Stress da quarantena amplifica i disturbi alimentari


Emergenza Coronavirus, il professor Umberto Nizzoli (Sisdca) lancia l’allarme: “Lo stress prolungato amplifica i disturbi alimentari”

Disturbi alimentari, la Sip avverte: “È necessaria una diagnosi precoce da parte del pediatra”. Gli esperti aiutano online i giovani pazienti in isolamento

Mentre piu’ della meta’ degli italiani in tempo di Coronavirus si diletta tra i fornelli e sperimenta pizze e piatti della tradizione italiana c’e’ una fetta della popolazione che di questi tempi vive con maggiore sofferenza il rapporto con il cibo e con il proprio corpo. E la tavola e lo stare in famiglia da momento di convivialita’ si trasformano in un incubo in cui ci si sente sorvegliati speciali h24. Stiamo parlando delle persone che soffrono dei disturbi dell’alimentazione. Per capire meglio l’entita’ del problema, di cosa vorra’ dire anche per gli operatori tornare a lavorare nella fase 2 dell’emergenza e quante risorse dovrebbero essere stanziate per questo tipo di patologia, ‘la cenerentola del Ssn’, l’agenzia di stampa Dire (www.dire.it) ha intervistato il Professor Umberto Nizzoli, Presidente della Societa’ Italiana per lo Studio dei Disturbi del Comportamento Alimentare (Sisdca).

– Le persone affette da disturbi dell’alimentazione hanno un piu’ alto rischio di peggioramento o ricadute durante questo periodo di emergenza? 

‘Certamente si poiche’ quello che stiamo vivendo e’ uno stato di stress prolungato e questo spiega l’incertezza rispetto al virus e ai suoi sviluppi e la possibilita’ di intercettarlo e contrastarlo. Si vive una situazione simile ad un trauma che lascia esiti anche nei processi neurobiologici che possono essere anche simili a quelli di un grande trauma a cui le persone reagiscono in modo differente. Per questo potremo osservare che alcune persone possono essere piu’ vulnerabili e altre meno. Questo e’ l’esito alla base dei tanti enigmi del funzionamento dell’essere umano. Partiamo dalla certezza pero’ che uno stress prolungato porta ad una serie di conseguenze psiconeurobiologiche che per alcuni, sulla base di esperienze precedenti, diventa un’opportunita’ per divenire piu’ autocontrollati e piu’ sicuri di se’. Rispetto alla popolazione di cui stiamo parlando avremmo allora un esito multiplo. Avremo percio’ un gruppo di persone con patologia ridotta che troveranno il modo per ridimensionare la sintomatologia e miglioreranno o addirittura guariranno, altri invece registreranno un aggravamento complessivo del quadro clinico. Insomma se avessimo la possibilita’ di osservare 100 persone con disturbi dell’alimentazione sicuramente potremmo constatare che nel breve e medio periodo 6 o 7 persone come stima approssimata troveranno le ragioni per ridurre l’intensita’ dei sintomi e alcuni addirittura per guarire. Dall’altra parte ci sara’ un 30-40% orientativamente che potrebbero peggiorare. Complessivamente vi e’ un sostanziale aggravamento del quadro personale.E poi va anche considerato che uno stress prolungato puo’ essere il fattore per dare vita ex novo ad un disturbo dell’alimentazione. Dunque il fenomeno disturbi dell’alimentazione e del peso in questo periodo di pandemia dovuto all’isolamento puo’ globalmente aumentare. Bisognerebbe pero’ fare il confronto tra questo gruppo di popolazione e altri gruppi di popolazione affetti da disturbi dell’area depressiva che allo stesso modo avrebbero delle ricadute maggiori in questo momento storico e potremmo allora constatare se i pazienti con disturbi alimentazioni si aggravano di piu’ degli altri in queste condizioni di isolamento forzato. Sono condizioni che generalmente comportano un danno alla salute psicofisica’.

– La limitata possibilita’ di allenarsi ma anche la prolungata vicinanza con i familiari per molte ore al giorno in casa possono essere un problema in piu’ per queste persone? 

‘E’ una condizione di esposizione pesantissima. I disturbi dell’alimentazione sono vari. La precarieta’, il disgusto e la vergogna sono sentimenti cosi’ diffusi che una pressione e una osservazione continua li amplifica. Si pensi a chi soffre di bulimia. Di solito e’ una persona che si e’ costruita delle tattiche che le consentono di uscire ma anche di eliminare o vomitare in modo protetto, discreto. Questa convivenza 24h su 24 con il gruppo familiare puo’ destabilizzare le abitudini creandogli grossa sofferenza. O se pensiamo anche a coloro che sono abituate a vivere con delle fobie sul cibo e/o su certi alimenti, se e’ selettivo restrittivo: condividere la tavola sempre lo porta a stress e frustrazione aggiuntive. Per altri condividere a tavola puo’ essere un rito piacevole,non lo e’ per le persone affette da disturbi dell’alimentazione che all’opposto degli altri vivono lo sguardo dei familiari come persecutorio. Cosi’ come i processi di stigmatizzazione interna sono destinati a crescere. C’e’ grossa sofferenza insomma. Una serie di mie pazienti bulimiche o con condotte di binge eating che vivono da sole hanno trovato il modo di compensare la patologia e la loro vita relazionale o professionale; ora essere bloccate in casa e non poter uscire astrarsi da questa condizione di prigionia e’ una condizione di sofferenza inimmaginabile. Anche le attivita’ sportive mirate ad essere piu’ resilienti per queste persone con condotte restistrittive, di area anoressica soprattutto, che arrivano a dedicare tra palestra e sauna tre o quattro ore al giorno venendo a mancare l’opportunita’ generano maggiore rabbia e frustrazione in loro. Si potrebbe dire, era una condotta eccessiva ed ora viene regolata; ma la regolazione per imposizione suscita rabbia e incrementa il desiderio di evadere’.

– Come e’ stato possibile mantenere in essere per persone che sono in analisi le sedute in questo periodo o anche i ricoveri. E poi anche pensando alla ‘fase 2′ che imporra’ appuntamenti piu’ diluiti come ci si dovra’ organizzare? 

‘Quello che sta succedendo e’ un’esplosione di attivita’ online. molto bene. Ma abbiamo enormi problemi di varia natura tra cui quello che non tutti i nostri pazienti hanno il pc per potersi collegare, la connessione non e’ sempre buona. Immaginiamo la condizione che puo’ vivere ad esempio un paziente anoressico che con il proprio terapeuta parla del rapporto con il cibo, la cucina e il proprio corpo e non ha riservatezza di farlo perche’ non ha lo spazio e dialoga con la paura poi che i propri familiari possano ascoltarlo stando tutti a casa. La distanza inoltre e’ un modo nuovo di concepire il setting porta ad un impoverimento della semeiotica; la capacita’ di cogliere micro segni del funzionamento e dello stato della persona sfumano; eppure sono importanti per una corretta diagnosi. I legami poi si nutrono anche di affettivita’; sotto questo profilo la clinica online e’ una semplificazione. Inoltre va ripensata allora anche la formazione degli operatori. L’effetto della distanza riduce la qualita’ del lavoro e il supporto che si puo’ offrire al paziente. Poi l’altro problema sono i ricoveri all’interno delle comunita’ vere e proprie strutture residenziali mediche e psichiatriche, che in questo periodo di emergenza Covid hanno visto gli accessi sospesi e rinviati a non si sa quando; costoro possono perdersi. Mentre chi era gia’ ospite deve vivere in una condizione non facile. Insomma molti piani assistenziali gia’ definiti saltano o si pregiudicano. Si parla certamente di una popolazione limitata ma si era pensato e deciso un progetto assistenziale di integrare quel paziente in una comunita’ e questo non e’ accaduto a causa dell’emergenza originando un senso di abbandono nel paziente. Il risultato e’ di avere una offerta clinica molto ridotta anche se non si e’ potuto fare in maniera diversa. Si pensi alla solitudine del terapeuta; le linee guida dicono che il trattamento va condotto da una equipe multidisciplinare, ma quanto la pesantezza della situazione, il distanziamento, determinano in termini di perdita della pratica del lavoro di equipe? La societa’ scientifica Sisdca, una delle piu’ antiche al mondo e che presiedo, ha tra i suoi compiti principali quello della formazione cosi’ come l’accompagnamento degli operatorie attraverso di loro degli assistiti e delle loro famiglie ancora di piu’ oggi per cercare di fronteggiare questa situazione. Avverto che tra quello che ci sarebbe bisogno di fare e cio’ che facciamo c’e’ uno scarto. Ci sarebbe bisogno di chiedere con piu’ forza al Governo maggiore sostegno e formazione degli operatori perche’ questa emergenza provoca un indebolimento dell’offerta di cure, il burnout degli operatori e conseguente peggioramento della condizione dei pazienti. Avremmo bisogno che il Governo ci desse una mano per finanziare anche la formazione di questi operatori per lavorare a distanza. La formazione ad oggi passa spesso davvero attraverso il volontariato puro della nostra associazione. Varrebbe la pena che le societa’ scientifiche venissero sostenute in questo senso. Servono operatori aggiornati per fronteggiare il peggioramento dello stato salute mentale della popolazione che si registrera’ alla fine di questa emergenza e che si sta gia’ cominciando a registrare. Se si ha chiaro il fenomeno forse si ha la possibilita’ di fronteggiarlo. I disturbi dell’alimentazione hanno una diffusione molto ampia, tra le patologie mentali sono le piu’ diffuse; tuttavia ricevono finanziamenti, un’attenzione nel Ssn in termini di risorse, numero del personale e carriere molto inferiore aquello che servirebbe. I disturbi dell’alimentazione sono in definitiva la cenerentola del Ssn questo al di la’ dell’epidemia e si registra un ritardo della politica, del Ssn e delle aziende sanitarie a prendere atto della diffusione del fenomeno e mettere in campo tutte le forze necessarie’.

– Ad ottobre e’ previsto il vostro XIII congresso Sisdca ci puo’ dare qualche anticipazione? 

‘Doveva esserci la settimana scorsa ma abbiamo dovuto spostarlo per l’epidemia in corso. Ad oggi stiamo riflettendo se ci saranno le condizioni a fine ottobre affinche’ centinaia di iscritti si possano fisicamente assembrare. Il congresso ci sara’ ma bisogna vedere se sara’ svolto in maniera virtuale. Glielo faro’ sapere’.