Una nuova opzione terapeutica si affaccia nello scenario dell’asma grave. La Food and Drug Administration (Fda) statunitense ha approvato Exdensur (depemokimab)
Una nuova opzione terapeutica si affaccia nello scenario dell’asma grave. La Food and Drug Administration (Fda) statunitense ha approvato Exdensur (depemokimab), nuovo anticorpo monoclonale sviluppato da GSK, come terapia di mantenimento add-on per il trattamento dell’asma grave con fenotipo eosinofilico in pazienti adulti e adolescenti a partire dai 12 anni di età.
L’approvazione segna un passaggio rilevante non solo per l’efficacia clinica dimostrata, ma soprattutto per le caratteristiche farmacologiche del farmaco: depemokimab è infatti il primo e unico biologico a lunghissima durata d’azione approvato nell’asma, con solo due somministrazioni all’anno.
Dopo l’approvazione statunitense, depemokimab ha recentemente ricevuto un parere positivo dal CHMP europeo, con una decisione finale attesa nel primo trimestre del 2026. Le richieste regolatorie sono inoltre in valutazione in altri Paesi, tra cui Cina e Giappone, a conferma dell’interesse globale verso questa nuova strategia terapeutica.
Un bisogno clinico ancora ampiamente insoddisfatto
Negli Stati Uniti si stima che circa 2 milioni di persone convivano con una forma grave di asma e che circa la metà continui a sperimentare riacutizzazioni frequenti, spesso associate a ospedalizzazioni o accessi al pronto soccorso, nonostante le terapie standard.
Sebbene i biologici abbiano trasformato la gestione dell’asma grave, solo circa il 20% dei pazienti eleggibili ne riceve effettivamente uno. Tra i principali ostacoli emergono la frequenza delle somministrazioni, la complessità del trattamento e l’impatto sull’aderenza nel lungo periodo. In questo contesto, una strategia terapeutica con intervalli di dosaggio più ampi rappresenta una potenziale svolta.
I dati alla base dell’approvazione: gli studi SWIFT-1 e SWIFT-2
La decisione della FDA si basa sui risultati degli studi di fase III SWIFT-1 e SWIFT-2, che hanno valutato efficacia e sicurezza di depemokimab in aggiunta alla terapia standard, confrontandolo con placebo.
Nei due studi, depemokimab ha dimostrato una riduzione significativa del tasso annualizzato di riacutizzazioni asmatiche nell’arco di 52 settimane:
• –58% nello studio SWIFT-1
• –48% nello studio SWIFT-2
con differenze altamente significative rispetto al placebo (p<0,001 in entrambi gli studi). In termini assoluti, il numero medio di riacutizzazioni per anno è risultato nettamente inferiore nei pazienti trattati con depemokimab.
Meno riacutizzazioni gravi e meno accessi in ospedale
Un ulteriore elemento di rilievo riguarda le riacutizzazioni clinicamente più severe. Nei due studi, i pazienti trattati con depemokimab hanno mostrato un numero nettamente inferiore di eventi che hanno richiesto ospedalizzazione o accesso al pronto soccorso rispetto al placebo.
Un’analisi combinata pre-specificata ha evidenziato una riduzione del 72% del tasso annualizzato di riacutizzazioni che richiedevano ricovero o visita in emergenza, un dato particolarmente significativo in termini di impatto clinico e di sostenibilità per i sistemi sanitari.
Nel programma clinico, depemokimab è risultato ben tollerato, con un profilo di sicurezza sovrapponibile a quello del placebo. La frequenza e la gravità degli eventi avversi non hanno mostrato segnali di allarme, un aspetto particolarmente rilevante considerando la somministrazione a lungo termine prevista per questo tipo di trattamento.
Un biologico “ultra-long acting”: perché è diverso
Depemokimab è stato progettato con una emivita estesa, che consente una soppressione sostenuta dell’infiammazione di tipo 2, tipica dell’asma eosinofilica, con sole due dosi all’anno.
Secondo Kaivan Khavandi, Senior Vice President e Global Head of Respiratory, Immunology & Inflammation R&D di GSK, questa caratteristica potrebbe “ridefinire la gestione dell’asma grave”, offrendo ai clinici uno strumento per garantire una protezione prolungata dalle riacutizzazioni con un carico terapeutico ridotto per il paziente.
La riduzione della frequenza delle iniezioni potrebbe avere un impatto rilevante su: aderenza terapeutica, accettabilità del trattamento, riduzione delle riacutizzazioni gravi, minore utilizzo di risorse sanitarie.
Secondo sondaggi citati da GSK, intervalli di dosaggio più lunghi aumentano la probabilità che i pazienti accettino una terapia biologica, e la maggioranza dei medici ritiene che un simile approccio possa tradursi in benefici concreti nella pratica clinica.
Le voci dei clinici e dei pazienti
Per Geoffrey Chupp (Yale University), uno dei limiti dei biologici attuali è la frequenza delle somministrazioni, che può portare a un uso discontinuo: una protezione prolungata tra un’iniezione e l’altra potrebbe migliorare sia i risultati clinici sia l’utilizzo appropriato delle terapie.
Anche dal punto di vista dei pazienti, come sottolineato da Tonya Winders della Global Allergy & Airways Patient Platform, l’arrivo di un trattamento con meno iniezioni e protezione di lunga durata rappresenta un’opportunità concreta per migliorare la gestione quotidiana di una malattia spesso invalidante.

