Prodotti vegani, dalla Corte UE arriva lo stop ai nomi “ingannevoli”


Bevande vegetali come il latte di soia non potranno più utilizzare il nome del prodotto di origine animale

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La bevanda vegetale a base di soia per la Corte UE non può essere chiamata “latte”

LUSSEMBURGO – Inganna i consumatori e fa chiudere le stalle la confusione generata dall’uso della parola latte per bevande vegetali, come quello la soia, che hanno raggiunto in Italia un valore al consumo di 198 milioni di euro con un incremento del 7,4% nell’ultimo anno.

È quanto afferma la Coldiretti nel commentare positivamente il pronunciamento della Corte di Giustizia europea sul fatto che “i prodotti puramente vegetali non possono, in linea di principio, essere commercializzati con denominazioni, come ‘latte’, ‘crema di latte’ o ‘panna’, ‘burro’, ‘formaggio’ e ‘yogurt’, che il diritto dell’Unione riserva ai prodotti di origine animale” anche se “tali denominazioni siano completate da indicazioni esplicative o descrittive che indicano l’origine vegetale del prodotto in questione”.

“I prodotti vegetariani e vegani – sottolinea la Coldiretti – non possono pertanto essere chiamati con nomi di alimenti di origine animale, in particolare latticini, ponendo fine ad un inganno che riguarda il 7,6% di italiani che segue questo tipo di dieta”.

“Si riconosce dunque – sottolinea la Coldiretti – il valore delle norme europee che impediscono di chiamare latte ciò che non è di origine animale tranne specifiche eccezioni. Quello che oggi chiamiamo ‘latte di soia’ è una bevanda molto antica, nata probabilmente in Cina, che si ottiene dalla macinazione dei semi di soia in acqua con proprietà nutrizionali e organolettiche completamente differenti dal latte di origine animale”.

“Un discorso che – precisa la Confederazione – si estende anche ai derivati come burro, yogurt, formaggi e panna che non possono essere ottenuti con prodotti vegetali”.

Un mercato, quello dei prodotti vegetariani e vegani, spinto dalle intolleranze ma alimentato anche dalle fake news diffuse in Rete secondo le quali il latte sarebbe dannoso perché è un alimento destinato all’accrescimento di cui solo l’uomo, tra gli animali, si ciba per tutta la vita. In realtà il latte di mucca, capra o pecora rientra da migliaia di anni nella dieta umana, al punto che il genoma si è modificato per consentire anche in età adulta la produzione dell’enzima deputato a scindere il lattosio, lo zucchero del latte.

Il filone di pensiero che ritiene opportuno bandire i latticini dall’alimentazione poggia sul China Study, un’indagine epidemiologica svolta a partire dal 1983 in Cina, i cui risultati sono stati ritenuti inattendibili dalla comunità scientifica e dall’Airc, l’Associazione italiana per la ricerca sul cancro.

“L’atteso stop al latte deve ora estendersi anche alla carne e derivati, dalla bresaola alla mortadella fino alla fiorentina venduti impropriamente in Europa come vegani” commenta Ettore Prandini, Vice Presidente Nazionale di Coldiretti.

“Dalla Corte Europea è giunta finalmente una risposta alle nostre sollecitazioni ma è chiaro – prosegue Prandini – che questo è solo un primo passo. Adesso bisogna rendere trasparente l’informazione anche su tutti gli altri prodotti vegani che utilizzano denominazioni o illustrazioni che rimandano o in qualche modo ricordano l’utilizzo di carne, uova o altri derivati animali con cui in realtà non hanno nulla a che fare”.

“È una questione di coerenza e di onestà nei confronti sia dei consumatori sia dei produttori” conclude.

“C’è poi da aggiungere – spiega la Coldiretti – che sul fronte della spesa delle famiglie i prodotti vegetali che “mimano” il latte e i formaggi costano molto di più, a volte anche il doppio, rispetto agli originali. Per esempio i prezzi dei drink a base di riso, avena, cocco e soia sfiorano i 3 euro al litro”.