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Artrite reumatoide: alcuni antibiotici sotto accusa

Un anno di trattamento con abatacept ha impedito che l'artrite reumatoide passasse dallo stadio "preclinico" allo stadio "clinico" nella maggior parte dei pazienti

Solo l’artrite e l’artrosi interessano il 16% della popolazione italiana

Artrite reumatoide: l’impiego di alcuni antibiotici è associato alla diagnosi della malattia e al rischio recidive secondo uno studio presentato nel corso del congresso annuale ACR (American College of Rheumatology)

Il trattamento con alcuni antibiotici beta-lattamici ad ampio spettro, come pure con sulfamidici e trimetoprim, potrebbe essere associato a diagnosi di artrite reumatoide (AR) o ad un innalzamento del rischio di recidive di malattia. E’ quanto dimostrano i risultati di uno studio presentato nel corso del congresso annuale ACR (American College of Rheumatology), in corso di svolgimento, quest’anno, ad Atlanta (Georgia), negli Usa, che suffraga osservazioni precedenti di letteratura.

“Da tempo si ipotizza un coinvolgimento del microbioma e di fattori “trigger” batterici specifici nella patogenesi dell’AR e del rischio di recidive – ricordano i ricercatori nell’abstract del lavoro presentato al Congresso”.

L’impiego di antibiotici potrebbe mediare le variazioni documentate nel microbioma e fungere da fattore surrogato di infezione per alcuni batteri potenzialmente patogeni.

L’obiettivo di questo studio, pertanto, è stato quello di determinare l’associazione esistente tra l’impiego di antibiotici e la diagnosi di AR, oltre al rischio di recidive di malattia.

A tal scopo, sono stati presi in esame i dati presenti in due database sanitari – the Catalan Information System for Research in Primary Care (SIDIAP) e the United Kingdom Clinical Practice Research Datalink (CPRD) – per determinare l’esistenza delle associazioni sopra menzionate.

Conferme associazione impiego antibiotici beta-lattamici e chinoloni con diagnosi pregressa di AR dai dati del database catalano
La scansione dei dati ha portato al prendere in considerazione quelli relativi a 13.920 pazienti con AR e a 69.535 controlli sani nel database SIDIAP, nonché i dati relativi a 1.192 pazienti con almeno una recidiva di malattia del database CPRD.

Dall’analisi dei dati provenienti dal database catalano è emerso che l’impiego di beta-lattamici o chinoloni nei 2 anni precedenti la diagnosi di AR era associato ad un odd ratio pari, rispettivamente, a 1,23 e a 1,32 (p<0,0001).

Non solo: gli antibiotici beta-lattamici hanno mostrato un gradiente dose-risposta consistente nel tempo, nonché un’associazione con l’’utilizzo recente (impiego corrente: OR=1,82; impiego recente: OR=1,54; impiego pregresso: OR=1,20; p<0,0001).

Associazione documentata tra impiego sulfamidici o trimetoprim e rischio recidiva di AR nel database britannico
Dall’analisi dei pazienti del database britannico, che avevano sperimentato almeno una recidiva di malattia, è emerso che sulfamidici e trimetoprim erano entrambi associati ad un innalzamento del rischio di recidive di malattia. Nello specifico, il rapporto tra i tassi di incidenza era pari a:
– 1,71 da 29 a 90 giorni (p=0,012)
– 1,57 da 91 a 183 giorni (p=0,025)
– 1,44 da 184 a 365 giorni (p=0,033)

Nessun altro gruppo di antibiotici è risultato associato al rischio di AR o di recidive di malattia.

Riassumendo
Nel complesso, l’impiego di antibiotici beta-lattamici è risultato associato con la diagnosi di AR nella popolazione Catalana in maniera dose- e tempo- dipendente.
L’impiego di sulfamidici e trimetoprim, rilevato dal database britannico invece, è apparso associato ad un innalzamento del rischio di recidive di AR del 70% da 1 a 3 mesi, rimanendo sostanzialmente immutato fino ad un anno dall’inizio della terapia.

Alla luce di questi risultati, gli autori dello studio hanno concluso suggerendo l’ipotesi che l’impiego di antibiotici potrebbe essere un surrogato di infezione sostenuta da batteri patogeni nell’AR e che il ritardo di insorgenza di recidiva di malattia dopo assunzione di antibiotici specifici sarebbe mediato a livello del microbioma intestinale o urinario.

Di qui la necessità di condurre nuovi studi epidemiologici e fisiopatogenetici finalizzati a determinare in modo finalmente inequivocabile l’esistenza di un’associazione tra le infezioni acute e l’AR.

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