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Lavoro: come riconoscere il mobbing e quali sono i campanelli di allarme

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Il mobbing è un insieme di comportamenti ostili e ripetuti che mirano a isolare o umiliare un lavoratore, compromettendone benessere e professionalità

Il tema del mobbing è tornato al centro dell’attenzione, anche grazie ai periodici episodi di cronaca che hanno acceso il dibattito pubblico sul rapporto tra potere dell’azienda e tutela della dignità dei lavoratori. I dati recenti indicano un fenomeno in crescita e riconosciuto come preoccupante. Secondo l’ultimo rapporto INAIL del 2025, infatti, nel 2023 sono stati riconosciuti 6.813 casi di aggressioni e violenze sul lavoro, un incremento dell’8,6% rispetto all’anno precedente, con un aumento più marcato tra le donne (14,6%)1.

Per definizione, il mobbing indica un insieme di comportamenti ostili, ripetuti e prolungati nel tempo, messi in atto sul luogo di lavoro da superiori o colleghi con l’intento (o comunque con l’effetto) di isolare, umiliare o danneggiare psicologicamente il lavoratore. Pur mancando una legge specifica, la giurisprudenza ha definito in modo chiaro questa pratica come una vera e propria persecuzione psicologica, caratterizzata da atti discriminatori, prevaricazioni e pressioni sistematiche che finiscono per compromettere la dignità e l’equilibrio psicofisico della persona. Il mobbing e le molestie sul lavoro rappresentano un vero e proprio problema con significative implicazioni sulla salute mentale e sulla produttività dei lavoratori.

Come riconoscere il mobbing?

Ci sono diversi segnali e pratiche che dovrebbero far riflettere e mettere in allarme i lavoratori, ma anche i datori di lavoro. Luca Furfaro, consulente esperto nelle politiche del lavoro e del welfare, ne indica in particolare 5:

Cosa devono fare quindi i lavoratori, ma anche le aziende?

Per affrontare efficacemente il mobbing, è fondamentale che tanto i lavoratori quanto le aziende adottino un ruolo attivo e responsabile. I lavoratori devono innanzitutto riconoscere i segnali di disagio e non sottovalutare comportamenti che minano il proprio benessere, cercando supporto interno o, se necessario, rivolgendosi a esperti esterni o sindacati. Dall’altro lato, le aziende hanno il dovere di creare ambienti di lavoro trasparenti e inclusivi, promuovendo una cultura di rispetto e ascolto, e mettendo in atto procedure chiare per la gestione e la prevenzione di comportamenti vessatori. Solo con un impegno condiviso si può intervenire tempestivamente, evitando che situazioni di disagio si cronicizzino e compromettano la salute psicofisica dei lavoratori.

È necessario sottolineare che il mobbing non deve essere per forza perpetrato dal datore di lavoro o da un manager: talvolta sono gli stessi colleghi che mettono in pratica azioni vessatorie nei confronti di uno dei propri pari a livello professionale. In questo caso si parla di mobbing orizzontale e la responsabilità del collega è configurabile solo a titolo extracontrattuale, ma permane quella del datore di lavoro di non aver impedito tali condotte.

Infatti, in caso di mobbing, il datore di lavoro viola l’obbligo di garantire un ambiente sicuro e risponde contrattualmente dei danni. Chi denuncia il fenomeno deve provare il rapporto di lavoro, le condotte vessatorie, il danno subito, il nesso causale e anche l’intento persecutorio che lega tra loro gli atti. Se questo intento non emerge, il giudice deve comunque valutare se ci sia una responsabilità datoriale per aver tollerato un ambiente stressante o dannoso (straining o responsabilità per ambiente di lavoro stressogeno), situazione che richiede solo la prova del danno e del suo collegamento con il contesto lavorativo. È quindi illegittimo che il datore di lavoro, anche solo per colpa, consenta il mantenersi di un ambiente che provochi un danno alla salute del lavoratore. Questa modalità si differenzia dal mobbing perché non richiede necessariamente la prova di un intento persecutorio unificante, ma si fonda sulla violazione colposa dell’obbligo di sicurezza. In questo scenario, il lavoratore deve provare il danno e il nesso con l’ambiente di lavoro, mentre il datore deve dimostrare di aver agito diligentemente per prevenire il medesimo danno.

«Oggi, in un mercato del lavoro sempre più veloce e competitivo, prendersi cura del clima in azienda influisce davvero sul lavoro di tutti. Per i datori di lavoro, saper riconoscere segnali di disagio, evitare situazioni stressanti e favorire rapporti rispettosi tra colleghi e superiori è fondamentale per il buon funzionamento di un’organizzazione» commenta Luca Furfaro, consulente esperto nelle politiche del lavoro e del welfare e co-autore del libro recentemente uscito “Il lavoro da offrire”. La proposta da accettare. Scelte consapevoli nell’era del welfare”.

1 Fonte: INAIL, 2025

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