Fine vita, la Consulta: “Legge regionale della Toscana illegittima solo in parte”. Il PD esulta: “Sentenza storica”
La legge sul fine vita della Regione Toscana non è illegittima nella sua interezza, tuttavia “varie sue disposizioni violano competenze statali”. Lo stabilisce la Corte costituzionale, con la sentenza 204 del 2025, in cui ha respinto le censure statali sull’intera norma, in tema di aiuto al suicidio, ma ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di diverse sue disposizioni.
La corte ha ritenuto che, nel suo complesso, la legge regionale sia riconducibile all’esercizio della potestà legislativa concorrente per quel che riguarda la tutela della salute. E che persegua la finalità di “dettare norme a carattere meramente organizzativo e procedurale, al fine di disciplinare in modo uniforme l’assistenza da parte del servizio sanitario regionale alle persone che, trovandosi nelle condizioni stabilite da questa Corte nella sentenza del 2019, ulteriormente precisate nella sentenza nel 2024, chiedano di essere aiutate a morire“.
LE DISPOSIZIONI ILLEGITTIME
Ci sono, però, numerose disposizioni che “hanno illegittimamente invaso sfere di competenza riservate alla legislazione statale”. Più precisamente, la Corte ha dichiarato incostituzionale l’articolo 2, che direttamente individua i requisiti per l’accesso al suicidio medicalmente assistito facendo espresso rinvio alle sentenze del 2019 e del 2024. Secondo la sentenza, infatti, la disposizione viola la competenza legislativa esclusiva statale sull’ordinamento civile e penale, in quanto alle regioni è “precluso cristallizzare nelle proprie disposizioni principi ordinamentali affermati da questa Corte in un determinato momento storico, in astratto, peraltro, anch’essi suscettibili di modificazioni, e oltretutto nella dichiarata attesa di un intervento del legislatore statale”.
La legislazione regionale, infatti, “non può pretendere di agire in via suppletiva della legislazione statale, per così dire ‘impossessandosi’ dei principi ordinamentali individuati da questa Corte”. Anche l’articolo 4, comma 1, è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo limitatamente alle parole “o un suo delegato”, in quanto, consentendo la presentazione dell’istanza anche a quest’ultimo, “deroga vistosamente al quadro normativo fissato dalla legge numero 219 del 2017, nel quale la procedura medicalizzata di assistenza al suicidio è stata inquadrata dalla giurisprudenza di questa Corte”.
Incostituzionali, poi, sono stati dichiarati anche gli articoli 5 e 6, in tutte le parti in cui prevedono stringenti termini per la verifica dei requisiti di accesso al suicidio medicalmente assistito e la definizione delle relative modalità di attuazione. Ferma rimanendo la necessità “di una sollecita presa in carico dell’istanza del richiedente”, la Corte ha ritenuto che questa disciplina invada la competenza legislativa statale sull’ordinamento civile, “in quanto coinvolge scelte che necessitano di uniformità di trattamento sul territorio nazionale”.
Inoltre, “la fissazione di termini stringenti contrasta con i principi fondamentali desumibili dalla legge numero 219 del 2017, che invece valorizza e promuove la cosiddetta alleanza terapeutica”, per cui deve essere “sempre consentita la possibilità di svolgere tutti quegli approfondimenti clinici e diagnostici che la commissione, multidisciplinare e coinvolgente diverse competenze, tra cui quelle psichiatriche, palliative, psicologiche, medico legali, ritenga appropriati”, anche “attraverso la concreta messa a disposizione di cure palliative efficaci, nella prospettiva di prevenire e ridurre in misura molto rilevante la domanda di suicidio assistito”.
È stato dichiarato incostituzionale anche l’articolo 7, comma 1, che, disciplinando il supporto al suicidio medicalmente assistito, impegna le aziende sanitarie locali ad assicurare il supporto tecnico e farmacologico nonché l’assistenza sanitaria per la preparazione all’autosomministrazione del farmaco autorizzato. Nel confermare quanto stabilito dalla sentenza 132 del 2025, la Corte ha ritenuto che la disposizione regionale viola la competenza concorrente in materia di tutela della salute, in quanto “non si pone come attuazione nel dettaglio di preesistenti principi fondamentali rinvenibili nella legislazione statale, ma come una illegittima ‘determinazione’ degli stessi da parte della legislazione regionale”. La dichiarazione di incostituzionalità ha anche riguardato i commi 2, primo periodo, e 3, del medesimo articolo 7. Il primo perché “facendo esplicito riferimento a un livello di assistenza sanitaria ulteriore, evoca comunque e illegittimamente, dal punto di vista dell’assetto costituzionale delle competenze, la categoria dei ‘livelli essenziali di assistenza’”, interferendo quindi su definizioni riservate al legislatore statale.
Il secondo, continua la Consulta, laddove prevede che la “persona in possesso dei requisiti autorizzata ad accedere al suicidio medicalmente assistito può decidere in ogni momento di sospendere o annullare l’erogazione del trattamento”.
In caso di suicidio medicalmente assistito, infatti, “non vi è propriamente alcuna ‘erogazione’ di un trattamento che possa essere sospeso o annullato, come invece nelle ipotesi di eutanasia attiva, riconducibili nell’ordinamento italiano alla fattispecie di omicidio del consenziente, ma piuttosto un’assistenza dei sanitari a una persona che dovrà compiere da sé la condotta finale che direttamente causa la propria morte”.
Immuni da censure sono state invece ritenute le altre disposizioni contenute nella legge regionale. La Corte, quindi, ha ritenuto che “l’introduzione di una disciplina a carattere organizzativo e procedurale come quella impugnata non possa ritenersi preclusa dalla circostanza che lo Stato non abbia ancora provveduto all’approvazione di una legge che disciplini in modo organico, nell’intero territorio nazionale, l’accesso alla procedura medicalizzata di assistenza al suicidio”. Infatti, “nei limiti sopra precisati, i principi fondamentali della materia sono già desumibili dalla legislazione vigente, letta alla luce della sentenza della Corte”.
FINE VITA. PD: SENTENZA STORICA, TOSCANA HA INDICATO DIREZIONE CHIARA
“La decisione della Corte costituzionale rappresenta un riconoscimento importante: la Toscana ha operato nel pieno rispetto delle proprie competenze sul fine vita”. L’ha fatto indicando “una direzione chiara” che “continueremo a percorrere con serietà, determinazione e coraggio”. Lo evidenzia il segretario del Pd toscano, Emiliano Fossi, che, letta la sentenza, parla di un “passaggio storico, che chiarisce sul piano giuridico e politico la bontà del lavoro portato avanti dalla nostra Regione“.
La Consulta, prosegue, “certifica ciò che sosteniamo da tempo: mentre lo Stato è rimasto immobile, nonostante il richiamo esplicito della Corte già dal 2019, la Toscana ha scelto di assumersi fino in fondo la propria responsabilità. Non ci siamo voltati dall’altra parte di fronte a un vuoto normativo che incide direttamente sulla vita e sulla dignità delle persone”.
Con la norma approvata quest’anno “siamo stati la prima Regione a intervenire, anche quando il governo arrivava a chiedere l’abrogazione della nostra legge. Oggi la sentenza afferma con chiarezza che le Regioni possono e devono agire quando sono in gioco diritti fondamentali, tutele e umanità”. Adesso, continua, “andiamo avanti, nel solco delle indicazioni della Corte costituzionale, per rendere ancora più solida una legge che mette al centro la sanità pubblica, la responsabilità delle istituzioni e il rispetto delle persone”.
ASSOCIAZIONE COSCIONI: CONSULTA HA SMENTITO IL GOVERNO
“La Consulta smentisce il governo: le Regioni possono agire sui diritti nel fine vita“.
E’ quanto evidenzia l’associazione Luca Coscioni dopo la sentenza della Corte costituzionale che “ha respinto l’impostazione del governo che chiedeva di cancellare integralmente la legge della Regione Toscana sul suicidio medicalmente assistito”.
I togati, infatti, hanno chiarito che le Regioni “possono intervenire per organizzare il servizio sanitario e rendere effettivi i diritti già riconosciuti dalla sentenza del 2019, anche in assenza di una legge nazionale sul fine vita, respingendo le censure rivolte contro l’intero impianto” della norma regionale.
Il governo, sottolineano Filomena Gallo e Marco Cappato, segretaria e tesoriere dell’associazione Luca Coscioni (promotrice di “Liberi Subito”, la legge regionale di iniziativa popolare sul fine vita presentata in tutte le Regioni e approvata da Toscana e Sardegna) “ha tentato di bloccare tutto, ma la Corte costituzionale ha detto no. È stato confermato che i diritti sul fine vita non possono essere congelati dall’inerzia politica: le Regioni possono e devono organizzare il servizio sanitario per renderli effettivi. Questa sentenza smonta definitivamente la strategia del rinvio permanente”.
Con la decisione depositata oggi, aggiungono, “la Consulta ha inoltre smentito in modo esplicito i Consigli regionali di Lombardia e Piemonte, che avevano invocato una pregiudiziale di costituzionalità come alibi per non discutere la legge di iniziativa popolare ‘Liberi Subito’, una legge che in Toscana è stata invece discussa, emendata e approvata”.
FONTE: AGENZIA DI STAMPA DIRE (WWW.DIRE.IT)

