Nei soggetti adulti con orticaria cronica spontanea non adeguatamente controllata dalla terapia con antistaminici H1, remibrutinib ha migliorato la gravità della malattia
Nei soggetti adulti con orticaria cronica spontanea non adeguatamente controllata dalla terapia con antistaminici H1, remibrutinib ha migliorato la gravità della malattia indipendentemente dall’uso precedente di biologici anti-IgE, secondo i risultati aggregati degli studi di fase III REMIX-1 e REMIX-2 presentati al congresso 2025 dell’American College of Allergy, Asthma & Immunology.
«Un maggior numero di pazienti trattati con remibrutinib rispetto al placebo ha raggiunto la completa assenza di prurito e pomfi alla settimana 12, oltre a un buon controllo della malattia» ha dichiarato durante la sua presentazione Sarbjit Saini, direttore del programma di fellowship in allergologia e immunologia della Johns Hopkins Medicine. «Questo risultato era evidente già dalla prima settimana, indipendentemente dall’esposizione o dal fallimento di precedenti biologici anti-IgE».
Remibrutinib agisce legandosi in modo covalente e irreversibile al sito attivo della tirosin-chinasi di Bruton (BTK), un enzima chiave della famiglia delle tirosin-chinasi non recettoriali. Questo si traduce in una riduzione dell’attivazione delle cellule B, con conseguente diminuzione della produzione di autoanticorpi, e soprattutto in una soppressione dell’attivazione dei mastociti e dei basofili, che sono i principali responsabili dei sintomi clinici dell’orticaria cronica spontanea (CSU). Il risultato è una riduzione rapida e sostenuta del prurito e della formazione di pomfi, con un miglioramento significativo del punteggio di attività della malattia.
Un aspetto rilevante del meccanismo di remibrutinib è la sua alta selettività per la BTK rispetto ad altre chinasi, che riduce il rischio di effetti collaterali dovuti a interazioni indesiderate con vie di segnalazione parallele. Inoltre, la sua somministrazione orale e la capacità di legarsi irreversibilmente al target consentono un’inibizione prolungata dell’enzima anche con dosaggi relativamente bassi e regolari.
Approvato dalla FDA lo scorso settembre, remibrutinib è il primo trattamento orale per adulti con CSU persistente nonostante la terapia con antistaminici H1. La decisione è stata supportata dai trial di fase 3 REMIX-1 e REMIX-2, randomizzati, controllati con placebo e identici, della durata di 24 settimane.
Valutazione di remibrutinib in sottogruppi di pazienti con precedente esposizione a biologici anti-IgE
In un’analisi dei dati aggregati degli studi di fase III REMIX-1 e REMIX-2, i ricercatori hanno valutato adulti con orticaria cronica spontanea non adeguatamente controllata da antistaminici H1 di seconda generazione, per stabilire se i benefici dell’aggiunta di remibrutinib orale 25 mg due volte al giorno rispetto al placebo differissero in base a tre categorie di esposizione ai biologici anti-IgE, ovvero soggetti naïve, già trattati ed eventualmente refrattari.
All’interno del gruppo già trattato con anti-IgE è stata condotta un’ulteriore analisi su un sottogruppo refrattario, composto da pazienti che hanno sospeso omalizumab per mancanza di efficacia, eventi avversi o decisione del medico.
Nella popolazione aggregata, hanno ricevuto remibrutinib 606 pazienti (età media 43,3 anni; 66,5% donne) e un placebo 306 soggetti (età media 43,7 anni; 66,7% donne). Nel gruppo remibrutinib, il 69,1% era naïve, il 30,9% già trattato e il 12% refrattario, mentre nel gruppo placebo rispettivamente il 68%, il 32% e il 12,4%.
Miglioramenti sostanziali vs placebo, indipendentemente all’esposizione biologici anti-IgE
Alla settimana 12, ciascun sottogruppo in trattamento attivo ha mostrato una riduzione media vs basale nel punteggio settimanale di attività dell’orticaria (UAS7) rispetto ai corrispondenti sottogruppi placebo (naïve –21,4 vs –13,1; già trattati –21 vs –13,1; refrattari –22,1 vs –10,8), con differenze tra remibrutinib e placebo evidenti già alla settimana 1 nei naïve (–11,3 vs –3,7), nei già trattati (–12,7 vs –3,4) e nei refrattari (–13,2 vs –0,9).
Lo stesso trend è stato osservato analizzando le variazioni medie del punteggio settimanale di gravità del prurito (ISS7). Tra il basale e la settimana 12, ciascun sottogruppo trattato con remibrutinib ha mostrato riduzioni maggiori rispetto ai corrispondenti gruppi placebo (naïve –9,9 vs –6,3; già trattati –9,9 vs –6,7; refrattari –10 vs –5,4), con differenze visibili già alla settimana 1 (naïve –5,1 vs –1,8; già trattati –5,9 vs –1,8; refrattari –5,9 vs –0,5).
Analogamente, per il punteggio settimanale di gravità dei pomfi (HSS7), i sottogruppi remibrutinib hanno mostrato diminuzioni maggiori rispetto ai gruppi placebo alla settimana 12 (naïve –11,4 vs –6,8; già trattati –11,1 vs –6,4; refrattari –12,1 vs –5,4), con differenze presenti già alla settimana 1 (naïve –6,2 vs –1,9; già trattati –6,9 vs –1,6; refrattari –7,3 vs –0,4).
Utilizzando un punteggio UAS7 ≥6 come indicatore di malattia ben controllata, Saini ha evidenziato che ciascun sottogruppo trattato con remibrutinib rispetto al placebo aveva una percentuale maggiore di pazienti che raggiungeva questo obiettivo già alla settimana 1 (naïve 12,4% vs 0,5%; già trattati 10,2% vs 1%; refrattari 8,2% vs 0%), alla settimana 2 (naïve 30,7% vs 4,9%; già trattati 34,4% vs 3,2%; refrattari 34,7% vs 0%) e alla settimana 12 (naïve 52,1% vs 24,6%; già trattati 48,9% vs 22%; refrattari 52,2% vs 16,1%).
In termini di risposta completa, definita da un punteggio UAS7 pari a zero, ogni sottogruppo remibrutinib ha mostrato una percentuale superiore di pazienti rispetto ai corrispondenti sottogruppi placebo alla settimana 2 (naïve 14,7% vs 1,5%; già trattati 19,9% vs 1,1%; refrattari 19,4% vs 0%) e alla settimana 12 (naïve 30,5% vs 9,4%; già trattati 33,9% vs 8,5%; refrattari 36,2% vs 3,2%). Saini ha osservato che la risposta completa non era evidente alla settimana 1.
Sul fronte della sicurezza, nel corso di 24 settimane, le percentuali di pazienti con almeno un evento avverso sono risultate comparabili fra trattamento attivo e placebo (64,9% vs 64,7%), così come quelle con eventi avversi seri (3,3% vs 2,3%), eventi avversi che hanno portato alla sospensione (2,8% vs 2,9%), infezioni (33,3% vs 34%) e infezioni gravi (0,7% in ciascun gruppo).
Tra gli eventi avversi riportati da almeno il 3% dei pazienti figurano COVID-19 (remibrutinib 10,7% vs placebo 11,4%), rinofaringite (6,6% vs 4,6%), cefalea (6,3% vs 6,2%), petecchie (3,8% vs 0,3%), infezioni urinarie (3,1% vs 2,8%) e orticaria (2,5% vs 4,9%). «È importante sottolineare che le petecchie non erano associate a riduzioni della conta piastrinica né a eventi avversi gravi» ha precisato Saini. “Remibrutinib ha mostrato un profilo di sicurezza favorevole nei due studi durante il periodo di trattamento in doppio cieco» ha concluso.
Referenze
Saini A, et al. Efficacy of remibrutinib in anti-IgE biologic-naïve, biologic-experienced, and biologic-refractory patients with CSU: REMIX-1/-2 studies. Presented at: ACAAI Annual Scientific Meeting; Nov. 6-10, 2025; Orlando.

