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Coronavirus: “infettato” anche il mondo della moda

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Il Coronavirus ha “infettato” anche il mondo della moda: la Cina è il più grande produttore ed esportatore di tessile a livello mondiale

L’Organizzazione Mondiale della Sanità sta aggiornando quotidianamente l’andamento del Coronavirus sul sito www.who.int/emergencies/diseases/novel-coronavirus-2019/situation-reports/.

Stando ai numeri, la maggioranza dei casi di contagio è circoscritta alla Cina, un Paese che allo stato attuale rappresenta il più grande produttore ed esportatore di tessile a livello mondiale. Basti pensare che, solo nel 2018, il suo giro di affari si aggirava intorno ai 119 miliardi di dollari, rappresentando il 37,6% del mercato in questione. In particolare, è Hong Kong a risentire maggiormente dell’effetto Coronavirus perché molto dipendente dal territorio cinese. Rinomata per lo shopping del lusso, la Regione si è trovata a chiudere punti vendita e a sospendere servizi ferroviari e aerei dalla terraferma, accumulando così una perdita di circa 2 miliardi di dollari, se si includono anche i precedenti 7 mesi di proteste.

Impossibile quindi pensare che l’allarme Coronavirus non ‘infetti’ in qualche maniera il mercato del fashion, poiché sono tantissime le aziende che hanno delocalizzato parte della loro produzione in Asia. A questa situazione, vanno aggiunte le azioni politiche appena messe in atto dai governi cinesi ed internazionali:

 Scoraggiamento da parte del governo cinese di far viaggiare i propri cittadini all’estero nei giorni del Capodanno cinese, detto anche lunare (24-30 gennaio) ora esteso al 9 febbraio.
 Scoraggiamento da parte del governo americano di far viaggiare i propri cittadini in Cina e Singapore, destinazioni dello shopping di lusso.
 Sospensione temporanea da parte di American Airlines, Lufthansa e British Airways dei voli con destinazione Cina.

Vogue Business si è preoccupata di contattare oltre 25 tra compagnie, organizzazioni e analisti, per capire come l’allarme stia influenzando l’industria del fashion a livello globale e se i differenti brands stiano già pianificando delle strategie di reazione.

Questi i risultati del report pubblicati dal magazine:

1. Se la pandemia verrà debellata nel giro di pochi mesi, i brands di lusso (quelli con buoni margini di profitto), saranno in grado di fronteggiare questi pochi mesi di instabilità del mercato. Di fatto, i brands dovrebbero limitare la produzione nel breve termine per controbilanciare la temporanea riduzione della domanda.

2. Ritardi nella consegna degli ordini ai clienti. Il posticipo delle celebrazioni del Capodanno Cinese (fino al 9 febbraio), ha comportato la chiusura (non prevista) degli stabilimenti. Questo si tradurrà ben presto in ritardi nelle consegne che riguarderanno clienti, negozianti e fornitura di materie prime causando lo stallo del sistema di produzione e distribuzione. I brands che hanno multiple delocalizzazioni potranno riallocare in altre regioni gli ordini destinati alla Cina. Il Gruppo H&M collabora attualmente con 1899 aziende produttrici, di cui 427 in Cina.

3. Incremento dell’e-commerce da parte dei websites come Alibaba, Taobao, JD.com e Pinduoduo soprattutto per quanto riguarda i prodotti sanitari. La Cina è già leader nell’e-commerce con vendite che si aggiravano nel 2019 intorno a 1.5 trilioni di dollari (secondo il report Mc-Kinsey). A seguito delle restrizioni di viaggio da parte del governo cinese per oltre 60 milioni di cittadini, ci si aspetta un incremento ancora maggiore degli acquisti online.

4. Le compagnie H&M, Uniqlo e Ikea hanno temporaneamente chiuso i propri negozi in Cina per proteggere i propri impiegati dal
Coronavirus.

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