colpa ad esempio verso i genitori, fratelli, paura di superarli, in fantasia, quindi, di ucciderli. Clinicamente è un assetto personologico che si trova frequentemente ed è difficile da trattare.»

Si può superare questa paura?

«L’unico modo è diventarne consapevoli, attraverso un percorso di conoscenza, psicoanalisi o psicoterapia. Occorre andare a fondo e scoprire le ragioni recondite, di cui sopra ne ho menzionato una tra le più note e importanti, ma possono essercene altre.

Ad esempio è frequente negli adolescenti ma non solo, la paura che se si ottiene un successo (ad esempio laurearsi, iniziare una relazione) dopo occorre assumersene la responsabilità. In questi casi non è tanto in gioco il senso di colpa inconscio quando la fuga dalla responsabilità.»

Esistono persone predisposte alla paura di essere felici?

I tipi menzionati sopra, persone gravate da un senso di colpa inconscio, spesso i depressi, anche in forme non gravi di depressione, o personalità narcisistiche e immature che, appunto, rifuggendo la responsabilità paradossalmente sfuggono anche al benessere.»

Di solito che tipo di soggetti tendono a soffrire di questa paura?

«Non esiste un tipo specifico. Nella mia pratica clinica ho visto il problema come trasversale ad uomini, donne, ricchi, poveri, giovani e no. Direi che è una problematica profonda, che si annida nel profondo dell’essere umano che nasce, ce lo dice anche la religione, colpevole “di facto”.

Siamo molto portati a sentirci in colpa, soprattutto le personalità depressive, o a non sentirci all’altezza, in questo caso le personalità narcisistiche.»

La paura di essere felici può considerarsi un ostacolo alla felicità?

«Certamente. Se è episodica,e la persona, con aiuto terapeutico o meno, ne individua le cause e la risolve, può affrontarla. Diversamente, se si radica nell’inconscio, diventa un “carattere”, come ha scoperto Freud, un modo di essere, e ora un serio impedimento alla serenità, termine che preferisco a quello di felicità. Perché la felicità è data da attimi, momenti, mentre la pace e la serenità possono essere stati d’animo duraturi.»

La paura di essere felici si trasmette e può considerarsi contagiosa?

«Contagiosa non certo in senso genetico ma sul piano psichico, poiché il bambino si identifica con i genitori, se un genitore soffre delle situazioni patologiche che abbiamo detto, il bambino può inconsciamente identificarsi e, in seguito, ripeterle lui stesso senza rendersene conto. Quindi direi di sì, all’interno di certe costellazioni familiari questo è possibile.»

Esiste un lato positivo della paura di essere felice? Ad esempio non farsi false illusioni, mantenere un atteggiamento razionale.

«Se vogliamo, vista da quest’ottica, sì. Non la chiamerei allora paura della felicità, ma un sano evitamento della maniacalità. Con questo termine si intende uno stato d’animo opposto alla depressione, dove si sente che tutto è possibile, ed è in realtà molto patologico. Quindi entro certi limiti, non lasciarsi troppo andare a facili illusioni, non sentirsi onnipotenti, ci aiuta a vivere nella realtà.»

Gli esperti di Guidapsicologi hanno stilato una lista di suggerimenti per affrontare la paura di essere felici.

  1. Scrivere un diario personale: dove annotare ogni giorno come ci si sente, in che occasioni abbiamo provato paura e cosa invece ci fa stare bene. È importante essere costanti e rileggerlo. In questo modo si possono individuare i comportamenti e le abitudini distruttive e lavorare per eliminarle o trasformarle.

  2. Frequentare persone positive: meglio evitare persone tossiche o negative. Per coltivare la felicità bisogna circondarsi di persone che permettono di mantenere scambi interessanti e con cui sentirsi bene.

  3. Fare cose che ci fanno stare bene, senza uno scopo preciso: a volte basta fare delle cose fini a se stesse, per esempio uscire con gli amici, andare a ballare, fare sport, farsi un regalo. Rompere la routine e vivere appieno il momento e le proprie emozioni ci permette di credere nella felicità e di godere della bellezza dei singoli istanti della vita. Questo consiglio è molto utile per le persone che pensano troppo e che si fanno prendere dall’ansia prima che le cose succedano.

  4. Parlare delle proprie emozioni: comunicare ciò che si sente, imparando a descrivere i propri stati è utile sia in termini di confronto con l’altro che per una maggiore chiarezza e quindi conoscenza di noi stessi.

  5. Fare yoga o qualsiasi attività meditativa: aiuta a imparare a respirare, ossigenare la mente e calmare il corpo. Una corretta respirazione è fondamentale per mantenere uno stato di tranquillità e consapevolezza.