
La sostenibilità è passata, in pochi anni, da tema “di immagine” a leva strategica per la competitività delle imprese, incluse le piccole e medie aziende italiane. Normative europee più stringenti, pressioni della filiera, richieste delle banche e maggiore sensibilità di clienti e lavoratori stanno rendendo sempre più rilevante la capacità delle PMI di misurare, gestire e comunicare il proprio impatto.
In questo contesto, il report di sostenibilità per le aziende diventa uno strumento chiave: non solo un documento da presentare a investitori o clienti, ma un vero cruscotto gestionale che integra tre dimensioni – ambientale, sociale ed economica – e le collega alla strategia aziendale. Per imprenditori, manager di PMI, responsabili amministrativi e consulenti è essenziale comprendere come queste tre dimensioni si intrecciano e come strutturare un percorso sostenibile realistico, proporzionato e utile al business.
Scenario: perché oggi il report di sostenibilità riguarda anche le PMI
Per lungo tempo la rendicontazione non finanziaria è stata percepita come un tema da grandi gruppi quotati o da multinazionali. Le PMI, pur rappresentando oltre il 90% delle imprese italiane e una quota significativa dell’occupazione privata (secondo dati Istat e Commissione europea), sono rimaste ai margini di questo processo, sia per mancanza di obblighi formali, sia per carenza di risorse e competenze interne.
Negli ultimi anni, però, il contesto è cambiato per almeno tre ragioni principali. In primo luogo, le normative europee – in particolare la Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD) – stanno ampliando l’ambito delle imprese coinvolte dalla rendicontazione di sostenibilità, con un effetto a cascata su tutta la filiera: i grandi committenti iniziano a chiedere dati e informazioni ESG (ambientali, sociali e di governance) anche ai fornitori di dimensioni minori.
In secondo luogo, il credito bancario e la finanza stanno integrando in modo crescente criteri di rischio e performance ESG nelle valutazioni. Diverse indagini condotte da associazioni bancarie europee indicano che un numero crescente di istituti di credito collega le condizioni di accesso al credito alla solidità del profilo di sostenibilità dell’impresa, specie nei settori più esposti a rischi ambientali o sociali.
Infine, la domanda di trasparenza da parte di clienti, lavoratori e comunità locali è in forte crescita. Secondo indagini condotte da organizzazioni internazionali sul consumo responsabile, una quota ormai consistente di consumatori europei dichiara di considerare la sostenibilità tra i criteri di scelta, e molti lavoratori, in particolare under 35, valutano la reputazione ambientale e sociale dell’azienda tra i fattori di attrazione e permanenza.
In questo scenario, il report di sostenibilità per una PMI non è un “lusso”, ma un elemento di adeguamento al contesto competitivo e normativo, nonché uno strumento per mettere ordine tra dati, iniziative e priorità strategiche.
La struttura del report di sostenibilità per le aziende: tre dimensioni integrate
Il cuore del report di sostenibilità è la rappresentazione integrata di tre dimensioni: ambiente, sociale ed economia. Non si tratta di tre mondi separati, ma di ambiti strettamente interconnessi. La vera sfida è tradurre questa integrazione in indicatori e informazioni comprensibili, misurabili e utili alle decisioni.
La dimensione ambientale: impatti, rischi e transizione
La dimensione ambientale riguarda il modo in cui l’azienda utilizza risorse naturali, genera emissioni, produce rifiuti e interagisce con gli ecosistemi. Per una PMI, questo significa misurare e gestire, in modo proporzionato al proprio settore e alla propria scala, alcuni aspetti chiave: consumi energetici, mix di fonti (rinnovabili/non rinnovabili), emissioni dirette e indirette di gas serra, utilizzo di acqua, produzione e gestione dei rifiuti, impatti su aria, suolo e biodiversità nelle aree in cui opera.
La rendicontazione ambientale non è soltanto una fotografia degli impatti, ma anche uno strumento per governare la transizione: migliorare l’efficienza, ridurre i costi, prepararsi a nuovi standard tecnologici e regolatori. Per molte PMI manifatturiere o agroalimentari, ad esempio, la misurazione dei consumi energetici e idrici è il primo passo per identificare investimenti mirati in efficienza che generano ritorni economici in tempi relativamente brevi.
La dimensione sociale: persone, comunità, catena del valore
La dimensione sociale del report di sostenibilità riguarda il rapporto dell’azienda con le persone e le comunità, sia interne sia esterne. Includere questa dimensione significa rendicontare aspetti come qualità dell’occupazione, salute e sicurezza sul lavoro, formazione e sviluppo delle competenze, politiche di diversity e inclusione, diritti dei lavoratori nella catena di fornitura, rapporto con comunità locali e impatto sulle condizioni sociali del territorio.
Per una PMI, spesso radicata in un contesto locale specifico, la dimensione sociale è particolarmente rilevante: la reputazione presso il territorio, il rapporto con istituzioni locali, scuole e associazioni, la capacità di attrarre e trattenere personale qualificato hanno un impatto diretto sulla continuità del business. Un approccio strutturato alla rendicontazione sociale consente di dare visibilità a pratiche spesso già in essere (formazione, welfare aziendale, iniziative per la sicurezza) e di individuare aree di miglioramento.
La dimensione economica: valore generato e distribuito
La dimensione economica non coincide con il bilancio civilistico, ma lo integra, mostrando come il valore creato dall’azienda si distribuisce tra i diversi stakeholder. Questo include non solo ricavi e utili, ma anche salari e benefit per i dipendenti, tasse e imposte versate, investimenti in sviluppo e innovazione, pagamenti a fornitori, dividendi agli azionisti, eventuali contributi alla comunità locale.
Rappresentare in modo trasparente questa dimensione consente di sfatare un pregiudizio diffuso: l’idea che la sostenibilità sia un costo puro. Un’analisi attenta del valore economico generato e distribuito mostra come le scelte ambientali e sociali incidano sulla stabilità finanziaria, sulla capacità di investimento e sulla resilienza ai cicli economici. Per una PMI, collegare performance economiche e indicatori ESG permette di dialogare meglio con banche, investitori e partner commerciali, spiegando la razionalità economica di certe scelte.
Dati e trend: dove sono oggi le PMI italiane sulla sostenibilità
Negli ultimi anni diverse ricerche di associazioni di categoria e centri di ricerca hanno monitorato il grado di adozione di pratiche di sostenibilità tra le PMI italiane. Pur con differenze tra studi, emergono alcune tendenze ricorrenti.
Una quota ancora minoritaria ma in crescita di PMI redige un report di sostenibilità o un bilancio non finanziario, anche in forma semplificata. In alcune indagini condotte su campioni di imprese manifatturiere e di servizi, si osserva che una percentuale significativa dichiara di avere almeno iniziato a misurare alcuni indicatori ESG, anche se non sempre formalizzati in un documento pubblico. Il salto dall’adozione di singole pratiche (risparmio energetico, welfare, iniziative con il territorio) alla rendicontazione strutturata è ancora in corso.
A livello europeo, secondo report della Commissione europea e dell’OCSE, le PMI rappresentano una componente essenziale per il raggiungimento degli obiettivi climatici e sociali del Green Deal. Tuttavia, molte dichiarano difficoltà nel comprendere e applicare standard di rendicontazione complessi, percepiti come concepiti per grandi gruppi. Questa criticità è particolarmente accentuata nei settori tradizionali e tra le micro-imprese.
Un altro dato ricorrente riguarda la spinta della filiera: numerose PMI dichiarano di avere iniziato a raccogliere dati di sostenibilità su richiesta dei grandi clienti, specie nei comparti automotive, moda, agroalimentare e costruzioni. Ciò conferma come il report di sostenibilità diventi, di fatto, una “lingua comune” per partecipare alle catene globali del valore, anche al di là di obblighi normativi diretti.
Normativa e regolazione: cosa cambia con la CSRD per le PMI
Il quadro normativo europeo sulla rendicontazione di sostenibilità è in forte evoluzione. La Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD) amplia significativamente il numero di imprese tenute a pubblicare informazioni di sostenibilità, introducendo standard europei dettagliati (ESRS – European Sustainability Reporting Standards). In una prima fase, l’obbligo riguarda grandi imprese e società quotate, ma con una progressiva estensione nel tempo.
Per le PMI non quotate, in particolare per quelle non rientranti direttamente nell’ambito di applicazione della direttiva, la CSRD non prevede un obbligo generalizzato immediato. Tuttavia, gli effetti indiretti sono già visibili: le grandi imprese, per poter rendicontare le proprie catene del valore, devono raccogliere dati ambientali e sociali dai propri fornitori, spesso PMI. Questo genera richieste di informazioni, questionari ESG e richieste di documentazione strutturata.
Esistono inoltre previsioni specifiche per le PMI quotate, per le quali sono stati pensati standard semplificati, con un periodo di applicazione graduale. Anche se molte PMI italiane non saranno tenute per legge, in tempi brevi, a pubblicare un report completo, è prevedibile che rendicontare la sostenibilità diventi, di fatto, una condizione competitiva per partecipare a determinate filiere o accedere a certi canali di finanziamento.
Accanto alla CSRD, vanno considerati altri strumenti regolatori con impatto sulle PMI: regolamenti sulla tassonomia delle attività sostenibili, nuove regole sugli imballaggi, normative sulla due diligence in materia di diritti umani e ambiente nella catena di fornitura, nonché requisiti nazionali su sicurezza, rifiuti, emissioni. Il report di sostenibilità può diventare il contenitore in cui convogliare e razionalizzare tali obblighi, riducendo la frammentazione delle informazioni.
Rischi e criticità per le PMI che ignorano la sostenibilità
Per una PMI, considerare la sostenibilità come un tema opzionale o rinviabile comporta rischi crescenti, sia sul piano operativo sia su quello strategico. Il primo rischio è lo scollamento dalla filiera: se i principali clienti iniziano a richiedere dati ESG o a inserire criteri di sostenibilità nelle gare, le imprese che non sono in grado di fornire informazioni credibili possono essere progressivamente escluse o penalizzate.
Un secondo rischio riguarda il costo del capitale. In un contesto in cui banche e investitori integrano criteri ESG nelle valutazioni, l’assenza di informazioni strutturate di sostenibilità può tradursi in una percezione di rischio maggiore, con effetti negativi su condizioni di finanziamento e accesso a certi strumenti di credito agevolato o finanza agevolata.
Vi è poi un rischio reputazionale. Eventuali criticità ambientali (sversamenti, emissioni, gestione dei rifiuti) o sociali (incidenti sul lavoro, contenziosi con dipendenti, problemi nella catena di fornitura) sono oggi più facilmente soggette a visibilità pubblica, anche attraverso i social media e i canali informativi locali. In assenza di una narrazione strutturata e di dati, l’azienda rischia di essere percepita solo attraverso episodi negativi.
Infine, la mancanza di un approccio alla sostenibilità può tradursi in un rischio gestionale interno. Senza un quadro di indicatori e obiettivi, è più difficile individuare inefficienze, anticipare cambiamenti normativi, pianificare investimenti coerenti. La sostenibilità non è solo comunicazione esterna, ma anche capacità di governo dei fattori ambientali, sociali ed economici che incidono sul rischio d’impresa.
Opportunità e vantaggi di un report di sostenibilità ben strutturato
L’adozione di un report di sostenibilità offre, d’altra parte, diverse opportunità concrete per le PMI. In primo luogo, consente di mappare i rischi e le priorità: attraverso la cosiddetta analisi di materialità, l’azienda individua i temi ESG più rilevanti per il proprio business e per i propri stakeholder, evitando dispersioni su iniziative marginali.
In secondo luogo, il report favorisce il miglioramento dell’efficienza operativa. Misurare consumi energetici, sprechi, tassi di infortunio, assenteismo, turnover, investimenti in formazione permette di individuare margini di ottimizzazione che, spesso, hanno effetti positivi sulla produttività e sui costi.
Un terzo vantaggio riguarda la relazione con il mercato. Un report credibile e trasparente può rafforzare la posizione dell’impresa nei confronti di clienti B2B sensibili ai temi ESG, facilitare la partecipazione a bandi pubblici che prevedono criteri ambientali e sociali, e contribuire a differenziare il brand in settori competitivi.
Dal punto di vista interno, la rendicontazione può migliorare il coinvolgimento delle persone. Condividere obiettivi e risultati di sostenibilità con i dipendenti, riconoscendo il contributo dei diversi reparti, alimenta il senso di appartenenza e può diventare un elemento di attrazione per nuove figure professionali, soprattutto qualificate.
Infine, il report di sostenibilità può fungere da strumento di dialogo con le istituzioni finanziarie. Presentare non solo dati economico-finanziari ma anche un quadro strutturato dei rischi e delle iniziative ESG consente di argomentare meglio la solidità di un piano di investimento e la capacità dell’impresa di gestire le sfide di medio-lungo periodo.
Come impostare in pratica un report di sostenibilità per una PMI
Per molte PMI la difficoltà principale non è tanto riconoscere l’importanza della sostenibilità, quanto capire da dove iniziare. Un percorso realistico e graduale può articolarsi in alcune fasi, adattabili a dimensioni e settore.
1. Definire obiettivi e perimetro
Prima di raccogliere dati è necessario chiarire quale scopo deve avere il report: soddisfare richieste di un grande cliente? Prepararsi a futuri requisiti normativi? Migliorare la gestione interna dei rischi? In base a questo, si definisce il perimetro (quali siti produttivi, quali società del gruppo, quali linee di business) e l’orizzonte temporale di riferimento.
2. Analisi di materialità e stakeholder
La successiva fase consiste nell’identificare i temi di sostenibilità più rilevanti per l’azienda. Ciò avviene attraverso il confronto tra priorità interne (rischi, costi, opportunità di business) e aspettative degli stakeholder chiave (clienti, dipendenti, fornitori, comunità locali, istituzioni finanziarie). Il risultato è una gerarchia di temi ambientali, sociali ed economici su cui concentrare la rendicontazione e le azioni.
3. Raccolta dati e definizione di indicatori
La raccolta dati rappresenta spesso la parte più impegnativa, ma anche più utile. Nella maggior parte dei casi si può partire da informazioni già disponibili in azienda (consumi energetici e idrici, rifiuti, dati su infortuni, ore di formazione, dati retributivi, investimenti, tasse pagate) per costruire una prima base di indicatori. L’importante è garantire coerenza e tracciabilità, anche se il livello di dettaglio iniziale è limitato.
È preferibile concentrarsi su un set ristretto di indicatori significativi, piuttosto che inseguire checklist troppo complesse. Man mano che il sistema matura, si possono introdurre ulteriori metriche, eventualmente allineandosi a standard riconosciuti a livello europeo.
4. Integrazione con la strategia e il controllo di gestione
Un report di sostenibilità efficace non si limita a elencare dati, ma li collega ad obiettivi e piani d’azione. Ciò implica integrare gli indicatori ESG nei processi di pianificazione e controllo: valutare l’impatto ambientale e sociale degli investimenti, monitorare nel tempo l’andamento di alcuni KPI, legare eventuali incentivi manageriali anche a obiettivi non finanziari.
Nel caso delle PMI, questa integrazione può avvenire in modo graduale, ad esempio includendo alcuni indicatori ESG nelle periodiche analisi di performance, o inserendo obiettivi di sostenibilità nel piano industriale o nel business plan richiesto per il credito.
5. Redazione e comunicazione del report
La redazione del report richiede un linguaggio chiaro, comprensibile anche a non specialisti, ma al tempo stesso coerente con le aspettative degli interlocutori più tecnici (banche, grandi clienti, eventuali revisori). La struttura tipica comprende: presentazione dell’azienda e del contesto, metodologia adottata (materialità, perimetro, standard di riferimento), descrizione delle tre dimensioni (ambientale, sociale, economica) con dati e trend, obiettivi futuri e piani d’azione.
La comunicazione non si esaurisce nella pubblicazione del documento: è utile declinare i contenuti in forme sintetiche per diversi pubblici (presentazioni per clienti, schede per fornitori, materiali per il personale interno), mantenendo coerenza con i dati ufficiali.
Dimensione ambientale: focus sugli aspetti più rilevanti per le PMI
Nel dettaglio, la dimensione ambientale del report di sostenibilità per una PMI dovrebbe concentrarsi su pochi elementi fondamentali, variabili in base al settore. Per molte imprese manifatturiere e di servizi, i principali ambiti di rendicontazione riguardano energia, emissioni, rifiuti e uso delle risorse.
Sui consumi energetici, ad esempio, è utile distinguere tra elettricità, gas e altre fonti, indicando le quantità consumate e, se possibile, il relativo impatto in termini di emissioni. Molte PMI hanno iniziato ad adottare sistemi di monitoraggio energetico e interventi di efficientamento (illuminazione, motori, compressori, isolamento), che possono essere descritti nel report indicando i benefici attesi o realizzati.
Sulla gestione dei rifiuti, la rendicontazione dovrebbe indicare le principali tipologie prodotte, le modalità di smaltimento o recupero, l’eventuale presenza di rifiuti pericolosi. In alcuni settori, la capacità di incrementare il riciclo o il riutilizzo dei materiali può diventare un elemento competitivo e un indicatore di innovazione di processo o di prodotto.
Laddove rilevante, l’uso dell’acqua e l’impatto sulle risorse idriche locali rappresentano un ulteriore elemento da monitorare, soprattutto in aree soggette a stress idrico o per attività con consumi significativi. Collegare tali dati a iniziative di riduzione o riuso (ad esempio circuiti chiusi, raccolta di acque meteoriche) consente di mostrare la capacità di adattamento a scenari climatici più critici.
Dimensione sociale: lavoro di qualità, sicurezza e territorio
Nella dimensione sociale, per una PMI italiana alcuni temi emergono con particolare centralità. Il primo è la qualità dell’occupazione: tipologia dei contratti, stabilità, politiche retributive, presenza di benefit, opportunità di crescita interna. Rendicontare questi aspetti permette di evidenziare l’impatto dell’azienda sulle condizioni di vita delle persone e la propria responsabilità nei confronti dei lavoratori.
Un secondo ambito è la salute e sicurezza sul lavoro. Dati sugli infortuni, sulla formazione specifica erogata, sugli investimenti in dispositivi e procedure di prevenzione costituiscono elementi chiave del report. In molti settori produttivi, il miglioramento continuo delle performance di sicurezza può essere un indicatore di maturità gestionale e culturale.
Il rapporto con il territorio rappresenta un ulteriore pilastro. Molte PMI svolgono, in modo informale, attività a favore della comunità locale: sponsorizzazioni, supporto a iniziative sociali o culturali, collaborazione con scuole e istituti formativi. Inserire queste azioni nel report non significa “fare vetrina”, ma riconoscere il ruolo dell’impresa nel tessuto sociale e misurarne la coerenza con la strategia complessiva.
Dimensione economica: oltre il bilancio tradizionale
Sulla dimensione economica, il report di sostenibilità dovrebbe mostrare come l’azienda crea e distribuisce valore, rendendo più leggibile il legame tra risultati finanziari e scelte ambientali e sociali. Ciò può includere la rappresentazione sintetica del valore economico generato (ricavi, altri proventi) e del valore distribuito a diversi stakeholder (dipendenti, fornitori, Stato, sistema finanziario, azionisti, comunità).
Per una PMI, questa rappresentazione offre almeno due benefici. Da un lato, consente di spiegare in modo strutturato il contributo dell’azienda allo sviluppo economico del territorio, contrastando narrazioni parziali o fuorvianti. Dall’altro, permette di collegare alcuni investimenti “non strettamente produttivi” (ad esempio, iniziative ambientali o di welfare) alla creazione di valore di medio-lungo periodo, fornendo una base per il dialogo con chi, in azienda, guarda soprattutto al conto economico di breve periodo.
In prospettiva, la capacità di dimostrare che la strategia aziendale tiene conto dei rischi e delle opportunità legati alla transizione ecologica e sociale può incidere positivamente sulle valutazioni di merito creditizio e sulle condizioni di finanziamento.
FAQ sulla sostenibilità per le PMI e la rendicontazione
Un report di sostenibilità è obbligatorio per tutte le PMI?
No, allo stato attuale la normativa europea sulla rendicontazione di sostenibilità riguarda soprattutto grandi imprese e società quotate, con alcune previsioni specifiche per PMI quotate. Tuttavia, molte PMI si trovano a dover fornire dati ESG a clienti o banche. Preparare un report, anche semplificato, diventa quindi una scelta strategica per rispondere a queste richieste in modo ordinato.
La redazione di un report di sostenibilità comporta costi elevati?
I costi dipendono dal livello di dettaglio, dallo standard di riferimento e dal supporto esterno necessario. Per una PMI è possibile iniziare con un perimetro e un set di indicatori limitati, utilizzando dati già disponibili e strutturando progressivamente il sistema. Più che il costo in sé, il tema centrale è la capacità di trasformare la rendicontazione in strumento di gestione, così da generare benefici che compensino l’investimento.
Qual è il rischio di fare un report di sostenibilità “di facciata”?
Un report privo di dati verificabili o scollegato dalla realtà aziendale può esporre a critiche e accuse di greenwashing o social washing, con danni reputazionali anche superiori alla totale assenza di comunicazione. Per evitarlo, è essenziale basare il documento su informazioni tracciabili, riconoscere limiti e aree di miglioramento, e collegare la narrazione a obiettivi e piani d’azione concreti.
Conclusioni: integrare sostenibilità e gestione d’impresa nelle PMI
Per le piccole e medie imprese italiane, la sostenibilità non è più soltanto un tema etico o di responsabilità sociale, ma una dimensione strutturale della gestione d’impresa. Il report di sostenibilità rappresenta lo strumento attraverso cui rendere visibile e misurabile questa integrazione, con riferimento alle tre dimensioni ambientale, sociale ed economica.
L’evoluzione normativa europea, la pressione della filiera, l’attenzione crescente di finanza, clienti e lavoratori rendono sempre meno sostenibile un approccio informale o episodico. Allo stesso tempo, è possibile costruire percorsi proporzionati alle risorse e alla complessità di ciascuna PMI, evitando di adottare modelli pensati per grandi multinazionali e difficilmente trasferibili.
Affrontare con metodo la rendicontazione di sostenibilità significa, per una PMI, dotarsi di una bussola per orientare decisioni di investimento, innovazione e gestione del rischio nei prossimi anni. Il supporto di competenze specialistiche esterne può facilitare il percorso, aiutando a selezionare gli indicatori più pertinenti, a leggere correttamente le esigenze normative e di mercato, e a trasformare un obbligo percepito in un fattore di competitività.
Per chi desidera approfondire in modo strutturato come impostare un report di sostenibilità per le aziende, è utile considerare un confronto con professionisti che uniscano competenze tecniche, conoscenza delle normative e comprensione delle specificità delle PMI italiane, così da costruire un modello di rendicontazione che sia al tempo stesso rigoroso, sostenibile nei costi e realmente utile alla gestione dell’impresa.

