Editoriale, sul referendum il dado è tratto


Il Palazzo di Giustizia, sede della Suprema Corte
Il Palazzo di Giustizia, sede della Suprema Corte

Alea iacta est. La frase celebre attribuita da Svetonio a Cesare che nella notte del 10 gennaio del 49 a.C. attraversò con il proprio esercito il Rubicone, in violazione delle leggi di Roma, si addatta alle recenti questioni sul referendum.

La traduzione letterale è “il dado è tratto” e comunque la si interpreti, significa che la decisione è presa. Tale gesto cambiò di fatto la vita della Res Publica. Oggi l’accostamento è dunque riproponibile perché siamo di fronte a un tentativo di cambiare la Costituzione che potrebbe portare a compimento il Governo dopo che, per anni, il Parlamento non c’è riuscito.

Cos’è successo? La Cassazione ha verificato le firme raccolte dai Comitati del Sì e autorizzato l’effettuazione della consultazione confermativa. A questo pronunciamento hanno fatto eco dure accuse da parte dei Cinquestelle che, vorrebbero, che il Premier Renzi affrontasse la consultazione quanto prima, cioè nel momento in cui il suo consenso è minore, così come le sue probabilità di ottenere la maggioranza dei sì.

Di fatto, secondo i tempi annunciati, è quasi certo che la data inizialmente prevista del 2 ottobre non sarà concretizzata e quindi il quesito sarà politicamente scisso dalla questione sull’Italicum sulla quale proprio ai primi di ottobre si attende un pronunciamento della  Corte Costituzionale.

Sembra che una decina di giorni debbano trascorrere per eventuali opposizioni al pronunciamento della Suprema corte e quindi le ferie di mezz’agosto rimanderanno il CdM per fissare il referendum alla fine d’agosto, con tempi tecnici che scivolerebbero a fine novembre. L’unica certezza tuttavia è che non si torna indietro.