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Diabete tipo 2: empagliflozin riduce emoglobina glicata

Diabete, la storia clinica dei pazienti fa prevedere l'aspettativa di vita negli anziani secondo un nuovo studio pubblicato su Diabetes Care

Diabete di tipo 2: conferme per empagliflozin sulla riduzione dei livelli di emoglobina glicata secondo uno studio danese di real-world

I risultati della pratica clinica reale confermano quanto emerso dagli studi registrativi su empagliflozin nei pazienti con diabete di tipo 2, in termini di riduzione dei livelli di emoglobina glicata. Lo dicono gli esiti di uno studio danese di real-world, da poco pubblicato sulla rivista JAMA Network Open.

I trial registrativi sugli SGLT2 inibitori, tra cui empagliflozin, hanno confermato il vantaggio preventivo di questi farmaci sugli esiti avversi cardiovascolari e altre complicanze nei pazienti con diabete di tipo 2. L’American Diabetes Association ha anche incorporato le raccomandazioni per il loro impiego in pazienti specifici con diabete di tipo 2 e ad alto rischio negli Standards of Medical Care in Diabetes 2020.

I risultati del nuovo studio suggeriscono che l’efficacia di empagliflozin nel ridurre i livelli di HbA1c nei precedenti trial clinici si conferma nella pratica clinica reale, ma sottolineano anche l’importanza di condurre degli studi dopo l’approvazione dei farmaci, dal momento che i pazienti nel mondo reale differiscono dai partecipanti ai trial registrativi.

Uno studio di reale pratica clinica

I ricercatori guidati da Nicolai Munk, dell’ospedale universitario di Aarhus in Danimarca, hanno utilizzato un database medico basato sulla popolazione contenente le informazioni relative a prescrizioni, test di laboratorio e diagnosi di tutti i residenti della Danimarca settentrionale dal 2009 al 2018 per identificare i nuovi utilizzatori di empagliflozin e confrontarli con i partecipanti ai quattro studi di fase III che hanno portato all’approvazione del farmaco.

Hanno identificato 7.034 soggetti con diabete di tipo 2 (età media 61,5 anni, 63,6% uomini) a cui il farmaco è stato prescritto per la prima volta tra il 2014 e il 2018. Gli outcome principali erano la proporzione di utenti del mondo reale non ammissibili per l’inclusione negli studi clinici registrativi e la riduzione assoluta dei livelli di emoglobina glicata (HbA1c) 6 mesi dopo l’inizio della terapia.

Oltre la metà dei pazienti (55,1%) non sarebbe stata ammissibile per i trial di fase III, principalmente a causa dell’uso concomitante di farmaci ipolipemizzanti (27,8%), livelli basali di HbA1c al di fuori dell’intervallo di ammissibilità (25,2%) o presenza di comorbidità (15,3%). I partecipanti ai quattro studi registrativi avevano livelli basali medi di HbA1c inferiori (da 7,87% a 8,10%) rispetto ai pazienti real-world. I livelli medi basali di HbA1c erano più alti tra gli iniziatori non ammissibili (8,5%) rispetto a quelli ammissibili (8,2%).

Corrispondenza tra esiti real-world e studi clinici
In linea con i risultati dei trial registrativi, l’avvio della terapia con empagliflozin è stato associato a una riduzione media complessiva della HbA1c pari a -0,91% dopo 6 mesi. Rispetto ai pazienti non ammissibili, quelli potenzialmente arruolabili hanno ottenuto una riduzione media dell’HbA1c lievemente inferiore (-1,01% contro -0,78%).

Circa il 18% dei nuovi utilizzatori non ammissibili presentava livelli di HbA1c inferiori al 7,0% al basale; per definizione questa proporzione era dello 0% tra gli iniziatori arruolabili. I pazienti con livelli basali di HbA1c inferiori al 7,0% hanno manifestato solo piccoli aumenti medi della glicemia dopo avere iniziato la terapia con empagliflozin (0,10%). Quando però questi pazienti sono stati esclusi dalla coorte non ammissibile, nella stessa i ricercatori hanno osservato una riduzione media della HbA1c più elevata (-1,25%).

Le terapie farmacologiche per abbassare il glucosio più comunemente impiegate oltre a empagliflozin nei primi 3 mesi dopo l’inizio del suo utilizzo, sono state la terapia di combinazione con farmaci ipoglicemizzanti non-insulinici da sola (34,1%) o con l’aggiunta di metformina e insulina (15,2%). Dopo avere iniziato ad assumere empagliflozin, il numero di soggetti che hanno ricevuto metformina o almeno altri due farmaci non insulinici è diminuito da 1.266 a 935, a indicare che il farmaco è stato impiegato più come terapia sostitutiva piuttosto che aggiuntiva.

«I nostri risultati suggeriscono che molti pazienti che hanno avviato la terapia con empagliflozin nel mondo reale hanno livelli basali di HbA1c più alti o più bassi oppure iniziano ad assumere il farmaco insieme ad altri ipoglicemizzanti rispetto ai soggetti arruolati nei trial di fase III che hanno portato all’approvazione di empagliflozin» hanno concluso gli autori. «Tuttavia, l’efficacia mostrata dal farmaco nel ridurre i livelli di HbA1c negli studi randomizzati e controllati, nella pratica clinica reale sembra tradursi in un’associazione tra il suo impiego e le riduzioni dei livelli di HbA1c in quanti iniziano questa terapia, sia ammissibili che non. Ulteriori studi dovrebbero esaminare l’efficacia e la sicurezza in questi gruppi di pazienti nelle cure cliniche di routine».

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