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Flop di domvanalimab, altro duro colpo per la strategia terapeutica anti-TIGIT

fondazione roche

Il fallimento di domvanalimab rappresenta l’ennesimo duro colpo per la strategia terapeutica anti-TIGIT, una delle più promettenti – e finora più deludenti – dell’immuno-oncologia

Il fallimento di domvanalimab rappresenta l’ennesimo duro colpo per la strategia terapeutica anti-TIGIT, una delle più promettenti – e finora più deludenti – dell’immuno-oncologia. Arcus Biosciences e il partner Gilead Sciences hanno annunciato l’interruzione dello sviluppo della combinazione a base di domvanalimab nei tumori gastrici ed esofagei, dopo che lo studio di fase III STAR-221 non ha dimostrato un beneficio in termini di sopravvivenza globale.

Alla luce dei risultati dell’analisi ad interim, il trial è stato dichiarato futile e verrà definitivamente sospeso, insieme allo studio di fase II EDGE-Gastric, su raccomandazione di un comitato indipendente di monitoraggio dei dati. Nei pazienti trattati con domvanalimab in combinazione con l’anticorpo anti-PD-1 zimberelimab e chemioterapia non è emersa alcuna differenza rispetto al braccio di controllo con nivolumab più chemioterapia.

«I pazienti nel braccio contenente domvanalimab hanno ottenuto lo stesso beneficio di quelli del gruppo di controllo, senza nuovi segnali di sicurezza», ha dichiarato Richard Markus, chief medical officer di Arcus.

Reazione dei mercati e cambio di strategia
La notizia ha avuto un impatto immediato sul titolo Arcus, che ha perso circa il 12%. Truist Securities ha annunciato di considerare di fatto chiuso l’intero programma domvanalimab, nonostante il farmaco resti formalmente in sviluppo in altri tumori gastrointestinali e nel carcinoma polmonare.

«Au revoir TIGIT», hanno scritto gli analisti, sottolineando un crescente pessimismo sull’intera piattaforma. Più cauta Mizuho Securities, che ha definito l’evento un “clearing event” per il titolo, dato che le aspettative su TIGIT erano già molto basse.

Arcus ha ora deciso di concentrare le risorse su casdatifan, un inibitore di HIF-2α in sviluppo nel carcinoma renale, considerato dagli analisti un potenziale asset da miliardi di dollari, oltre a una pipeline early-stage in infiammazione e immunologia.

TIGIT: da grande promessa a bersaglio in crisi
Il caso domvanalimab si inserisce in una lunga serie di fallimenti clinici della classe anti-TIGIT, che negli ultimi anni ha visto arretrare quasi tutti i principali attori del settore.

Solo nel 2025:
• GSK ha abbandonato la partnership con iTeos Therapeutics dopo il fallimento di belrestotug in uno studio di fase II, evento che ha portato alla chiusura definitiva di iTeos;
• Roche non è riuscita a dimostrare un beneficio clinico convincente con tiragolumab, uno dei primi anti-TIGIT ad arrivare in fase avanzata, in combinazione con atezolizumab;
• anche MSD ha progressivamente ridimensionato le aspettative sul proprio programma TIGIT, senza risultati clinici in grado di cambiare la pratica.

Il razionale biologico alla base di TIGIT resta solido: il recettore (T cell immunoreceptor with immunoglobulin and ITIM domain) esercita un potente effetto immunosoppressivo ed è spesso iperespresso nei tumori. L’idea di bloccarlo, soprattutto in combinazione con PD-1/PD-L1, mirava a superare i limiti dell’immunoterapia classica. Tuttavia, i dati clinici non hanno finora confermato le aspettative.

Restano pochi “sopravvissuti”
Nonostante il clima di sfiducia, alcuni programmi anti-TIGIT restano attivi, puntando su approcci differenziati (nuovi epitopi, biomarcatori selettivi, combinazioni più mirate). Tuttavia, il sentiment del settore è ormai cambiato: TIGIT non è più visto come il “next PD-1”, ma come una scommessa ad alto rischio.

Il fallimento di domvanalimab rafforza l’idea che, almeno allo stato attuale, la semplice inibizione di TIGIT non sia sufficiente a generare un beneficio clinico significativo nei tumori solidi, segnando probabilmente la fine di una delle più ambiziose – e costose – rincorse dell’immuno-oncologia recente.

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