Dopo il blocco stessa retribuzione per dipendenti pubblici e privati


Secondo i calcoli della CGIA di Mestre dal 2010 le retribuzioni medie lorde si sono allineate

Dopo il blocco degli stipendi durato dal 2010 al 2017 stessa retribuzione per dipendenti pubblici e privati

Dopo il blocco degli stipendi pubblici durato ininterrottamente dal 2010 fino alla fine del 2017, le retribuzioni medie annue lorde dei dipendenti privati si sono quasi allineate a quelle dei colleghi del pubblico impiego. Le prime, fa sapere l’Ufficio studi della CGIA, nel 2016 sono state comunque più leggere, rispetto alle seconde, di 606 euro. Nulla a che vedere, in ogni caso, con quanto accadeva nel 2010 (anno in cui ebbe inizio il blocco); allora lo scarto annuo, a vantaggio degli statali, era di 4.244 euro.

Nel 2016, ultimo anno in cui è possibile eseguire la comparazione, la retribuzione media annua lorda di un dipendente occupato nel settore privato ammontava a 33.192 euro (+9,1 per cento rispetto al 2010), quella relativa ad un dipendente del pubblico impiego, invece, 33.798 (-2,5 per cento rispetto al 2010).

“Pur essendoci stato un allineamento delle retribuzioni tra i due settori – segnala il coordinatore dell’Ufficio studi CGIA Paolo Zabeo – ricordo che i dipendenti pubblici lavorano mediamente 36/38 ore alla settimana, mentre i lavoratori del privato stanno in fabbrica o in ufficio per almeno 40 ore. Oltre a ciò è doveroso sottolineare che ad innalzare il dato medio retributivo tra i dipendenti pubblici sono, in particolar modo, gli stipendi dei dirigenti con mansioni apicali che, per alcuni livelli di inquadramento, sono i più elevati d’Europa”.

Secondo l’ultima rilevazione dell’Ocse riferita al 2015, ad esempio, il reddito complessivo medio di un top manager pubblico italiano era di 356.349 euro all’anno: il 39,9 per cento in più di quello percepito dal pari livello tedesco, il 42,8 per cento in più di un britannico, il 45,9 per cento in più del francese e il 98,4 per cento in più di uno spagnolo. Rispetto al dato medio dei Paesi Ocse, i manager italiani presentano un reddito superiore di oltre il 70 per cento. Il dato fa riferimento al reddito complessivo che include, oltre alla retribuzione lorda, anche i contributi sociali a carico del datore di lavoro e un fattore correttivo che tiene conto dei giorni lavorativi nei diversi paesi dell’OCSE. I dati di fonte OCSE, pubblicati in dollari a parità di potere d’acquisto, sono stati convertiti in euro applicando il tasso di cambio euro/dollaro medio dell’anno 2015. Rispetto al dato di un reddito complessivo per l’Italia di 356 mila euro, la componente delle retribuzioni lorde ammonta a 232 mila euro, quella dei contributi sociali a carico del datore di lavoro a 69 mila euro mentre la componente di correzione per i giorni lavorativi è di 55 mila euro. Per top manager pubblici, secondo la definizione OCSE, si intendono i manager di categoria D1 ovvero i dirigenti direttamente al di sotto dei ministri o dei segretario di stato. Consigliano il governo in materia di politica, sovrintendono all’interpretazione e all’attuazione di politiche governative e, in alcuni paesi, hanno poteri esecutivi. I manager D1 possono essere autorizzati a partecipare alcuni consigli di gabinetto/consiglio dei ministri, ma non fanno parte del Consiglio dei Ministri.

Nel privato, le “buste paga” più pesanti le ricevono i dipendenti dell’industria (35.200 euro lordi all’anno); a seguire coloro che lavorano nei servizi (32.849 euro lordi all’anno) e nelle costruzioni (27.836 euro lordi all’anno).

Nel pubblico, invece, sono i dipendenti negli enti previdenziali a percepire le retribuzioni più alte (45.540 euro lordi all’anno). A seguire i dipendenti degli enti locali (35.235 euro lordi annui con un picco di 39.070 euro per i lavoratori della sanità) e gli statali (32.515 euro lordi all’anno).

“Se grazie al blocco degli stipendi pubblici lo Stato ha potuto beneficiare di un importante contenimento della spesa pubblica – dichiara il Segretario della CGIA Renato Mason – tutto questo, però, ha generato delle implicazioni negative sul fronte dei consumi interni. Con la diminuzione del potere di acquisto, questi lavoratori hanno consumato meno, contribuendo a mettere in difficoltà soprattutto i piccoli negozi e le botteghe artigiane che, ricordo, vivono quasi esclusivamente di domanda interna”.

In termini occupazionali (unità di lavoro standard) il numero dei dipendenti pubblici continua a scendere. Se nel 2010 ne contavamo 3.510.000, dopo 6 anni sono scesi a 3.377.000 (-3,8 per cento). Anche nel privato c’è stata una leggerissima contrazione. Se nel 2010 erano 9.939.000, nel 2016 si sono attestati a quota 9.831.000 (-1,1 per cento). Molto preoccupante il crollo registratosi nelle costruzioni. Sempre tra il 2010 e il 2016, in questo settore si sono persi 244.000 addetti a tempo pieno, pari ad una variazione del -23,3 per cento.