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Artrite reumatoide: conferme su efficacia sarilumab

Un anno di trattamento con abatacept ha impedito che l'artrite reumatoide passasse dallo stadio "preclinico" allo stadio "clinico" nella maggior parte dei pazienti

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Artrite reumatoide: il trattamento con sarilumab si conferma sicuro, anche nel lungo termine, somministrato in combinazione con un DMARDcs o in monoterapia

Il trattamento con sarilumab nell’artrite reumatoide si conferma sicuro, anche nel lungo termine, sia se somministrato in terapia di combinazione con un DMARDcs che in monoterapia. Lo dimostrano i risultati di una analisi post-hoc di 8 trial clinici, e relative fasi di estensione, pubblicata su Rheumatology.

Sarilumab, come è noto, si lega al recettore di IL-6 e blocca, in tal modo, le azioni molteplici di questa citochina pro-infiammatoria. E’ stato approvato da Fda (Usa) ed EMA (UE) nel trattamento dei pazienti adulti con artrite reumatoide di grado moderato-severo e dallo scorso anno è disponibile anche nel nostro Paese.

In base a dati aggiornati al mese di gennaio dello scorso anno, il farmaco è stato utilizzato negli Usa da 2.887 pazienti in regime di combinazione e da 471 pazienti in monoterapia, con un’esposizione complessiva al trattamento pari a 7,3 anni per il regime di combinazione e di 3,5 anni per la monoterapia.

I dosaggi più comunemente utilizzati sono stati quello di 150 e di 200 mg sottocute, ogni 2 settimane. I pazienti inclusi nei trial registrativi potevano avere una risposta non adeguata o una intolleranza ai DMARDcs e/o ai farmaci anti-TNF.

Nella popolazione di pazienti considerata in toto, l’età media era pari a 52 anni, con una prevalenza di pazienti di sesso femminile (80%) e una durata media di malattia pari a 9 anni. Nel 90% dei pazienti sottoposti a terapia di combinazione, il DMARDcs associato a sarilumab era dato dal metotressato.

Risultati principali

I tassi di incidenza complessiva di AE seri sono stati pari, rispettivamente, a 9,4 per 100 pazienti-anno per la terapia di combinazione e a 6,7 per 100 pazienti-anno  per la monoterapia.

Quanto, invece, ai tassi di incidenza di infezioni serie, questi sono stati pari, rispettivamente, a 3,7 e a 1 per 100 pazienti-anno.

Considerando le anomalie di laboratorio, i ricercatori hanno documentato leucopenia, rispettivamente, nel 21% dei pazienti sottoposti a terapia di combinazione e nel 20% di quelli sottoposti a monoterapia.

Un innalzamento dei livelli di alanina aminotransferasi al di sopra di 3 volte il limite superiore di normalità è stato documentato, rispettivamente, nel 10% dei pazienti in terapia di combinazione e nel 6% di quelli in monoterapia (ancora una volta, soprattutto, durante i primi 6 mesi di trattamento).

Le anomalie osservate degli enzimi epatici rappresentano un effetto collaterale noto del blocco di IL-6; inoltre, gli incrementi osservati in terapia di combinazione potrebbero anche riflettere gli effetti epatotossici noti di MTX.

I ricercatori hanno documentato, rispettivamente, un innalzamento dei livelli lipidici a tassi di 6,1 (terapia di combinazione) e 2,2 (monoterapia) per 100 pazienti-anno, in maniera analoga a quanto osservato con un altro inibitore recettoriale di IL-6. I tassi aggiustati di eventi CV maggiori, inoltre, sono risultati simili a quelli osservati nella popolazione complessiva di pazienti con artrite reumatoide.

A tal riguardo, i ricercatori hanno sottolineato come “…l’inibizione del meccanismo di trasduzione di segnali cellulari mediato da IL-6 potrebbe avere effetti sul rischio CV indipendenti dagli effetti sui livelli lipidici; la novità sulla comprensione del ruolo dell’infiammazione nell’aterosclerosi hanno portato ad ipotizzare che il targeting delle azioni esplicate da IL-6 potrebbe essere utile per ridurre la risposta infiammatoria implicata nello sviluppo delle coronatopatie”.

Passando alle infezioni, quelle di più frequente riscontro in pazienti in terapia di combinazione sono state, in ordine decrescente, polmoniti (1,5%), celluliti (0,8%) ed erisipela (0,3%). Non sono state documentate infezioni serie (eccetto in un caso) nei pazienti sottoposti a monoterapia con sarilumab.

Sono state documentate infezioni opportunistiche (TB e herpes zoster), rispettivamente, a tassi di 0,9 (terapia di combinazione) e 0,7 (monoterapia) per 100 pazienti-anno.
Non sono state documentate, a questo riguardo, associazioni tra le infezioni e la neutropenia. “In modo analogo ad analisi precedentemente condotte con farmaci appartenenti a questa classe terapeutica, è stata rilevata la presenza di neutropenia a seguito del trattamento con sarilumab” ma i pazienti che hanno sviluppato neutropenia non hanno mostrato un’incidenza maggiore di infezioni o di infezioni serie rispetto a quelli con conta di neutrofili nella norma. Al contempo, non è stata verificata l’esistenza di un’associazione tra severità della neutropenia e lo sviluppo di infezioni serie.

Per quanto riguarda il rischio oncologico, l’incidenza di neoplasie, corretta in base all’esposizione, è stata pari a 0,7 per 100 pazienti-anno nel gruppo in terapia di combinazione e a 0,6 per 100 pazienti-anno per i pazienti in monoterapia. Inoltre, i rapporti standardizzati di incidenza corretti non sono risultati significativamente differenti rispetto a quelli della popolazione generale, sia per la terapia di combinazione che per la monoterapia.

Nove pazienti in terapia di combinazione sono andati incontro a perforazioni gastrointestinali; la maggioranza di questi era stata trattata anche con FANS e corticosteroidi. Non sono state rilevate perforazioni, tuttavia, nel gruppo di pazienti trattati con sarilumab in monoterapia.

“Nel complesso, non sono emersi nuovi segnali di safety in questa analisi di trattamento fino a 7 anni con sarilumab”, hanno affermato i ricercatori nelle conclusioni del lavoro.

Il follow-up di safety non si interrompe ma proseguirà sia per la terapia di combinazione che per la monoterapia con sarilumab.

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