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Degenerazione maculare: arrivano cellule della retina universali

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Cellule della retina universali per la degenerazione maculare senile: un gruppo di ricercatori svedesi ha messo a punto un nuovo protocollo di selezione cellulare e utilizzato CRISPR per renderle invisibili al sistema immunitario

Passi avanti verso la messa a punto di cellule della retina universali per il trattamento della cecità negli anziani. A perfezionare la metodica è stato un gruppo di ricercatori del Karolinska Institutet e del St. Erik Eye Hospital in Svezia, che lo scorso 30 marzo hanno pubblicato su Nature Communications un sistema per affinare la produzione delle cellule epiteliali funzionali del pigmento retinico (RPE) a partire da cellule staminali pluripotenti umane (hPSC). A seguire, lo scorso 14 aprile, i ricercatori hanno reso noto su Stem Cell Reports, un sistema per modificare le stesse cellule della retina con la tecnica di editing genomico CRISPR-Cas9, in modo da renderle “invisibili” al sistema immunitario del ricevente. Evitando così il rigetto, uno dei principali problemi in casi di trapianto di cellule da donatore.

La forma più comune di degenerazione maculare
La degenerazione maculare senile (DMS) è la principale causa di perdita di vista nelle persone con più di 60 anni, con 500.000 nuovi casi ogni anno nei Paesi occidentali. Si presenta in due forme: quella umida o essudativa e quella secca o atrofica. La forma di DMS secca è la più comune ed è dovuta a un assottigliamento progressivo della retina centrale, che risulta scarsamente nutrita dai capillari e si atrofizza. La perdita della vista è causata dalla morte dei fotorecettori (i bastoncelli e i coni) dovuta alla degenerazione e morte del pigmento retinico sottostante, che fornisce ad essi un nutrimento vitale. Motivo per cui il trapianto subretinale di nuove cellule epiteliali funzionali del pigmento retinico (RPE), differenziate a partire da cellule staminali pluripotenti umane (hPSC), potrebbe fornire una fonte potenzialmente illimitata per la terapia riparativa a base cellulare della degenerazione maculare legata all’età e rappresentare un futuro prossimo trattamento.

Nuovi protocolli
La prima novità messa a punto dai ricercatori svedesi a riguardo di questa tecnica è un nuovo protocollo di sviluppo, recentemente pubblicato su Nature Communications. Sebbene, infatti, ne esistano diversi per ottenere cellule RPE da una fonte di staminali pluripotenti, la maggior parte di essi si basa ancora sulla selezione manuale delle cellule pigmentate per raggiungere una purezza più elevata. L’isolamento delle cellule idonee automatizzato è difficile, così come una quantificazione accurata. Per risolvere il problema, i ricercatori del Karolinska Institutet e dell’ospedale oculistico St Erik, si sono impegnati a identificare marcatori anticorpali specifici sulla superficie delle cellule RPE che sembrano permettere sia l’isolamento delle cellule retiniche hPSC-RPE in modo automatizzato, sia un’analisi quantitativa della loro purezza, confermando l’assenza di tipi cellulari indesiderati che potrebbe emergere durante il processo di differenziazione. Questi marcatori di superficie cellulare, potrebbero dunque essere utilizzati come test di controllo quali-quantitativo.

Verso un primo studio clinico
“La scoperta ci ha permesso di sviluppare un protocollo solido che garantisce che la differenziazione delle cellule staminali embrionali in cellule RPE sia efficace e che non vi siano contaminazioni di altri tipi di cellule”, ha affermato Fredrik Lanner, coordinatore dello studio e ricercatore presso il Department of Clinical Science, Intervention and Technology and the Ming Wai Lau Center for Reparative Medicine presso Karolinska Institutet. “Sfruttando questi marcatori, abbiamo stabilito una metodologia di differenziazione robusta e diretta, che faciliterà la produzione su larga scala di cellule hPSC-RPE. Ora abbiamo iniziato la produzione di cellule RPE in conformità con il nostro nuovo protocollo per il primo studio clinico – ha concluso il ricercatore –che è previsto per i prossimi anni”.

Cellule universali
Una strategia terapeutica per la DMS secca basata sulla terapia cellulare è in realtà già in fase di studio clinico, ma si basa sull’utilizzo di cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC) che sono ottenute dal paziente stesso. Diverso è il caso di cellule staminali pluripotenti derivate da donatore – oggetto dello studio dei ricercatori svedesi – in cui il rischio principale è quello del rigetto, che si verifica se gli antigeni delle cellule del donatore e del ricevente differiscono. Proprio su questo punto cruciale, sono diversi i gruppi di ricerca attivi in tutto il mondo che hanno l’obiettivo di creare “cellule universali”, che senza innescare una risposta immunitaria, possano essere utilizzate per più persone. Andando al di là della terapia personalizzata e agevolando la sostenibilità economica e di conseguenza l’accessibilità per i pazienti.

Diventare invisibili
Per superare questo ostacolo, il gruppo del Karolinska Institutet ha creato cellule staminali embrionali in grado di “nascondersi” dal sistema immunitario. Per farlo hanno utilizzato il sistema di editing genomico CRISPR-Cas9, che ha consentito loro di rimuovere gli antigeni leucocitari umani I o II (HLA-I o HLA-II) o entrambi. Si tratta di un complesso di molecole glicoproteiche presenti sulla superficie di leucociti e altre cellule, che rappresentano una sorta di impronta digitale di ogni individuo, perché specifico per ognuno. Sono responsabili della compatibilità tissutale, cioè della accettazione di tessuti e organi provenienti da un altro individuo, motivo per cui in caso di trapianto si cerca un donatore con HLA il più simile possibile al ricevente. Le stesse molecole sono espresse sulla superficie delle cellule staminali, e servono appunto al sistema immunitario per riconoscerle come endogene o meno.

Un passo importante
I ricercatori svedesi hanno quindi privato le cellule staminali degli HLA e poi le hanno differenziate in cellule RPE. Dai risultati pubblicati su Stem Cell Reports è emerso che le cellule RPE modificate mantengono il loro carattere, non mostrano mutazioni dannose e sembrano evitare l’attivazione delle cellule T del sistema immunitario senza attivare altre cellule immunitarie. “In conclusione – scrivono gli autori del lavoro – abbiamo sviluppato linee cellulari prive di antigeni HLA-I e -II, che evocano una riduzione delle risposte delle cellule T in vitro e una riduzione del rigetto in un modello animale, rispetto al trapianto di normali cellule RPE”. “La ricerca è ancora in una fase iniziale, ma questo lavoro è un importante passo verso la creazione di cellule RPE universali per il futuro trattamento della degenerazione maculare legata all’età”, ha concluso Anders Kvanta, ultimo autore congiunto dello studio e professore presso il Department of Clinical Neuroscience e consulente all’ospedale st Erik Eye.

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