Fibrillazione atriale: oltre 700mila italiani colpiti


Presentati, per la prima volta nel nostro Paese, i risultati dello studio internazionale AUGUSTUS sulla fibrillazione atriale: anticoagulanti orali sicuri anche nel trattamento dei casi più complessi

Presentati, per la prima volta nel nostro Paese, i risultati dello studio internazionale AUGUSTUS sulla fibrillazione atriale: anticoagulanti orali sicuri anche nel trattamento dei casi più complessi

Cresce nel nostro Paese la diffusione della fibrillazione atriale, il più comune disturbo del ritmo cardiaco. Negli ultimi 20 anni, in Italia, si è registrato un aumento del 66% delle ospedalizzazioni determinate dalla patologia. E, come nel resto d’Europa, il numero di nuovi casi è destinato a crescere di pari passo con l’invecchiamento generale della popolazione. Solo nel nostro Paese, la malattia colpisce tra i 700mila e gli 800mila italiani e determina non solo gravi problemi di salute, ma anche spese sociali rilevanti per l’intera collettività. Si calcola che il costo annuo per ogni singolo paziente è di oltre 3.000 euro.

Ma novità importanti si registrano per quanto riguarda il trattamento della malattia, anche nei casi più difficili. All’ultimo congresso dell’American College of Cardiology (ACC) è stato presentato lo studio internazionale AUGUSTUS, contemporaneamente pubblicato anche sulla rivista New England Journal of Medicine. Condotto su 4.614 persone, ha valutato i regimi antitrombotici in pazienti con fibrillazione atriale non valvolare e recente diagnosi di sindrome coronarica acuta (SCA) e/o sottoposti a intervento di angioplastica coronarica (PCI). “Si tratta di malati spesso difficili da curare perchè ad alto rischio sia trombotico che emorragico – afferma il prof. Pasquale Perrone Filardi, Direttore della Scuola di Specializzazione in malattie cardiovascolari dell’Università Federico II di Napoli -. Dal nuovo studio è emerso che la percentuale di pazienti con sanguinamento maggiore o non maggiore clinicamente rilevante a sei mesi era significativamente inferiore in quelli trattati con Apixaban, rispetto a quelli trattati con antagonista della vitamina K”. I risultati della ricerca sono presentati oggi, per la prima volta nel nostro Paese, durante un incontro di approfondimento tra specialisti e giornalisti. L’evento è stato organizzato per illustrare le ultime novità emerse dalla ricerca medico-scientifica.

Oggi gli specialisti possono prescrivere terapie estremamente efficaci e con controindicazioni più contenute rispetto al passato – aggiunge il prof. Filippo Crea, Direttore Dipartimento di Scienze Cardiovascolari, Policlinico Agostino Gemelli – Università Cattolica del Sacro Cuore -. Gli anticoagulanti orali hanno migliorato la qualità di vita dei pazienti. Sono in grado di ridurre il rischio di ictus e causano sanguinamenti minori rispetto a quelli indotti dalle altre cure farmacologiche. Apixaban è un inibitore selettivo del fattore Xa, una proteina chiave della coagulazione del sangue. Riesce a diminuire la produzione di trombina e così anche la formazione di coaguli”.

La fibrillazione atriale raddoppia il rischio di morte e aumenta di ben cinque volte la probabilità d’insorgenza di ictus. “È una delle patologie cardio cerebrovascolari più diffuse nei Paesi occidentali – sottolinea il prof. Giuseppe Musumeci, Direttore della Cardiologia dell’Azienda ospedaliera S. Croce e Carle di Cuneo -. In Italia i nuovi casi di ictus l’anno sono stati 200.000, un terzo di quelli registrati negli over 80 è riconducibile alla fibrillazione atriale. Particolarmente alto è il numero delle recidive che rappresenta infatti un quinto delle diagnosi. È quindi fondamentale per pazienti e specialisti avere a disposizione terapie in grado di prevenire una patologia così pericolosa”.

“La fibrillazione atriale, a volte, può rivelarsi difficile da diagnosticare – conclude il prof. Pasquale Caldarola, Direttore della Cardiologia dell’Ospedale San Paolo di Bari -. Quando il battito cardiaco è irregolare, o accelerato, non sempre i sintomi sono evidenti. È importante quindi svolgere controlli periodici tra tutte le persone considerate a rischio. Esistono esami che ci permettono di ottenere un monitoraggio preciso dell’attività cardiaca e quindi anche diagnosi dettagliate sulla patologia e la sua evoluzione”.